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gianleo67
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sabato 20 ottobre 2018
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memories...from the florida age
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Le scorribande della piccola Moonie e dei suoi due amici del cuore, animano la monotona estate di un motel dormitorio alla periferia di Orlando, tra l'economia di sussistenza di un indotto commerciale di Disney World e la precarietà di ragazze madri che tirano a campare. A vigilare su di loro, come un angelo custode che tutto vede e tutto comprende, solo il compassionevole manager della struttura, un uomo di mezza età in rotta con la moglie, che non intende rinunciare al suo rapporto un figlio ormai adulto. Tra le illusioni psichedeliche di un'era spaziale in dismissione che agitavano i miraggi delle belve olografiche di un Ballard d'annata alla ruspante educazione sociale della Scout di Harper Lee, la favola dolceamara di un'America marginale e periferica, in cui l'incombente disgregazione ad opera delle forze centrifughe che mandano in frantumi gli ultimi scampoli di un sogno americano ridotto a merchandising viene miracolosamente arginata dai negletti valori della solidarietà e della compassione; una piccola Alamo dai colori pastello in cui sono arroccate le ultime speranze di un involontario esperimento urbanistico che riesce a tenere l'innocenza dell'infanzia miracolosamente stornata dalle miserie dell'età adulta e dalle scenografie posticce che gli fanno da sfondo.
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Le scorribande della piccola Moonie e dei suoi due amici del cuore, animano la monotona estate di un motel dormitorio alla periferia di Orlando, tra l'economia di sussistenza di un indotto commerciale di Disney World e la precarietà di ragazze madri che tirano a campare. A vigilare su di loro, come un angelo custode che tutto vede e tutto comprende, solo il compassionevole manager della struttura, un uomo di mezza età in rotta con la moglie, che non intende rinunciare al suo rapporto un figlio ormai adulto. Tra le illusioni psichedeliche di un'era spaziale in dismissione che agitavano i miraggi delle belve olografiche di un Ballard d'annata alla ruspante educazione sociale della Scout di Harper Lee, la favola dolceamara di un'America marginale e periferica, in cui l'incombente disgregazione ad opera delle forze centrifughe che mandano in frantumi gli ultimi scampoli di un sogno americano ridotto a merchandising viene miracolosamente arginata dai negletti valori della solidarietà e della compassione; una piccola Alamo dai colori pastello in cui sono arroccate le ultime speranze di un involontario esperimento urbanistico che riesce a tenere l'innocenza dell'infanzia miracolosamente stornata dalle miserie dell'età adulta e dalle scenografie posticce che gli fanno da sfondo. Basato su un'idea di cinema che propone uno sguardo in tralice sulla complessità di una nazione sempre più problematica e contraddittoria, misurandosi con tecniche di ripresa che riproducono un punto di vista sull'infanzia scevra da pietismi e pongono la sottesa metafora delle sue sperequazioni costantemente fuori quadro (ed a guardare il concept dell'ultima scena persino fuori fuoco), lo Sean Baker di questo Progetto Florida ci precipita nell'occhio placido di un ciclone tropicale in cui tutto scorre tranquillo, senza apparenti sussulti, tenendo a debita distanza la forza devastante dei venti che gli ruotano intorno, come fa con lo squallore di un sottaciuto degrado familiare che riceve un'inflessibile censura, con l'arrancare claudicante di qualche predatore sessuale e con i roghi lontani di una speculazione edilizia senza futuro che la ludica incoscienza degli infanti trasforma nell'inaspettato spettacolo di un pomeriggio estivo. Un minimalismo funzionale, senza retorica e che tuttavia non rinuncia al lirismo che solo una rappresentazione di rapporti umani veramente autentici riesce a trasmettere, toccando le corde di una commozione che gioca a rimpiattino con il tenero disincanto dei piccoli abitanti di un microcosmo favolistico da cui è possibile ammirare le immaginifiche mandrie di unicorni pascolanti, rincorrere le iridescenti promesse di un pentola d'oro alla fine dell'arcobaleno o precipitarsi a rotta di collo verso le guglie raggelate del castello di Arendelle che fa capolino in fondo ad un viale affollato di turisti. Tutti attori non professionisti, tranne un impareggiabile e laconico Willem Dafoe con quattro importanti nomination (Academy Awards, Globe, BAFTA,Screen Actors Guild Awards) come miglior attore non protagonista e la meravigliosa rivelazione dell'enfant prodige Brooklynn Prince, piccola novella Cristina Ricci con un nome che è tutto un programma, il rutto libero ed un dito medio già rivolto all'indirizzo del pubblico.
E la memoria è già dolore È già il rimpianto d'un aprile Giocato all'ombra di un cortile…
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felicity
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venerdì 2 agosto 2019
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ritratto tenero del sottoproletariato americano
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Il film mescola documentarismo e finzione come metodo d’indagine dello spazio urbano e dell’odierno tessuto sociale americano.
Un film ricco di contrasti, di entusiasmi infantili e di rassegnazioni quotidiane, di ingenua poesia e di consapevole prosa.
