antonio2304
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martedì 21 gennaio 2020
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consigliato
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Emozionante e ben scritto, con attori bravi che hanno interpretato al meglio la vicenda davvero accaduta.
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flaw54
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martedì 21 gennaio 2020
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una storia vera
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Film che ripercorre la storia dell'attentato alle Olimpiadi di Atlanta, cercando di rimanere attento ai fatti reali. Eastwood ricostruisce gli avvenimenti con precisione documentaristica, seguendo il punto di vista di Orwell e riesce a tenere avvento lo spettatore anche grazie all'interpretazione dei tre protagonisti principali ( con una strepitosa Kathie Jares che tocca il culmine della sua prova con il discorso davanti ai giornalisti). Poco curata invece la parte della giornalista con Olivia Wilde eccessiva e sopra le righe. Piuttosto fumettistico e improbabili gli uomini del FBI. Però è cinema.
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raul m.
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lunedì 20 gennaio 2020
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carriere.
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Il film offre un importante spunto per riflettere su la necessità di separare la carriera dei giornlisti da quelle della polizia giudiziaria e dei procuratori.
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the moon
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lunedì 20 gennaio 2020
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colpevole d'innocenza
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Cosa dire di questo capolavoro,quando si esce dal cinema con gli occhi lucidi e un sorriso commosso è già entrato nella storia.Un film incalzante che ti porta dentro le emozioni vere di chi le ha vissute ,una regia impeccabile e unica che si riconosce solo nello stile eastwood,attori perfetti e strepitosi,completamente dentro i personaggi.Eastwood è riuscito a parlare della società americana facendolo quasi come una denuncia contro i media e la politica,mettendo in luce il male piu oscuro,l'ambizione è accecamento,e Jewell fù vittima del potere condizionato,l'eroe perfetto da dare in pasto al mondo,l'occasione giusta,e solo per sessere stato colpevole d'innocenza.
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Cosa dire di questo capolavoro,quando si esce dal cinema con gli occhi lucidi e un sorriso commosso è già entrato nella storia.Un film incalzante che ti porta dentro le emozioni vere di chi le ha vissute ,una regia impeccabile e unica che si riconosce solo nello stile eastwood,attori perfetti e strepitosi,completamente dentro i personaggi.Eastwood è riuscito a parlare della società americana facendolo quasi come una denuncia contro i media e la politica,mettendo in luce il male piu oscuro,l'ambizione è accecamento,e Jewell fù vittima del potere condizionato,l'eroe perfetto da dare in pasto al mondo,l'occasione giusta,e solo per sessere stato colpevole d'innocenza.
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frankmoovie
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lunedì 20 gennaio 2020
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richard jewel: un "gioiello" di film
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Clint Eastwood è ormai un marchio di qualità, i suoi film migliorano con l'avanzare dell'età e stupisce proprio come alla sua veneranda età egli abbia la capacità di raccontarci storie realmente accadute con una padronanza della macchina da presa eccezionale, con i suoi giochi di luce che dalla penombra portano in evidenza particolari scene da imprimere nella mente, con la scelta di attori di grande livello (i premiati con Nobel Sam Rockwell e Kathy Bates, oppure Jon Hamm, Olivia Wilde ...) o di grandi promesse come il protagonista Paul Walter Hauser, finora quasi sconosciuto eppure con grande caratterizzazione del ruolo affidatogli .
