vanessa zarastro
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venerdì 9 novembre 2018
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il dolore della diversità
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Sebastian Lelio è un regista cileno che ama indagare nei sentimenti di persone in qualche modo “diverse”, per poi mettere in luce le loro sofferenze. In questo film affronta il tema delicato come la diversità sessuale, anche quella non palesemente dichiarata, in una piccola comunità ebraica di Golden Greens a Londra, in epoca contemporanea o forse di poco retrodatata. La comunità è una religiosa osservante – haredi? – e molto rispettosa delle tradizioni.
Il film “Disobedience”, presentato allo scorso Toronto International Film Festival,ètratto dall’omonimo best seller di Naomi Alderman che, appunto, è nata e cresciuta nella comunità ebraica ortodossa di Hendon, e poi ci è tornata dopo alcuni anni passati a New York.
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Sebastian Lelio è un regista cileno che ama indagare nei sentimenti di persone in qualche modo “diverse”, per poi mettere in luce le loro sofferenze. In questo film affronta il tema delicato come la diversità sessuale, anche quella non palesemente dichiarata, in una piccola comunità ebraica di Golden Greens a Londra, in epoca contemporanea o forse di poco retrodatata. La comunità è una religiosa osservante – haredi? – e molto rispettosa delle tradizioni.
Il film “Disobedience”, presentato allo scorso Toronto International Film Festival,ètratto dall’omonimo best seller di Naomi Alderman che, appunto, è nata e cresciuta nella comunità ebraica ortodossa di Hendon, e poi ci è tornata dopo alcuni anni passati a New York.
L’amatissimo Rav Krushka muore e la comunità si stringe attorno ai parenti (il fratello e la sua famiglia) e al “figlio spirituale” David Kuperman (il bravo e poliedrico Alessandro Nivola) di cui il Rav ha curato l’educazione religiosa. Come da tradizione ebraica viene celebrata la settimana di lutto (Avelut) e, avvertita da Esti (la bravissima Rachel Mc Adams), arriva da New York anche Ronit (la splendida Rachel Weisz) la figlia trasgressiva del Rabbino morto.
Era partita anni prima e nessuno aveva avute più sue notizie. Si sapeva solo che faceva la fotografa in giro per il mondo. Non si è mai sposata, vive da single, e si veste da “newyorkese”, come notato da una signora maligna della comunità, non porta neanche la parrucca, come fanno molte donne ebree omologate. «Sembri proprio una frum» dice Ronit a Esti. Essere “frum” vuol dire esser devoti o pii e cioè prendere delle precauzioni contro i “frei”, i liberi e non osservanti le regole e convenzioni judaiche.
Il riavvicinamento delle due amiche, ed ex amanti, riaccenderà l'antica passione, probabilmente mai sopita e ritenuta inaccettabile dall'intera comunità.
Lo spazio è claustrofobico e plumbeo, come la stanza degli ospiti senza finestre apribili, dove dorme Ronit. Ed è sintomatico che quando Ronit ed Esti sfuggono ai pettegolezzi e in metropolitana raggiungono il centro, Londra risplenderà in pieno sole.
I primi piani di queste due bellissime donne, nella bella fotografia di Danny Cohen, mostrano il vibrare delle sensazioni: l’anticonformista Ronit, che apparentemente sembra la più forte – è piena di sensi di colpa nei confronti del padre e soffre per non essere ben accetta, mentre la timida e apparentemente docile Esti è una passionale tormentata e, a tratti, si sente pronta a rischiare tutto per appagare il suo amore.
Nel film sembra che il sesso sia uno strumento di liberazione dal peso di una società repressiva che ha nella religione il pilatro fondante. Ma le donne si vogliono ribellare, Esti è combattuta tra le sue pulsioni sessual-amorose e una vita come il faut, “a nice Jewish girl” moglie di un rabbino, un bravo ragazzo con cui ha giocato fin dall’infanzia. Non ha coraggio di fuggire ma neanche quello di restare. Ronit invece è stata, più o meno, ripudiata dal padre che non le ha lasciato in eredità neanche la casa di famiglia, e che invece ha donato alla sinagoga. «Mi ha lasciato una pipa» dice Ronit a Esti nella casa vuota del Rav: un lascito ironico nella sua simbologia palesemente maschile.