Un ritratto tenero e puntuale del nuovo sottoproletariato e dei suoi figli dove si rende immediatamente visibile e facilmente leggibile ciò che l'immagine (di Disney World, della Florida, dell'America) continua a nascondere.
Straordinaria la direzione degli attori: Willem Dafoe giganteggia, ma è attraverso gli occhi e l'esuberanza della piccola e bravissima protagonista che emerge quel senso di divertimento effimero e un po' malinconico che è il tono stesso del film.
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flyanto
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venerdì 30 marzo 2018
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un mondo come una favola apparente
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Come vivono la propria infanzia i bambini? Sognando e facendo volare la fantasia in mondi immaginari e fantastici. Ed è quello che fa la piccola protagonista di "Un Sogno Chiamato Florida" che vive con una giovanissima mamma (del padre non si ha notizia) la quale vive alla giornata, arranggiandosi. Al fine di mantenere se stessa e la figlioletta, infatti, questa mamma-ragazza si procura il denaro nei più disparati e moralmente poco edificanti modi possibili: o vendendo profumi scadenti o merce rubata all'ingresso di hotels di lusso o, addirittura, vendendo il proprio corpo nella squallida stanza del motel in cui vive con la bimba, confinando la piccola in bagno a giocare.
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Come vivono la propria infanzia i bambini? Sognando e facendo volare la fantasia in mondi immaginari e fantastici. Ed è quello che fa la piccola protagonista di "Un Sogno Chiamato Florida" che vive con una giovanissima mamma (del padre non si ha notizia) la quale vive alla giornata, arranggiandosi. Al fine di mantenere se stessa e la figlioletta, infatti, questa mamma-ragazza si procura il denaro nei più disparati e moralmente poco edificanti modi possibili: o vendendo profumi scadenti o merce rubata all'ingresso di hotels di lusso o, addirittura, vendendo il proprio corpo nella squallida stanza del motel in cui vive con la bimba, confinando la piccola in bagno a giocare. La bambina trascorre le giornate serena giocando e facendo dispetti in giro insieme ad altri bimbi suoi coetanei che vivono più o meno nelle sue stesse condizioni, finchè la situazione precipita notevolmente e alla giovane mamma viene tolta la custodia della figlia che dovrà così andare in affido presso una famiglia a lei più adatta ....
"Un Sogno Chiamato Florida" è un film sull'infanzia, sull'innocenza e sulla precarietà di questo breve periodo di felicità ed 'ignoranza' che i bambini trascorrono i primi anni della loro esistenza. La piccola protagonista (interpretata, peraltro, da una bambina molto spontanea ed espressiva), viene, infatti, ritratta felice ed incosciente dello squallore della situazione familiare ed ambientale in cui vive: ha una mamma che, seppure le voglia molto bene, per una serie di circostanze non è assolutamente in grado di crescere ed educare la propria figlia che incoscientemente lascia libera di scorazzare per le strade e per i dintorni del motel in cui vivono, incurante di eventuali pericoli. Il dramma di questo film è proprio questo: l'inadeguatezza dell'ambiente familiare in cui crescono molti bambini e l'insufficienza del sentimento d'amore, sia pure sincero e profondo, che lega un genitore ed un figlio. Nella superficialità e nei colori accesi di un mondo che assomiglia più ad un baraccone, nel caso specifico quello dello scenario della Florida, esistono dei drammi quotidiani di una gravità e di uno squallore con cui, purtroppo, poi bisogna fare i conti.
Insomma, un film assai realistico, seppure fortunatamente raffigurante una condizione estrema, e di forte impatto emotivo ma nello stesso tempo anche poetico e sognatore se lo si guarda con gli stessi occhi della bimba innocente protagonista.
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cardclau
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venerdì 23 marzo 2018
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psicopatologia della miseria
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Sean Baker deve essere encomiato, per farci vedere la vera faccia dell'america, degli Stati Uniti dei pochi, ma elettori, di Trump, dove non c'è posto per gli ultimi, la di gran lunga maggioranza, e dove alligna la miseria e la malattia mentale. Dove non c'è posto per la speranza, ma solo nera disperazione e una coatta assenza di proggettualità. Un america di cartapesta, valuesless (a parte "the money", il danaro), dove la gente, a meno che non sia iperdotata, non può ribellarsi, ma solo rifugiarsi in un individualismo impotente. Non c'è posto per loro (forse solo il carcere, o arruolarsi). E che ne sarà di noi, che agognamo a quel modello di vita? Una immagine desolatamente realistica, e incredibilmente deprimente.