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Clint Eastwood è ormai un marchio di qualità, i suoi film migliorano con l'avanzare dell'età e stupisce proprio come alla sua veneranda età egli abbia la capacità di raccontarci storie realmente accadute con una padronanza della macchina da presa eccezionale, con i suoi giochi di luce che dalla penombra portano in evidenza particolari scene da imprimere nella mente, con la scelta di attori di grande livello (i premiati con Nobel Sam Rockwell e Kathy Bates, oppure Jon Hamm, Olivia Wilde ...) o di grandi promesse come il protagonista Paul Walter Hauser, finora quasi sconosciuto eppure con grande caratterizzazione del ruolo affidatogli ... Il problema, non solo statunitense, del potere dei media, che possono portare una persona dalle stelle alle stalle, o delle Forze di Polizia, nel caso il FBI, che messi gli occhi su una persona, possono arrivare a perseguitarla pur di avere un colpevole, è un problema di difficile soluzione, anzi col moltiplicarsi dei social, sempre più persone possono cadere nella trappola dell'eroe-colpevole, dell'onesto-ladro, del pudico-spregiudicato ... Eastwood sa farci riflettere a ogni scena, sa farci commuovere, ci regala rari sorrisi, ci fa, attraverso verità "reali", tremare. Lui è un artista che nella storia del Cinema lascia, ogni volta, impronte indelebili. Un film da non perdere: Jewel, poi, non significa gioiello?
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[+] quando un sogno diventa un incubo...
(di antonio montefalcone)
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eugenio
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domenica 19 gennaio 2020
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un maledetto imbroglio
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Clint torna ancora al cinema (questa volta solo in veste di regista) ed è meraviglioso. Il suo nuovo film, Richard Jewell, rappresenta il sottile fil-rouge dei personaggi sinora tratteggiati con maestria dal regista/attore che negli anni ha dovuto lottare per elevarsi da un’identità ancora cucita di “pistolero reazionario”.
Nulla di più sbagliato perché nel corso della sua lunga carriera, Eastwood ha saputo trar spunto da storie vere e biograficamente attendibili per delineare il destino e le scelte di personaggi carismatici, controversi, contradditori. Come dimenticare J Edgar il capo dell’FBI, Bird, il jazzista Charlie Parker o Chris Kyle il cecchino americano di American Sniper? E ancora: Walt Kowalski di Gran Torino, i tre amici del Midwest Spencer, Anthony e Alex che sventarono un attentato a un treno europeo, Earl Stone, l’orticultore e veterano della Corea diventato efficacissimo corriere della droga (The mule) e soprattutto Sully, Chesley Sullenberger, il pilota che salvò la vita all’intero equipaggio ammarando nell’Hudson ma finendo coinvolto in un’inchiesta sul delicato dilemma del “fattore umano”?
Dalla gloria all’esposizione mediatica, alla gogna e alla difficile quanto ottusa preponderanza dell’ordine precostituito, delle forze di polizia e del “quarto potere” nonché dell’opinione pubblica, ecco il grande tema di riflessione di Richard Jewell.
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Clint torna ancora al cinema (questa volta solo in veste di regista) ed è meraviglioso. Il suo nuovo film, Richard Jewell, rappresenta il sottile fil-rouge dei personaggi sinora tratteggiati con maestria dal regista/attore che negli anni ha dovuto lottare per elevarsi da un’identità ancora cucita di “pistolero reazionario”.
Nulla di più sbagliato perché nel corso della sua lunga carriera, Eastwood ha saputo trar spunto da storie vere e biograficamente attendibili per delineare il destino e le scelte di personaggi carismatici, controversi, contradditori. Come dimenticare J Edgar il capo dell’FBI, Bird, il jazzista Charlie Parker o Chris Kyle il cecchino americano di American Sniper? E ancora: Walt Kowalski di Gran Torino, i tre amici del Midwest Spencer, Anthony e Alex che sventarono un attentato a un treno europeo, Earl Stone, l’orticultore e veterano della Corea diventato efficacissimo corriere della droga (The mule) e soprattutto Sully, Chesley Sullenberger, il pilota che salvò la vita all’intero equipaggio ammarando nell’Hudson ma finendo coinvolto in un’inchiesta sul delicato dilemma del “fattore umano”?
Dalla gloria all’esposizione mediatica, alla gogna e alla difficile quanto ottusa preponderanza dell’ordine precostituito, delle forze di polizia e del “quarto potere” nonché dell’opinione pubblica, ecco il grande tema di riflessione di Richard Jewell.