Vorrei sottolineare un dettaglio nelle primissime scene che mi ha incuriosito: Robit, appena saputo della morte del padre, va a pattinare per sfogarsi, ma nello spogliatoio ansimando e in preda ad un attacco d’angoscia, si strappa la maglia: questo gesto è la Kerià, che consiste, in caso di decesso di un genitore, nella lacerazione delle vesti dalla parte sinistra in corrispondenza del cuore. Quindi anche se Ronit è fuggita ed è molto lontana, la tradizione resta ed è ancora sentita.
Il film è notevolmente intenso e, nei limiti in cui io possa giudicare, mi pare che il regista abbia ben rappresentato il milieu conservatore ebraico e, in generale, riprodotto in modo esemplare un ambiente provinciale. Infatti, il dramma di due donne omosessuali diversamente ebree, finisce per assumere i contorni di una storia universale sul coraggio di liberarsi dai vincoli che stritolano, soffocano e opprimono la libertà d'espressione.
È strano però come un regista devisamente di “donne” in questo film renda più amabile alla fine, il vero personaggio maschile, il bravo Dovid (Alessandro Nivola) che, a suo modo, si ribella alle convenzioni.
Sebastian Lelio, ha frequentato a Santiago l’”Escuela de Cine de Chile“ un ambiente culturalmente vivace nel quale si è formato il gruppo di registi che oggi rappresenta la più importante corrente cilena del dopo Pinochet. Lo stesso Pablo Larraín Matte, tra i produttori di “Una donna fantastica”, Matías Bize, Andrés Wood, Patricio Guzmán, Gonzalo Maga (sceneggiatore di Lelio) e altri, portano avanti il loro cinema come atto di una liberazione in corso.
Forse Disobedience”non è il migliore dei film di Lelio: nel 2013 con “Gloria” era diventato noto nel panorama internazionale, poiché Paulina Garcia aveva conquistato un Orso d'Argento a Berlino per la miglior interpretazione femminile, mentre il suo film “Una donna fantastica”, aveva ottenuto l’Oscar 2018 come miglior film straniero e migliore sceneggiatura.
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flyanto
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mercoledì 31 ottobre 2018
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una relazione impossibile in un ambiente chiuso
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“Disobedience”, ovvero quando si va contro ai dettami stabiliti, è l’ultima pellicola del regista argentino Sebastian Lelio che affronta il delicato e quanto mai scomodo tema di una relazione sentimentale omosessuale. Nel suddetto film, più precisamente, si tratta del legame tra due donne della comunità ebraica ortodossa londinese che ovviamente, desta scandalo e non viene assolutamente accettato da tutti i congreganti in quanto contrario alle leggi stabilite dalla Torah.
La protagonista (Rachel Weisz) è la figlia del rabbino che, alla morte del padre, torna nella natia Londra da New York dove ora vive essendosi allontanata, ‘ripudiata’, anni prima a causa dello scandalo suscitato da una sua attrazione/relazione con un’altra giovane donna (Rachel Mc Adams) appartenente alla Comunità.
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“Disobedience”, ovvero quando si va contro ai dettami stabiliti, è l’ultima pellicola del regista argentino Sebastian Lelio che affronta il delicato e quanto mai scomodo tema di una relazione sentimentale omosessuale. Nel suddetto film, più precisamente, si tratta del legame tra due donne della comunità ebraica ortodossa londinese che ovviamente, desta scandalo e non viene assolutamente accettato da tutti i congreganti in quanto contrario alle leggi stabilite dalla Torah.
La protagonista (Rachel Weisz) è la figlia del rabbino che, alla morte del padre, torna nella natia Londra da New York dove ora vive essendosi allontanata, ‘ripudiata’, anni prima a causa dello scandalo suscitato da una sua attrazione/relazione con un’altra giovane donna (Rachel Mc Adams) appartenente alla Comunità. Nel corso delle giornate per i preparativi del funerale, ella rincontra l’amata che nel frattempo si è sposata, con l’intenzione di formare una numerosa famiglia secondo le leggi ebraiche, col futuro successore del rabbino defunto, uno studioso della Torah. La passione tra le due donne ovviamente scoppia di nuovo, destando ancora una volta scandalo e disapprovazione tra gli individui della Comunità e mettendo profondamente in crisi la giovane sposa, ancora in qualche modo legata alla ristretta mentalità ed ai rigidi dettami che la sua religione impone. Sarà una breve e dolorosa parentesi per entrambe ………..
