dannymilan22
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sabato 11 marzo 2017
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uno dei migliori film italiani dell'anno
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Quello che Matteo Rovere ha realizzato è alla pari del tentativo di Lo Chiamavano Jeeg Robot di realizzare qualcosa di nuovo nel cinema italiano. Il film è una vera e propria scarica di adrenalina, che mostra come la passione per i motori si possa tramandare di padre in figlio. Siamo in Emilia Romagna e Giulia, sedicenne partecipa con il padre coach al campionato di GT italiano. Ha molto talento e i motori sono la sua vita. Tutto cambia quando suo papà viene a mancare e viene costretta a vivere con il fratello tossico Loris. Quest'ultimo vive una vita al limite ed è costretto a tornare alla casa familiare dopo 10 anni di assenza.
E' un ex pilota che per i suoi eccessi viene da tutti chiamato Ballerino.
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Quello che Matteo Rovere ha realizzato è alla pari del tentativo di Lo Chiamavano Jeeg Robot di realizzare qualcosa di nuovo nel cinema italiano. Il film è una vera e propria scarica di adrenalina, che mostra come la passione per i motori si possa tramandare di padre in figlio. Siamo in Emilia Romagna e Giulia, sedicenne partecipa con il padre coach al campionato di GT italiano. Ha molto talento e i motori sono la sua vita. Tutto cambia quando suo papà viene a mancare e viene costretta a vivere con il fratello tossico Loris. Quest'ultimo vive una vita al limite ed è costretto a tornare alla casa familiare dopo 10 anni di assenza.
E' un ex pilota che per i suoi eccessi viene da tutti chiamato Ballerino. Pur di fare un pò di soldi per comprarsi le dosi decide di allenare la sorella, a cui manca un coach. A poco a poco Loris si rivela un bravo allenatore che punta a far tirar fuori alla sorella un pò di grinta per esporsi a rischi a cui lei non è abituata.
Una partenza del campionato disastrosa viene migliorata grazie a Loris, che con i suoi modi burberi riesce a motivare Giulia. Giulia, dopo la morte del padre diventa la responsabile del fratellino Nico e sa che se non vincerà il campionato perderà la loro casa, per un vecchio accordo. Tutto sembra andare bene quando Giulia, dopo un incidente sarà impossibilitata dal fare la gara della vittoria.
Perde quindi la casa e il fratello viene dato in affidamento. La sua vita di prima non esiste più.
Alla fine il regista si diverte a giocare con la morte e questo rende il film ancora più particolare. Il fratello Loris riuscirà a risolvere tutto con la vittoria dell'Italian Race, una gara pericolosissima.
Il film mantiene un buon ritmo e come i migliori film americani ha una trama non scontata. Le scene delle gare sono fantastiche e realistiche e la fotografia è ottima.
Ottime anche le interpretazioni di Stefano Accorsi, qui dimagrito ed imbruttito, e della protagonista Matilda De Angelis.
Loris è un tossico ingenuo e sfrontato e Giulia, la sorella responsabile che cerca di salvare la sua casa.
Ispirato da una storia vera, questo film dimostra che nel cinema italiano si può ancora osare.
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giulacqua77
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venerdì 15 aprile 2016
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fast & furious in salsa emiliana
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A me in genere non piace Stefano Accorsi, lo trovo inespressivo, monocorde, non mi dà di niente. Ma in questo film è veramente da paura, da applausi, non dico da Oscar, ma almeno da David di Donatello, che forse è anche di più. È lui la vera forza di un film comunque bello e commovente, con un cast in stato di grazia e una storia forte. Lui è l’anima del film. Un’anima nera, ferita, segnata dalle magagne familiari, da una vita vissuta a tutta velocità. E dalla droga. La droga che distrugge persone, famiglie, vite. Ma poi, per quanto a pezzi, basta sapere di avere almeno un parente in vita per sentirsi meglio, più forti, in pace. Gioie e dolori della famiglia. La suspance c’è, le scene delle gare sono girate benissimo.
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A me in genere non piace Stefano Accorsi, lo trovo inespressivo, monocorde, non mi dà di niente. Ma in questo film è veramente da paura, da applausi, non dico da Oscar, ma almeno da David di Donatello, che forse è anche di più. È lui la vera forza di un film comunque bello e commovente, con un cast in stato di grazia e una storia forte. Lui è l’anima del film. Un’anima nera, ferita, segnata dalle magagne familiari, da una vita vissuta a tutta velocità. E dalla droga. La droga che distrugge persone, famiglie, vite. Ma poi, per quanto a pezzi, basta sapere di avere almeno un parente in vita per sentirsi meglio, più forti, in pace. Gioie e dolori della famiglia. La suspance c’è, le scene delle gare sono girate benissimo. Completa il tutto la giovane e bella Matilda De Angelis, attrice e cantante, degna controparte di Accorsi in questo film (farà strada, magari non come nel film ma farà strada) e il sempre bravo Paolo Graziosi.
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giampituo
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martedì 19 aprile 2016
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il cinema italiano è tornato
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Rombo di motori. Musica che si ascolta col cuore per gli amanti delle corse d'auto. Fumo, odore di benzina e di olio bruciato. Asfalto bollente. Stridio di ruote. Pulsazioni a mille. Sudore. Fatica. Calore. Tutto questo si palpa nell'assistete al film. Ma non solo questo. Si averte il rumore assordante della solitudine. Della disperazione della droga. Di una esistenza priva di affetti . Priva di sentimenti positivi. C'è poco da fare. Ciascuno di noi ha i suoi demoni.Ciascuno di noi cerca di fuggire lontano per evitarli.
