Finché c'è prosecco c'è speranza

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bollicine venete Valutazione 4 stelle su cinque

di sergiodalmaso


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sabato 13 gennaio 2018

“Un spris: va ben. Do spris: stà tento.  Tre spris: te si ciavà.”        apertura del romanzo
 
 
Negli anni novanta uno spot di una banca veneta, oggi non più esistente, affermava che “per capire il Veneto bisogna esserci nati”. Magari non è proprio così. Con un po’ di pazienza e sensibilità si può comprendere qualsiasi cultura e tradizione. Per saperlo raccontare, il Veneto, serve invece qualcosa in più. Un grande affetto per questa terra, innanzitutto, unito alla sincerità e all’onestà di non nasconderne  i problemi e le contraddizioni.
Tutte doti che non mancano all’esordiente regista trevigiano Antonio Padovan e allo scrittore Fulvio Ervas, autore dell’omonimo romanzo a cui è ispirato Finché c’è prosecco c’è speranza. Come afferma lo stesso regista, tornato a casa dopo dieci anni vissuti a New York, il film è una lettera d’amore ai luoghi dell’infanzia, con i suoi splendidi vigneti collinari, i borghi antichi e le vecchie osterie.
Pian piano i bizzarri personaggi al centro della storia svelano l’anima di un territorio tenace e orgogliosamente legato alle proprie tradizioni, ma anche ferito, accecato dall’avidità e dall’invadenza della produzione vinicola massiva. I tempi lenti del vino e la sostenibilità della terra mal si accompagnano all’insensata fretta del business e della conquista dei mercati mondiali.
Sofferente ai ritmi della viticultura moderna è il saggio conte Desiderio Ancillotto, vero custode dell’antica tradizione del  prosecco, arcigno vignaiolo che preferisce tenere ogni anno un ettaro incolto per farlo riposare, per rispetto della terra, giusto “per non chiederle più di quello che può dare”.
Oramai isolato dalla comunità dei produttori il conte viene trovato morto, apparentemente suicida. Il caso viene affidato dal timoroso questore di Treviso al corpulento neoispettore Stucky. A prima vista goffo e sgraziato, Stucky si dimostra invece tenace e determinato, polenton sì, ma miga mona.
E c’è bisogno di tutto il suo intuito e della sua perseveranza perché la storia si complica a dismisura. Dopo il ritrovamento del cadavere del conte avvengono altri omicidi, tutti inspiegabilmente legati da un filo rosso proprio al defunto Desiderio Ancillotto. La matassa invece che sbrogliarsi si ingarbuglia.
Lo scenario della vicenda si popola di personaggi eccentrici e strambi, come la figlia del conte che torna dall’Argentina per l’eredità o il matto del paese che intuisce prima degli altri il torbido della storia. Personaggi stravaganti, certo, ma mai eccessivi. Mantengono quel tono garbato e lieve che caratterizza il film, senza mai diventare invadenti o macchiette. Finché c’è prosecco c’è speranza è un giallo atipico, per nulla inquietante né ansiogeno, risulta piuttosto soave, fresco e a tratti frizzante come le bollicine del prosecco. Le risate non mancano. Merito senza dubbio di un gruppo di attori affiatati e impeccabili, a partire dal formidabile Giuseppe Battiston, che rappresenta in modo esemplare l’umanità tipicamente veneta dell’ispettore Stucky. Non meno azzeccati gli altri personaggi, in particolare il conte interpretato dal grande Rade Serbedzija, il pavido commissario da Roberto Citran e il matto del paese reso brillantemente da Teco Celio.
Vero protagonista resta aaperò il territorio, con la sua ancestrale cultura del vino e le magnifiche colline dai vigneti scoscesi e ordinati che vanno da Conegliano fino a Valdobbiadene, magnificamente riprese con un drone e fotografate con grazia da Massimo Moschin.        
Con i dovuti distinguo la regia di Padovan ricorda per molti aspetti il cinema di Carlo Mazzacurati: il profondo affetto per la terra natia e la lucida leggerezza nel raccontarla del rimpianto cineasta padovano li ritroviamo nell’esordio di Padovan. Tra l’altro anche Mazzacurati aveva esordito, trent’anni fa, con un giallo ambientato nel Veneto, lo splendido Notte italiana.
Una scommessa vinta quella del produttore Nicola Fedrigoni e della K2 di Verona, sorprendente soprattutto se considerati i mezzi limitati e la scarsa attenzione di buona parte delle istituzioni culturali locali. Peccato, perché Finché c’è prosecco c’è speranza, presentato alla Festa del Cinema di Roma e in molti festival in tutto il mondo, ben rappresenta la cultura di questa regione.
Senza supponenza, con il rispetto e l’orgoglio con cui il nonno del conte diceva al nipotino “ricordati che quanto questa terra sarà tua, anche tu sarai suo.”    

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