Senza svelare pienamente il finale, sin dall’inizio si intuisce che la storia sentimentale tra le due protagoniste è incanalata in un percorso difficile e talmente pieno di ostacoli che procurerà loro non solo altrui disapprovazione e personali sensi di colpa ma anche la costrizione ad avere la forza necessaria a prendere delle decisioni importanti per la propria esistenza. E tutto questo ‘iter’ sentimentale altamente drammatico viene da Lelio molto bene e dettagliatamente descritto attraverso la presentazione, nonché la loro contrapposizione, in quanto ognuna con caratteristiche diverse (una più disinibita ed emancipata, l'altra più timida e timorosa), dei due personaggi femminili che agiscono all’interno di una comunità religiosa fortemente chiusa, rigida e poco propensa ad ‘aprirsi’ verso nuovi orizzonti.
Il tema di una relazione sentimentale omosessuale al femminile è stato già ampiamente trattato in altre pellicole precedenti (vediil recentissimo “Carol” con Cate Blanchett e Rooney Mara) e pertanto non risulta più una novità ma, in ogni caso, “Disobedience” è un film attuale e quanto mai realistico e proprio in quanto tale diventa il vivo spunto per serie riflessioni.
Inoltre, pur non raggiungendo la sensibilità e l’originalità e, pertanto, la riuscita, del precedente “Una Donna Fantastica” (dove anche qui il regista affrontava il tema dell’omosessualità e della discriminazione), “Disobedience” conferma Sebastian Lelio come un autore che riesce sempre e comunque ad emozionare con le sue opere cinematografiche perché egli è in grado di centrare le problematiche concernenti svariate condizioni, soprattutto dal punto di vista femminile, analizzandole in tutti i loro aspetti in maniera esplicita e nel contempo delicata.
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silver90
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giovedì 1 novembre 2018
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un altro sguardo
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Ambientato in una comunità ebraica ortodossa, il film si apre su un discorso del rabbino capo sulla differenza tra angeli (che non possono fare a meno di perseguire il bene) bestie (che seguono soltanto gli istinti) e gli esseri umani, cui invece è concesso il libero arbitrio. Questo preludio è fondamentale per introdurre la vicenda di una lenta ma progressiva educazione sentimentale, che coinvolge tre persone: Ronit donna solo apparentemente risolta, che si è allontanata dalla comunità ebraica e vive a New York lavorando come fotografa, è la figlia del rabbino capo; Esti è la sua vecchia fiamma, una donna che invece ha represso la sua natura per cercare una stabilità accanto a un uomo, ma a prezzo di un conflitto interno enorme; infine Dovid, cugino della prima e marito della seconda, è l'unico che non esita a offrire alle sue donne il suo ruolo all'interno della comunità e la sua protezione, anche a costo di rimetterci in prima persona.
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Ambientato in una comunità ebraica ortodossa, il film si apre su un discorso del rabbino capo sulla differenza tra angeli (che non possono fare a meno di perseguire il bene) bestie (che seguono soltanto gli istinti) e gli esseri umani, cui invece è concesso il libero arbitrio. Questo preludio è fondamentale per introdurre la vicenda di una lenta ma progressiva educazione sentimentale, che coinvolge tre persone: Ronit donna solo apparentemente risolta, che si è allontanata dalla comunità ebraica e vive a New York lavorando come fotografa, è la figlia del rabbino capo; Esti è la sua vecchia fiamma, una donna che invece ha represso la sua natura per cercare una stabilità accanto a un uomo, ma a prezzo di un conflitto interno enorme; infine Dovid, cugino della prima e marito della seconda, è l'unico che non esita a offrire alle sue donne il suo ruolo all'interno della comunità e la sua protezione, anche a costo di rimetterci in prima persona. Bellissimo il personaggio della Weisz, che vive il disagio da una prospettiva più esterna rispetto a Esti. Anche se entrambe anelano a trovare in quello spazio disabitato che sono i ricordi una via d'uscita che le scagioni dai sensi di colpa, dal loro sentirsi diverse in un contesto che le sminuisce o non le valorizza. Ma dovranno rendersi conto ben presto che il libero arbitrio va anche afferrato con decisione una volta per tutte, concedendo all'altro la stessa possibilità di scelta. Bello, intenso, soprattutto nella scena di sesso lesbico, Disobedience è un invito alle donne a farsi avanti, a lasciare o mettere da parte i pregiudizi costruiti da altri o da loro stesse nel corso della vita per poter godere appieno la propria libertà. Un concetto che spesso fa il pari con la moralità. E si ritorna così al discorso iniziale del rabbino, compianto da un'intera comunità che non accetta il diverso, né vuole farci i conti. Perché giustificare, magari attraverso la fuga o un matrimonio riparatore, invece di provare anche solo l'illusione di aggiustare le cose? E così diventa importante anche il ruolo del maschio, in una triangolazione amorosa che non ha nulla di sporco né di sbagliato; semmai la figura di Dovid, sfacettata e complessa, come quelle femminili, offre loro forse una maggiore attenzione rispetto a quella fornita dal padre assente di Ronit. Volendo trovare un difetto, il film parte lento per accelerare nel finale, forse un po' frettoloso. Ma offre comunque un altro sguardo sui rapporti sentimentali, in cui la ribellione appena accennata o soffocata sposa invece appieno la libertà, concedendo all'altro la stessa possibilità di scelta.