Il film è incentrato appunto sulla figura dell’omonima guardia giurata quarantenne (morta d’infarto nel 2007) bamboccione sovrappeso dotato di pedante zelo ma grande capacità di osservazione che durante le Olimpiadi di Atlanta del 1996, scoprì uno zaino bomba in un frequentatissimo parco di Atlanta pieno di persone per un concerto, riuscendo a evitare una strage ben peggiore di quella occorsa ma finendo per essere accusato di essere il responsabile dell’attentato.
Il volto è quello di Paul Walter Hauser (bravissimo) capace di calarsi con maestria nei panni del timido nonché solingo Richard che, come ogni piccolo “inetto”, Svevo dixit, sogna un futuro diverso dalla sua frustrante alienazione quotidiana (il suo ruolo è quello inizialmente di rifornire con prodotti di cancelleria una ditta dove conoscerà proprio il suo “deus ex machina”, Watson Bryant, un avvocato di dubbia fama ma dal cuore grande interpretato da un convincente Sam Rockwell). Licenziato a causa di un eccesso di zelo sia nella ditta che presso un’università dove operava come tutore della sicurezza ed era immancabilmente sbeffeggiato nell’esercizio delle sue mansioni da alcuni giovani matricole, trova l’aspirazione della sua vita nel lavoro di guardia giurata di presidio all’Olympic Centennial Park di Atlanta. La sua indole di novello sceriffo di una cittadina di provincia, alle prese con scherzi perpetrati da adolescenti e il classico scherno (per la sua pignoleria osservativa), trova il redde rationem nello zaino pieno di bombe. E salva o comunque evita un massacro, ridottosi a due morti e un centinaio di feriti.
Richard diventa eroe. Tutti ne parlano, la madre Bobo (Kathy Bates) ne è orgogliosa. Richard assapora quanto la vita gli ha sempre negato, ovvero la gloria, la mondanità specchiata nella proposta addirittura di scrivere un libro (chiaramente composto dal solito ghost-writer) assolvendo al mestiere che ha sempre desiderato sin da bambino ovvero essere un “uomo di legge”.
Si sa tuttavia che la fama è effimera e che come una freccia dall’alto scocca, vola veloce di bocca in bocca. Anche di quelle più infamanti. Infatti, il quarto potere, il quotidiano locale Atlanta Journal-Constitution, trova nella figura dell’eroe il principale sospettato suffragato da fonti e indagini interne dell’FBI, proprio quell’ente governativo così adorato da Richard.
Sarà solo l’inizio di un incubo in cui le vicende giudiziarie e i confronti privati con la madre sempre più esasperata ma mai arrendevole, vedranno il protagonista coinvolto in un’ingiustizia profonda di fondo, in un processo sommario, schernito da avvoltoi della stampa e poliziotti federali (bersagli del potere preferiti di Eastwood), incarnati dalla femme fatale Kathy Scruggs (Olivia Wilde) e dalla glaciale interpretazione di Tom Swaw (Jon Hamm), l’agente che conduce le indagini.
Richard, tuttavia, con quell’aria mite e quel comportamento posato, risponde sempre con pacatezza come Giobbe, con un comportamento che lo rende quasi “falso e contraddittorio” agli occhi della stessa opinione pubblica e del suo avvocato. Ma Richard non è falso, no. E’ semplicemente fiducioso. E’ arrabbiato dentro, malgrado la sua indole bonaria e remissiva; malgrado la “fissazione” per l’ordine, per le armi (unico punto comico in cui si riesce a sorridere a denti stretti), per la pignoleria, per l’osservazione della legge. In lui si nasconde il germe della delusione ma nutre accanto a questo sentimento la remota quanto indubbia speranza nell’operato dell’FBI, tale da giustificar dinanzi alla madre quella violazione necessaria della privacy con il sequestro dei beni (persino dell’intimo della donna) e l’umiliazione del suo buon nome. Richard subisce tutto, persino la perdita della dignità con il muto rispetto che quelle indagini siano necessarie e fondamentali per provare la sua innocenza nonostante le indicazioni dello stesso avvocato: sarai fritto se continui a comportarti come uno zerbino, paiono trovare in lui un mite cenno d’assenso. Ma è solo facciata. Perché alla fine Richard saprà dar risposta a tutti con stile e orgoglio.