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Sean Baker deve essere encomiato, per farci vedere la vera faccia dell'america, degli Stati Uniti dei pochi, ma elettori, di Trump, dove non c'è posto per gli ultimi, la di gran lunga maggioranza, e dove alligna la miseria e la malattia mentale. Dove non c'è posto per la speranza, ma solo nera disperazione e una coatta assenza di proggettualità. Un america di cartapesta, valuesless (a parte "the money", il danaro), dove la gente, a meno che non sia iperdotata, non può ribellarsi, ma solo rifugiarsi in un individualismo impotente. Non c'è posto per loro (forse solo il carcere, o arruolarsi). E che ne sarà di noi, che agognamo a quel modello di vita? Una immagine desolatamente realistica, e incredibilmente deprimente. Il problema risiede nel fatto che Sean Baker non riesce a far recitare credibilmente i bambini in questa parte decisamente difficile, caratterizzata da una assenza delle figure genitoriali, per rintuzzare, limitare, permettere di elaborare, il delirio di onnipotenza, per cui a loro, altrimenti, tutto è permesso. In modo, però, decisamente anaffettivo. La madre vera, di personalità borderline, pierced e ampiamente tatuata, sempre col la sigaretta in bocca, troppo spesso con lo smartphone, si squaglia troppo rapidamente, e in un desiderio, vacuo e incomprensibile di figliolanza. Le femmine del servizio sociale sono incapaci di compredere alcunché, malgrado i loro studi, del mondo infantile. Anche Willem Dafoe, solitamente un cattivo splendido, ha una parte inconsistente. E' mai possibile che gli americani, molto seri nel portare studi che evidenziano che i poveri campano meno a lungo dei ricchi, siano assolutamente ciechi nel vedere che 2 + 2 fa 4?
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(di mitchell71)
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ediesedgwick
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martedì 27 marzo 2018
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non scherziamo. pessimo
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Operetta a-morale d'impronta squisitamente indie, uno di quei film spazzatura, in crosta di Sundance. Non mi dilungherò stavolta, non c'è niente da definire più di tanto. E' un diorama bambinesco della vitaccia sboccata e puberale della perfieria della Florida, con tanto di pedofili rimbambiti che gironzolano nei giardinetti (probabilmente la scena che ha fatto invaghire gli Oscar di Dafoe, capirai), cioé una roba che può prediligere solo quella critica-progresso americana che si accontenta sempre delle peggio cretinate. Una pallosissima, inguardabile ora e mezza stridula e concitata di cazzeggio dei bambinetti e rispettive, raccomandabili tutrici.
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Operetta a-morale d'impronta squisitamente indie, uno di quei film spazzatura, in crosta di Sundance. Non mi dilungherò stavolta, non c'è niente da definire più di tanto. E' un diorama bambinesco della vitaccia sboccata e puberale della perfieria della Florida, con tanto di pedofili rimbambiti che gironzolano nei giardinetti (probabilmente la scena che ha fatto invaghire gli Oscar di Dafoe, capirai), cioé una roba che può prediligere solo quella critica-progresso americana che si accontenta sempre delle peggio cretinate. Una pallosissima, inguardabile ora e mezza stridula e concitata di cazzeggio dei bambinetti e rispettive, raccomandabili tutrici. La "recitazione" (per così dire, non si offendano gli attori quelli veri) della protagonista è una cosa indifendibile, per gradire, senza scuse la più scipita, legnosa, fastidiosa, puerile, superficiale, insignificante che si possa apprezzare in un film da qualcosa come dieci anni (dai tempi di Liv Tyler e neanche paragonabile, per intenderci) ma mi ha sorpreso la giustificazione dell'ambiente, del modo di concepire una frattura di realtà eccetera... beh no, non c'entra il personaggio solo perché lo è altrettanto, sguaiato, borderline, quello che sia, non può essere una scusante. E' tutto veramente ma veramente orripilante, non so come faccia qualcuno a dire che è ben recitato (ma cosa avete negli occhi?) - letteralmente la stessissima, irritantissima espressione da teenager scorbutica, ribelle, zoticissima stampata in faccia dall'inizio alla fine, che rispecchia perfettamente l'insulsaggine delle intenzioni di uno squallore divertito. Sarà pure presa diretta, nuda, spiccicata dalla strada, ma ore di smorfie e sbraiti lamentosi monofacciali non sono né recitazione né un estratto suburbano, al di là che si debba imputare a una scelta di "neorealismo" made in usa, come qualcuno ha detto (un complimentone superfluo, fate il favore). Mi ha colpito quello, la sufficienza, dacché il film in sé e per sé mi ha lasciato meno di zero, è come il chewing gum nei capelli o l'assorbente stampigliato sul vetro della residence (che gran trovata, degna di un capolavoro), infantile come pochi. Il tempo darà ragione a chiunque per caso ci abbia solo visto un modo di imbrattare la nozione di cinema per tutta grazia di un trovatello di 'regista' (anche qui è dura metterla così) figlio di Sundance. Forse a questo punto vedo che mi tratto fin troppo bene in quanto films, perché vorrei riavere indietro la visione devoluta a questa scemenza strillante di ricognizione di quel degrado dei sobborghi bifolchi, appestati dalla mala-educazione trasparente d'innocenza, a pennello nel finale, che scende come una pezza sulle patetiche ragioni del film.
Voto: 3.5 / 10
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