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mariateresa
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domenica 4 novembre 2018
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alienazione e rinascita nella comunità ebraica
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Cosa significa disobbedire? Ribellarsi per il puro gusto di farlo o piuttosto salvarsi la vita esercitando il dono del "libero arbitrio" ?
È questo il tema portante di quest'opera in cui la comunità ebraico-ortodossa (con i suoi riti, i suoi dogmi ed i suoi tabù) e l'amore passionale tra due donne (con la sua carica dirompente di scandalo e rottura) costituiscono rispettivamente sfondo e pretesto.
Libero arbitrio dunque, è questo il logos che apre e chiude il film e che porta lo spettatore più sensibile a superare la semplice narrazione e ad interrogarsi su ciò che davvero, attraverso il peso e la responsabilità della scelta, fa di ogni essere umano un essere autonomo e responsabile di sé.
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Cosa significa disobbedire? Ribellarsi per il puro gusto di farlo o piuttosto salvarsi la vita esercitando il dono del "libero arbitrio" ?
È questo il tema portante di quest'opera in cui la comunità ebraico-ortodossa (con i suoi riti, i suoi dogmi ed i suoi tabù) e l'amore passionale tra due donne (con la sua carica dirompente di scandalo e rottura) costituiscono rispettivamente sfondo e pretesto.
Libero arbitrio dunque, è questo il logos che apre e chiude il film e che porta lo spettatore più sensibile a superare la semplice narrazione e ad interrogarsi su ciò che davvero, attraverso il peso e la responsabilità della scelta, fa di ogni essere umano un essere autonomo e responsabile di sé.
La bella Ronit, figlia biologica dell'anziano rabbino ma non sua erede né spirituale né testamentaria, ci accompagna per tutto il film con il suo carico di "diversità " con il suo non appartenere, con il suo non esserci pur essendo fisicamente presente, con il suo non integrarsi. È un senso di estraneità il suo quasi palpabile come se muri invisibili la separassero da quella comunità nella quale è nata ed alla quale , se pur con sofferenza, ha per un breve periodo della sua esistenza appartenuto.
Ronit, che ancora cammina incerta sulle sue fragili gambe, sembra oscillare tra la denuncia e la provocazione e un istintivo tentativo di mimetizzarsi e lasciarsi scomparire. Ronit, ospite indesiderata perfino in casa propria, sembra vivere co atteggiamento di scusa per il "disturbo" che sa di arrecare agli equilibri psicologici più che reali del piccolo mondo ritrovato.