Eastwood in due ore e dieci ci fa sprofondare nei sogni di un popolo americano pronto a votare al cinismo, a innalzare su un piedistallo un uomo come eroe e ancor più velocemente a desiderarlo morto. Non risparmia nulla: dai presunti scoop investigativi mossi da reporter, spesso incapaci e senza titoli ma sufficientemente avvenenti da ottenere la posizione che ricoprono, subdoli al punto da essere capaci di doppi-giochi e sobillazioni, persino prostituirsi, pur di assicurarsi esclusive di prima pagina, ai processi sommari a cui sono necessarie spiegazioni e spiegazioni per trovar il punto debole di un castello di carte di sospetti semplicemente incoerenti. Non importa. Basta che parli. Basta che si difenda perché come si sa, difendersi è sempre ammettere la sconfitta di questi tempi. Chi perde spiega. E Richard spiegherà tanto sempre e comunque in confronti serrati da risultare falso e contraddittorio proprio perché vero.
C’è un po’ di Pirandello in Richard Jewell: l’unico mezzo per affermare la realtà dei fatti è negarla, dire il falso in un’attualità disarmante. Il tema della libertà di stampa collusa, delle indagini pilotate e della violazione dell’identità umana sono analizzati con cura e con giusto rigore dal regista. Ma c’è, sembra dirci Eastwood, soprattutto un sentimento del tempo vecchio quanto il mondo ma attuale capace di regnare incontrastato come germe in un mondo fatto di pupazzi, marionette e tanta, tanta maschera di cinica virtute: l’imbroglio. E l’unico antidoto con cui fronteggiarlo sembra essere il coraggio di non arrendersi mai, sempre e comunque.
Da vedere.
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vincenzo ambriola
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domenica 19 gennaio 2020
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un sapiente narratore della società americana
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Richard Jewell, un americano della Georgia, obeso, ligio al dovere fino al punto di trascendere e di pagarne le conseguenze. Si trova, per caso o forse perché l'ha voluto da sempre, nel punto giusto e nel momento giusto: Atlanta 1996, Olimpiadi, musica all'aperto, tanta gente, una bomba. Capisce la gravità del momento, mette in allerta la polizia e riesce a far sgomberare l'area dell'attentato, salvando centinaia di vite umane. Eroe per tre giorni, sospetto attentatore per tre mesi, durante i quali sarà sottoposto a un'insopportabile gogna mediatica. Solo sua madre e il suo avvocato credono nella sua innocenza, anche se disapprovano il suo tono conciliante con l'FBI e la fede nella giustizia governativa.
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Richard Jewell, un americano della Georgia, obeso, ligio al dovere fino al punto di trascendere e di pagarne le conseguenze. Si trova, per caso o forse perché l'ha voluto da sempre, nel punto giusto e nel momento giusto: Atlanta 1996, Olimpiadi, musica all'aperto, tanta gente, una bomba. Capisce la gravità del momento, mette in allerta la polizia e riesce a far sgomberare l'area dell'attentato, salvando centinaia di vite umane. Eroe per tre giorni, sospetto attentatore per tre mesi, durante i quali sarà sottoposto a un'insopportabile gogna mediatica. Solo sua madre e il suo avvocato credono nella sua innocenza, anche se disapprovano il suo tono conciliante con l'FBI e la fede nella giustizia governativa. Clint Eastwood riprende questa storia vera, ne afferra i tratti essenziali e li racconta con semplicità e chiarezza, al punto che lo spettatore riesce quasi a prevederne la trama e i sentimenti dei protagonisti. Eastwood non indugia su facili cliché, che esibisce invece candidamente senza enfasi o doppi sensi. Richard è così chiamato uomo Michelin, palla di lardo, ma anche "radar", ma sempre con grande naturalezza; l'avvocato è di scarsa levatura, ma non fa nulla per sembrare un principe del foro, ovviamente improbabile in pantaloncini corti e t-shirt. Anche i poliziotti sono raccontati come probabilmente sono in Georgia, nel profondo sud, attenti, efficienti, forse un po' ottusi e confusionari nel condurre un'indagine, mai arroganti o violenti come ci hanno mostrato tanti altri film in versione hard boiled. Un film all'altezza degli altri capolavori di Eastwood che, a novant'anni quasi suonati (li compirà a maggio) dimostra di essere un sapiente narratore della società americana, nel senso degli Stati Uniti.
