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Un sogno chiamato Florida: i bambini al cinema, una questione politica

Il film di Sean Baker guarda a Zero in condotta di Jean Vigo, non cambia la percezione del mondo ma conquista a buon merito il suo posto nel "cinema dei bambini". Al cinema.
di Roy Menarini

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Bria Vinaite - Gemelli. Interpreta Halley nel film di Sean Baker (II) Un sogno chiamato Florida.
sabato 24 marzo 2018 - Focus

I bambini al cinema sono una questione politica. Al contrario di quanto si può pensare, ovvero all'infanzia come tema di facile identificazione da parte del segmento famigliare degli spettatori, nella storia del cinema i bambini hanno dato vita a vere e proprie rivoluzioni dello sguardo. Secondo filosofi come Gilles Deleuze, per esempio, il neorealismo deve molto alla scelta di riprendere il mondo all'altezza dei piccoli, corrispettivo di una speranza verso nuovi codici con cui guardare (e costruire) l'Italia. Ma sono moltissimi gli autori che hanno identificato nell'infanzia o nella prima adolescenza il momento-chiave per inventare nuove forme, di vita e di cinema: guarda caso un'altra rivoluzione artistica, la Nouvelle Vague, nasce con le peripezie di Antoine Doinel nei 400 colpi. E tanti altri sono i capolavori, mai pietisti né superficiali, che sanno dire la verità sul momento vitalistico, contraddittorio, formidabile e terribile dell'essere bambini, da Ozu a Kiarostami, passando per i capolavori di Loach, Tarkovskij, Vigo.

E proprio a Zero in condotta sembra guardare Sean Baker con il suo Un sogno chiamato Florida (guarda la video recensione), che magari non ha intenzione (né i mezzi artistici) per fare rivoluzioni cinematografiche ma almeno la capacità di osservare con grande onestà quel che racconta.
Roy Menarini

Tutto infatti ruota intorno alla capacità di questi piccoli personaggi (e di questi piccoli attori) di fornire una dimensione politica senza nemmeno saperlo. L'idea di base, decisamente riuscita, di esemplificare le disparità mostruose dell'America attraverso una contraddizione esplicita (il non-luogo dorato di Disneyworld contro il confinante motel-formicaio dei reietti) funziona perfettamente e Un sogno chiamato Florida può calare i suoi protagonisti con una certa precisione antropologica in questo contesto.


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In foto una scena del film Un sogno chiamato Florida.
In foto una scena del film Un sogno chiamato Florida.
In foto una scena del film Un sogno chiamato Florida.

Baker, per fortuna, sa anche declinare e armonizzare le scelte di regia all'ambiente rappresentato. La Florida con i suoi colori lisergici, i suoi edifici in mezzo a gigantesche autostrade, i supermercati e gli store dagli improbabili toni confetto, i luoghi di consumo allusivi nei confronti del mondo caramelloso e stucchevole dell'immaginario Disney, possiedono caratteristiche precise, che non possono essere riprese in modo anonimo. Il regista, perciò, privilegia l'uso dei piani fissi e dei totali quando Moonie e sua madre si allontanano da casa, la steady-cam ogni volta che insegue i ragazzini che corrono su e giù attraverso le scale e i piani del motel, e i primi piani nei momenti drammaticamente più probanti. Fino a ottenere intensità davvero sorprendenti (difficile a quel punto resistere al pianto di una bambina che si trova alle prese con un trauma più grande di lei e cerca in tutti i modi di dargli un nome).

Vigo era certamente più virulento nel mettere in scena l'anarchica rivolta dei suoi collegiali, e nulla lega quella Francia parruccona a questa America disperata a sradicata, eppure il rifiuto di ridurre a categoria sociologica Moonie e i suoi amici, presentandoceli fin dalla prima scena come piccole canaglie insubordinate e dal linguaggio osceno, corteggia quella parte di storia del cinema, e non altre.
Roy Menarini

Insomma, Un sogno chiamato Florida non cambia la percezione del mondo, non sposta il cinema più in là, non va molto oltre il (miglior) cinema "indie" a stelle e strisce con i suoi emarginati e le sue critiche politiche, ma conquista a buon merito il suo posto nel "cinema dei bambini".


RECENSIONE

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