Ronit non appare mai forte, ma forse lo è come tutte le "pecore nere" che in seno ad un nucleo familiare si fanno carico di spezzare un'eredità psicologica, religiosa, morale e sociale che soffoca e uccide. No, Ronit non appare mai forte. E nonostante la distanza fisica e temporale messa tra se stessa ed il padre la notizia della morte di quest'ultimo la getta nello sconforto più cupo e la rimette faccia a faccia con i propri fantasmi e sensi di colpa. È il dolore delle radici strappate e portate vie, è il dolore di un conto che non torna tra quanto ogni figlio desidera da chi lo ha generato (accettazione, accoglienza, perdono ed amore incondizionato) e quanto la vita, il destino o semplicemente la volontà umana hanno lasciato che ricevesse. È il dolore di una porta chiusa per sempre senza alcuna parola ultima. È il dolore del discredito, della vergogna, dell'alienazione esercitata dalla comunità-ghetto che a sua volta ghettizza il "diverso". Al suo opposto Esti la quieta, ubbidiente e morigerata moglie del cugino appare non meno sofferente ma perfettamente integrata. È una sofferenza la sua che divora e consuma dall'interno come ogni sofferenza muta e soffocata. Una sofferenza che porta via vita e fecondità. Una sofferenza abilmente nascosta dietro la facciata dell'appropriatezza e dell'appagamento familiare e sociale. Ronit ed Esti dunque come facce opposte della stessa medaglia. Ronit è una fotografa, Esti è una insegnante, Ronit interroga il diverso e l'inconsueto, Esti trasmette il "verbo", Ronit conosce e supera ogni tabù, Esti cura e custodisce purezza ed ingenuità, Ronit appare libera ed eccessiva nei suoi comportamenti sessuali, Esti ispira la sua vita al principio di modestia, nasconde i capelli e mortifica il corpo concedendosi tutta al solo marito. Ma Esti, che la natura non ha ancora fatto madre come se natura stessa attendesse il raggiungimento di una piena consapevolezza ed autodeterminazione, ha un grande dono: il dono di saper attendere e approfittare dell'occasione che il tempo ha in serbo per lei. Il film ci mostra come nulla in fondo capiti a caso e che noi esseri umani dotati di libero arbitrio ci ritroviamo sempre e solo là dove esattamente vogliamo essere. L'evento non capita, l'evento è atteso, prodotto, costruito e sfruttato. La scena in cui le due donne riemergono da un sotterraneo fisico e psicologico per ritrovarsi mano nella mano in una Londra finalmente"a colori" dopo il grigiore del sobborgo emoziona ed ispira e fa perdonare, nella prima parte del film, qualche lungaggine e non-detto di troppo. Ci sarà un futuro per queste giovani donne? Il film lascia intuire un finale che non è però scontato. Sono nuove vite che si affacciano al mondo, ognuna (Ronit, Esti ed il figlio che porta in grembo e Doniel che da custode dell'ordine casalingo sceglie infine libertà e verità) con un enorme carico di responsabilità, incertezza e paura come accade a tutti coloro che iniziano a muovere i propri passi lontano dalla strada maestra. Sono nuove vite che finalmente stanno partorendo loro stesse. Da vedere.
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alaflai
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domenica 20 gennaio 2019
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è un film che non predica e non giudica
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Disobedience ti s'impiglia dentro , lo analizzi e mentre lo riguardi nella tua mente trovi sempre più elementi che lo rivelano come il capolavoro che é.
Tre protagonisti ,2 donne amiche ed amanti ed il marito di una di loro; il triangolo affettivo descritto con una delicatezza commovente.
Il tema del padre assente, il rammarico della figlia per non avergli dichiarato il suo amore, il padre che disereda la figlia perché ha contravvenuto agli insegnamenti della Torah, la fuga di Ronit a New York e gli amori consumati nei bagni dei bar. Poi il suo 'arrivo a Hendon per la morte del padre e ritrovare tutto immobile ,nulla è cambiato , Esti ha sposato Dovid, reprimendo la sua natura (ama le donne) e Ronit è guardata con ripulsa e sospetto dalla comunità .
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Disobedience ti s'impiglia dentro , lo analizzi e mentre lo riguardi nella tua mente trovi sempre più elementi che lo rivelano come il capolavoro che é.
Tre protagonisti ,2 donne amiche ed amanti ed il marito di una di loro; il triangolo affettivo descritto con una delicatezza commovente.
Il tema del padre assente, il rammarico della figlia per non avergli dichiarato il suo amore, il padre che disereda la figlia perché ha contravvenuto agli insegnamenti della Torah, la fuga di Ronit a New York e gli amori consumati nei bagni dei bar. Poi il suo 'arrivo a Hendon per la morte del padre e ritrovare tutto immobile ,nulla è cambiato , Esti ha sposato Dovid, reprimendo la sua natura (ama le donne) e Ronit è guardata con ripulsa e sospetto dalla comunità .
Dal suo arrivo in poi , lentamente si mette in moto una forza dirompente: i sentimenti tra le due donne riemergono perché mai sopiti e tutto viene rimesso in gioco.
La forza di questo film è nella capacità dei 3 attori, i dialoghi sono al minimo ,in certi momenti quasi nulli; la forza delle immagini è potente, la scena d'amore tra le due donne è straordinaria, non c'è nudità ma l'eros è alle stelle.
Grandissimo film ,il finale ,al contrario del giudizio di alcuni, non è scontato....è perfetto come tutto il film .........
Possa tu vivere una lunga vita.......