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nino pellino
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domenica 19 gennaio 2020
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eastwood come sempre impeccabile
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L'ennesimno saggio di vita da parte di un grande Clint Eastwood.
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valewes
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domenica 19 gennaio 2020
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attori bravi, film prosaico
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Giusto giusto un anno dopo The Mule, Eastwood - novant'anni a maggio - torna con Richard Jewell, un film da più di due ore che, dove più dove meno, si attiene ai fatti realmente avvenuti ad Atlanta durante le Olimpiadi del '96. E già qui si intravedono le prime debolezze: dove avrebbe potuto creare, osare, dare anche solo un po' di colore, Billy Ray (sceneggiatore) si limita a esumare stucchevoli cliché per di più poco credibili. Così un giovane, aitante e avvenente agente di successo dell'FBI si vede "costretto" a rivelare un segreto di stato a un'impalpabile e procace giornalista (Olivia Wilde) che come unica arma di persuasione ha una seduzione fatta di prevedibili promesse sessuali (forse poi nemmeno mantenute).
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Giusto giusto un anno dopo The Mule, Eastwood - novant'anni a maggio - torna con Richard Jewell, un film da più di due ore che, dove più dove meno, si attiene ai fatti realmente avvenuti ad Atlanta durante le Olimpiadi del '96. E già qui si intravedono le prime debolezze: dove avrebbe potuto creare, osare, dare anche solo un po' di colore, Billy Ray (sceneggiatore) si limita a esumare stucchevoli cliché per di più poco credibili. Così un giovane, aitante e avvenente agente di successo dell'FBI si vede "costretto" a rivelare un segreto di stato a un'impalpabile e procace giornalista (Olivia Wilde) che come unica arma di persuasione ha una seduzione fatta di prevedibili promesse sessuali (forse poi nemmeno mantenute). D'ogni modo, oltre a far volutamente sfigurare FBI e media, la storia è priva di conflitto. La retorica dell' "eroe normale" o dell'"eroe non eroe" trasformato in mostro dai media cattivi e dall'FBI acciecata rimane troppo in superficie. Un eroe passivo che viene mostrato nelle sue stranezze e debolezze mai veramente motivate (da dove la passione per la divisa?) e in una parabola di crescita pressoché inesistente, percepibile solo grazie alle capacità espressive di un brillante P.W. Hauser. Anche Sam Rockwell e Kathy Bates, avvocato difensore e madre di Richard, contribuiscono a tenere un piedi un film in cui l'unica scena significativa ed efficace che sancisce la vittoria del protagonista è a cinque minuti dalla fine, ma potrebbe tranquillamente accadere 30/40 minuti prima. Se le due ore di film possono anche starci, è infatti impensabile che in così tanto tempo (per ben due volte!) non si trovi un secondo per mostrare il raggiungimento da parte del protagonista del suo unico sogno che sin dalle prime battute ci viene mostrato più e più volte. Come diavolo diventa vice sceriffo prima e finalmente agente di polizia poi? Insomma un film sciapo che, seppur ben realizzato (Di Caprio e Jonah Hill in produzione) e ben recitato, sciupa una buona storia senza mai decollare veramente, forse per la fretta nel realizzarlo, forse per la poca importanza data alle regole della scrittura di un buon biopic.
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cinefoglio
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domenica 19 gennaio 2020
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istantanea di richard jewell
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La traiettoria dell’esaltazione degli eroi americani è chiara nella filmografia di Eastwood che da un fatto di cronaca costruisce un crime-drama ricco di suspense e rivendicazione dell’ormai sopito American Dream – o così dovrebbe.
Clint Eastwood torna a parlare dell’America di oggi, con i suoi eroi e le sue vittime di un sistema scrupoloso ed indagatore che abusa dei suoi poteri per sopperire ad una propria mancanza di valori, onestà e protocolli.
Richard Jewell, uomo dall’elevato e personale senso della giustizia civile e un carattere samaritano, nello sventare (scoprire e minimizzare) un attacco terroristico durante le Olimpiadi di Atlanta, Georgia, si ritrova acclamato dalla folla come eroe americano.
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La traiettoria dell’esaltazione degli eroi americani è chiara nella filmografia di Eastwood che da un fatto di cronaca costruisce un crime-drama ricco di suspense e rivendicazione dell’ormai sopito American Dream – o così dovrebbe.
Clint Eastwood torna a parlare dell’America di oggi, con i suoi eroi e le sue vittime di un sistema scrupoloso ed indagatore che abusa dei suoi poteri per sopperire ad una propria mancanza di valori, onestà e protocolli.
Richard Jewell, uomo dall’elevato e personale senso della giustizia civile e un carattere samaritano, nello sventare (scoprire e minimizzare) un attacco terroristico durante le Olimpiadi di Atlanta, Georgia, si ritrova acclamato dalla folla come eroe americano. Un momento di gloria che durerà ben tre giorni prima che la stampa locale, grazie ad una soffiata trapelata del Federal Bureau of Investigation, su di un presunto profilo di eroe-dinamitardo - pittura l’encomiabile Richard come un potenziale sospetto se non di possibile terrorista. L’accanimento giudiziario e dei mass media sconvolgeranno la vita dell’adulto boy-scout proiettando lui e la sua famiglia in un inferno di perquisizioni, mandati, estorsioni, raggiri e speculazioni condite dal dissenso, poi disprezzo, della società tutta - che ne segue lo sviluppo come di una gossip story della rivista dal parrucchiere.
Il pubblico non deve avere paura perché la storia di Richard avrà un lieto fine con la promozione-ritorno al mondo della polizia di contea, l’inadeguatezza dell’indagine condotta dai federali che lo conferma “libero da sospetti” e la lacrimosa redenzione della stampa aggressiva, industria di scoop da vendita che si rende conto della differenza tra una storia plausibile ed una fantasia da prima pagina.
Come per la precedente fatica-lascito di Eastwood (The Mule – 2018), personalmente non sono riuscito a godere di quest’opera nella sua interezza.
Indubbiamente, il film si presenta bene, con un ampio lavoro di ricostruzione scenografica minuziosa, dai make-up al vestiario, ai luoghi dell’accaduto con il discreto supporto della fotografia di Bélanger che ne cura l’impatto sensoriale sul pubblico ben distante dal carattere giornalistico della vicenda. Con una narrazione semplice e lineare, scandita occasionalmente da brevi flashback didascalici, il film si segue facilmente nei suoi archi narrativi.
Supportato da una modesta performance degli attori con un Jewell - Paul Walter Hauser - fedele anche nella forma ed un Watson – Sam Rockwell – degna spalla ed amico avvocato, il resto - colpa della scrittura dei personaggi - rimangono assai piatti. Il film non decolla mai né tantomeno entusiasma anzi si lascia anticipare troppo facilmente e non parlo degli eventi della trama – che essendo di cronaca è data per presunta - ma dalla storia più intima dei protagonisti e delle loro reazioni da quelle reali-fattuali a quelle immaginate-cinematografiche.
La drammatizzazione di eventi realmente accaduti – attualmente tanto in voga - ha bisogno di qualcosa di più di brevi monologhi ingenui ed il pianto di una madre davanti le telecamere per istaurare un patto sincero con lo spettatore, assumendo che gli eventi si sappiano. A maggior ragione questo vale se non si conoscono, altrimenti la pellicola rimane intrappolata in una zona grigia contesa tra l’aspirazione ad essere semi-documentario, d’approccio, ed una banalizzazione dell’autonomia e delle relazioni tra i personaggi – la cui storia è riscattata solamente dalla memoria collettiva degli spettatori.
19/01/2020
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