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vera
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giovedì 25 ottobre 2018
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un capolavoro mancato
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Una storia con un potenziale altissimo e due attrici eccezionali, con queste premesse era difficile giocarsi così male le carte. Uno spreco. Poteva diventare una pietra miliare della categoria, un inno alla forza, alla ribellione, alla spirito di rivalsa. Invece è un film tiepido, timido, che ti trascina verso un finale che aspetti per tutto il film sperando nell'esplosione e invece si rivela cauto, triste e deludente. Lento fino alla noia per tre quarti della sua durata, e poi frettoloso e sbrigativo nel finale. Poteva, anzi doveva date le aspettative, osare decisamente di più. Invece sembra trattenersi. Questa non è disobbedienza. Fortuna che la scena di sesso si dimostra meravigliosa, e quei pochi minuti valgono la visione dell'intero film (e non fanno sentire i soldi del biglietto del tutto buttati).
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no_data
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sabato 3 novembre 2018
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claustrofobico e angosciante
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Inizialmente fuorviante alla fine rivelatrice la scena con cui si apre il film Siamo in una sinagoga dove il Rabbino sta tenendo un sermone "Dio ha creato dapprima gli angeli poi le bestie ed infine l'uomo e la donna la differenza tra le creature risiede nel fatto gli esseri umani posseggono il Libero arbitrio esse infatti possono scegliere.." all'improvviso il Rabbino si accascia e muore Giunge da NY per partecipare ai funerali del genitore Ronit A darle ospitalità un amico di infanzia Dovid che ha sposato l'amica comune Esti Presto si scopre che le due donne hanno avuto una relazione Ronit per sfuggire alla claustrofobica e mutilante comunità ebraica sceglie di trasferirsi a NY mentre Esti sulla quale il giudizio moralistico non ha smesso di condizionarne l' esistenza resta a Londra e sposa Dovid Nei pochi giorni della permanenza di Ronit in attesa del funerale del rabbino si riaccende la passione tra le 2 donne che come brace covava nei loro animi svelandosi e rivelandosi per quella che è nella realtà un amore appassionato e profondo Scoppia lo scandalo: le 2 donne scoperte a baciarsi vengono denunziate alla comunità Tutto contribuisce a farci vivere l'angoscia e la sofferenza delle giovani protagoniste :il film ha colori cupi pare non potere entrare mai in quelle abitazioni un raggio di sole regna il silenzio che ha come sottofondo le preghiere cantilenate a fior di labbra dai discepoli del rabbino L'atmofera è claustrofobica come lo sono le vite dei suoi abitanti imprigionate in un mondo severo e giudicante Le due protagoniste della storia sono marchiate nella loro natura di una grave colpa essendo omosessuali In una società retriva segnata da una religione assolutista ed ortodossa ciò viene considerato una pervesione e la loro relazione considerata un atto contro natura Dovid il marito di Esti è chiamato dalla comunita ad essere eletto capo della sinagoga In un susseguirsi ed alternarsi di scene drammatiche nelle quali le 2 donne si amano appassionatamente e momenti di ripensamento da parte di Esti più debole e stretta nella morsa del giudizio e della colpa si svelerà il dramma in modo sottile e subdolo : davanti alla disperazione di Esti che lo scongiura di lasciarla libera Dovid le dice che lui le renderà la libertà.
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Inizialmente fuorviante alla fine rivelatrice la scena con cui si apre il film Siamo in una sinagoga dove il Rabbino sta tenendo un sermone "Dio ha creato dapprima gli angeli poi le bestie ed infine l'uomo e la donna la differenza tra le creature risiede nel fatto gli esseri umani posseggono il Libero arbitrio esse infatti possono scegliere.." all'improvviso il Rabbino si accascia e muore Giunge da NY per partecipare ai funerali del genitore Ronit A darle ospitalità un amico di infanzia Dovid che ha sposato l'amica comune Esti Presto si scopre che le due donne hanno avuto una relazione Ronit per sfuggire alla claustrofobica e mutilante comunità ebraica sceglie di trasferirsi a NY mentre Esti sulla quale il giudizio moralistico non ha smesso di condizionarne l' esistenza resta a Londra e sposa Dovid Nei pochi giorni della permanenza di Ronit in attesa del funerale del rabbino si riaccende la passione tra le 2 donne che come brace covava nei loro animi svelandosi e rivelandosi per quella che è nella realtà un amore appassionato e profondo Scoppia lo scandalo: le 2 donne scoperte a baciarsi vengono denunziate alla comunità Tutto contribuisce a farci vivere l'angoscia e la sofferenza delle giovani protagoniste :il film ha colori cupi pare non potere entrare mai in quelle abitazioni un raggio di sole regna il silenzio che ha come sottofondo le preghiere cantilenate a fior di labbra dai discepoli del rabbino L'atmofera è claustrofobica come lo sono le vite dei suoi abitanti imprigionate in un mondo severo e giudicante Le due protagoniste della storia sono marchiate nella loro natura di una grave colpa essendo omosessuali In una società retriva segnata da una religione assolutista ed ortodossa ciò viene considerato una pervesione e la loro relazione considerata un atto contro natura Dovid il marito di Esti è chiamato dalla comunita ad essere eletto capo della sinagoga In un susseguirsi ed alternarsi di scene drammatiche nelle quali le 2 donne si amano appassionatamente e momenti di ripensamento da parte di Esti più debole e stretta nella morsa del giudizio e della colpa si svelerà il dramma in modo sottile e subdolo : davanti alla disperazione di Esti che lo scongiura di lasciarla libera Dovid le dice che lui le renderà la libertà. Nella scena finale siamo nuovamente nella sinagoga nel silenzio generale Dovid avverte gli occhi ed il giudizio della comunità riversi su di lui si sente schiacciato dal peso della Torah che attribuisce più verità alle fiamme dell inferno che agli uomini che abitano la terra e riprende il discorso del maestro nel punto in cui si era interrotto"..Dio crea gli uomini e le donne liberi.." Ma il Dio che Dovid conosce è il Dio del VecchioTestamento un Dio crudele e vendicativo che si fa beffe degli uomini perchè se è vero che ci crea uomini liberi Egli ci fa intendere che la nostra libertà consiste nel fatto che se non rispettiamo le sue leggi se non ci atteniamo ai comandamenti impostici da una religione scritta e interpretata in suo nome, noi stiamo liberamente scegliendo la nostra dannazione eterna Credo che non sia importante che il film si svolga all'interno di una comunità religiosa o che le due protagoniste siano omosessuali ciò su cui bisogna riflettere è quanto il pregiudizio il moralismo una visione miope e il rifiuto della diversità da qualsiasi parte giunga o dovunque sia collocata possa condizionare e distruggere l'esistenza delle persone.
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fausto bianchi
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mercoledì 21 novembre 2018
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il verbo leliano nella sua massima espressione.
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Sebastiàn Lelio è un cineamatore che ha sempre avuto particolarmente a cuore il tema della libertà personale e, in particolare, per quanto concerne la sfera sessuale. Ciò è attestato dai suoi film precedenti, opere semi-sconosciute di fattura decisamente bassa le cui maturità si concentrano in quella che è la forma di Disobedience. Dramma del 2017 presentato in anteprima a Toronto per il quale vi è stato sicuro impegno da parte di ogni elemento messo in gioco, dietro e davanti la cinepresa, ma una tendenza a cadere vittima del gioco impervio del tempo, sia reale che della narrazione. La sceneggiatura, stesa dallo stesso Lelio, punta forte sulle interazioni dei tre personaggi principali, oltre che sulle prove dei rispettivi interpreti, portando a casa un ammirabile affresco di emozioni contrastanti.
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Sebastiàn Lelio è un cineamatore che ha sempre avuto particolarmente a cuore il tema della libertà personale e, in particolare, per quanto concerne la sfera sessuale. Ciò è attestato dai suoi film precedenti, opere semi-sconosciute di fattura decisamente bassa le cui maturità si concentrano in quella che è la forma di Disobedience. Dramma del 2017 presentato in anteprima a Toronto per il quale vi è stato sicuro impegno da parte di ogni elemento messo in gioco, dietro e davanti la cinepresa, ma una tendenza a cadere vittima del gioco impervio del tempo, sia reale che della narrazione. La sceneggiatura, stesa dallo stesso Lelio, punta forte sulle interazioni dei tre personaggi principali, oltre che sulle prove dei rispettivi interpreti, portando a casa un ammirabile affresco di emozioni contrastanti. Tale meccanismo cade, tuttavia, vittima di sè stesso a causa di una gestione delle tempistiche troppo ancorata ad una dimensione da tesistica ricercata, pur parlando di tematiche già sentite e ivi affrontate senza nuove motivazioni accattivanti, sostenuta comunque da un cast dotato, poliedrico e ben amalgamato ed una fotografia pulita e quasi manieristica in certi punti. Pecca più grave il finale, che non meriterebbe neanche fiati per quanto stonato, ma più in generale la tanto ricercata Disobbedienza del verbo Leliano finisce per adattarsi a quelli che ad oggi altro non sono che canoni precisi di una società che fa della disobbedienza il proprio verbo personale, risolvendo dunque il tutto in un semplice compito ben eseguito.
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cardclau
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sabato 27 ottobre 2018
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manca il padre
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Il film di Sebastian Lelio, Disobedience, può essere letto su diversi piani. Può darsi che la tematica dell’amore lesbico e dei relativi pregiudizi in un ambiente rigidissimo come quello ebraico londinese abbia tenuto l’attenzione lì puntata, non solo dello spettatore ma anche del regista. Osservando pure la lunghissima sequenza sospirosa tra Ronit ed Esti che fanno l’amore. Ma cosa sappiamo veramente di profondo dei personaggi del film? Del padre di Ronit, Rav Krushka [Anton Lesser], sappiamo che sta facendo una riflessione a voce alta su l’essere umano, dotato e voluto così da Dio, a differenza degli angeli e degli animali, della libertà e del carico di fare delle scelte personali e individuali, il libero arbitrio.
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Il film di Sebastian Lelio, Disobedience, può essere letto su diversi piani. Può darsi che la tematica dell’amore lesbico e dei relativi pregiudizi in un ambiente rigidissimo come quello ebraico londinese abbia tenuto l’attenzione lì puntata, non solo dello spettatore ma anche del regista. Osservando pure la lunghissima sequenza sospirosa tra Ronit ed Esti che fanno l’amore. Ma cosa sappiamo veramente di profondo dei personaggi del film? Del padre di Ronit, Rav Krushka [Anton Lesser], sappiamo che sta facendo una riflessione a voce alta su l’essere umano, dotato e voluto così da Dio, a differenza degli angeli e degli animali, della libertà e del carico di fare delle scelte personali e individuali, il libero arbitrio. Direi della responsabilità del fare o del non fare. Forse sta pensando che la sua riflessione dovrebbe essere da lui applicata anche alla sua perduta figlia, perché diversa da come lui avrebbe voluto, quindi da punire, infatti già diseredata, ma non ha tempo di metterla in pratica perché si accascia e muore. Diranno poi di polmonite. Di Ronit [Rachel Weisz] sappiamo molto, diversa, inquieta, e ghettizzata dal suo ambiente, ad un certo punto si eclissa senza più dare segni di vita, che vive da sola a New York, fotografa forse per riempire con immagini da fuori quelle che mancano all’interno, che ha delle relazioni occasionali con dei maschi nei cessi, immagino di qualche bar, forse più per punirsi che per godimento, che passa il suo tempo libero come può, basta riempirlo, che il suo pensiero dominante è che suo padre sapesse che lei l’aveva amato. Ma non trova alcun riscontro a posteriori che fosse nella testa di suo padre, neanche prima. Ronit aveva già avuto una relazione in gioventù con Esti perché suo padre era occupato a leggere la Torà, a leggere le note della Torà, a fare degli appunti sulla Torà, sulle note della Torà, quindi sugli appunti e sugli appunti degli appunti. Ronit è un anima in pena, fragilissima, che fa finta di essere autosufficiente e di dimostrare che sa come vivere, può benissimo essere anche lesbica, ma non ha un padre. Privilegiato è colui che sa di essere nella testa del proprio padre nella diversità, e che può tenergli la mano piangendo e accarezzandolo, mentre sta morendo. Altrimenti non c’è pace. Ed è subito sera.
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(di antoniobianchi)
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giovedì 25 ottobre 2018
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un capolavoro mancato
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Premesse intriganti, una storia con un potenziale altissimo, due attrici sensazionali. Difficile sbagliare con queste carte in gioco, eppure ci sono riusciti. Peccato che il film sia lento fino alla noia per tre quarti della sua durata, e poi frettoloso e sbrigativo nel finale. E per quanto riguarda il suo tema, la disobbedienza, ce n'è davvero poca. Poteva, anzi doveva date le aspettative, osare decisamente di più. Invece sembra trattenersi. Ci sentiamo sempre sul punto di aspettarci la svolta, che non arriva mai, e anzi, ci porta ad un epilogo cauto e deludente. Poteva diventare una pietra miliare del genere ed invece si aggiunge alla lunga lista dei film senza gloria né infamia, facilmente e tristemente dimenticabili (eccezion fatta per quei pochi minuti di scena di sesso, passionale ed intrigante anche se casta, che da sola può valere la visione dell'intero film).
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