Qualcuno di noi a volte ci riesce. E ci riesce Stefano Accorsi. Lui ex pilota e campione. Ci riesce sicuramente bene Matteo Rovere con la sua regia tutta tecnica e ritmo. Ma anche introspettiva.
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Rombo di motori. Musica che si ascolta col cuore per gli amanti delle corse d'auto. Fumo, odore di benzina e di olio bruciato. Asfalto bollente. Stridio di ruote. Pulsazioni a mille. Sudore. Fatica. Calore. Tutto questo si palpa nell'assistete al film. Ma non solo questo. Si averte il rumore assordante della solitudine. Della disperazione della droga. Di una esistenza priva di affetti . Priva di sentimenti positivi. C'è poco da fare. Ciascuno di noi ha i suoi demoni.Ciascuno di noi cerca di fuggire lontano per evitarli.
Qualcuno di noi a volte ci riesce. E ci riesce Stefano Accorsi. Lui ex pilota e campione. Ci riesce sicuramente bene Matteo Rovere con la sua regia tutta tecnica e ritmo. Ma anche introspettiva. Senza indugi. Mai retorica. Ci riesce la colonna sonora a tutto volume. A tempo con le pulsazioni cardiache. Eppoi il finale. Che bello!
E con questo sono per lo meno tre, dopo Perfetti sconosciuti e Jeeg robot. Per cui adesso basta! Il cinema italiano, per lo meno il cinema, è tornato.
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fabio_66
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mercoledì 20 aprile 2016
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l'italia che convince anche nel cinema di genere
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Bellissmo film, diciamolo subito. E non solo per uno Stefano Accorsi compenetrato nel personaggio, e nemmeno solo per la freschezza e la naturalezza della esordiente De Angelis, o per i personaggi secondari così centrati (su tutti Paolo Graziosi). Ma direi soprattutto per la sfida vinta di fare un cinema di genere, una sorta di fast and furious all'italiana (anzi... alla romagnola). Il film accende i riflettori sul mondo delle corse, su personaggi presi a pugni dalla vita e che continuano a battere la testa sullo stesso chiodo non riuscendo a rinunciare alla adrenalina della velocità. Due frasi cult: "Guarda che di disperati veri siamo rimasti in pochi" e "Se non rischi vuol dire che non vai abbastanza veloce".
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Bellissmo film, diciamolo subito. E non solo per uno Stefano Accorsi compenetrato nel personaggio, e nemmeno solo per la freschezza e la naturalezza della esordiente De Angelis, o per i personaggi secondari così centrati (su tutti Paolo Graziosi). Ma direi soprattutto per la sfida vinta di fare un cinema di genere, una sorta di fast and furious all'italiana (anzi... alla romagnola). Il film accende i riflettori sul mondo delle corse, su personaggi presi a pugni dalla vita e che continuano a battere la testa sullo stesso chiodo non riuscendo a rinunciare alla adrenalina della velocità. Due frasi cult: "Guarda che di disperati veri siamo rimasti in pochi" e "Se non rischi vuol dire che non vai abbastanza veloce".
una menzione speciale oltre al regista anche al montaggio e alla fotografia. Le scene delle corse emozionano moltissimo pur non avendo roboanti effetti speciali che lascio volentieri al cinema di oltre oceano.
Una unica pecca, che non riguarda il film in sè ma la produzione. Pur non avendolo detto in maniera chiara ci si richiama alla vita di Carlo Capone (la foto nel finale ad esempio). Ecco... su questo devo dire che c'è una notevole mancanza di stile. Non c'è niente della vita di Capone nel film; invece si richiama una vita reale ed anche difficile, sfruttandone l'immagine; non mi interessa l'aspetto legale in sè e cioè se Capone o qualcuno che ha la sua tutela abbia o meno dato il consenso e se è avvenuto dietro compenso. Capone è malato ed è comunque una caduta di stile inutile. bastava non fare riferimento a lui. Per questo motivo non me la sento di dare il massimo dei voti.
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lucananni93
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lunedì 7 agosto 2017
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in equilibrio tra cinema hollywoodiano e realismo italiano
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Veloce come il vento funziona, sempre. Non ha cali di tono, la trama scorre liscia e coinvolge lo spettatore fin dalle prime inquadrature. La storia è semplice e ricalca le parabole della ricerca del successo e del sacrificio in stile Rocky, ma aggiunge un'atmosfera di realismo che raramente si viene a sentire nel cinema hollywoodiano. Fotografia patinata in pista e realistica al di fuori, sembra sempre ricordarci l'alternanza di questi due mondi e di come interagiscono fra di loro. Regia schietta e lineare con predilezione per la camera a mano. Assolutamente consigliato per dimostrare che il cinema italiano, quando ci si mette, è capace di prendere un genere non suo e di ampliarlo e renderlo più profondo.
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lapo10
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giovedì 14 dicembre 2017
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bella sorpresa
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Non amo i motori e le gare automobilistiche, perciò quando il film di Matteo Rovere uscì nella primavera del 2016 non lo considerai affatto. Il tam tam e le recensioni positive dei mesi successivi mi hanno obbligato a rivedere la mia decisione. Ed è stato un bene. La curiosità, che via via è cresciuta, è stata piacevolmente ripagata da una storia in grado di catturare il mio modesto interesse per l'argomento. Segno che una buon soggetto può fare miracoli. La musa ispiratrice del regista Matteo Rovere, per una volta, non è stata una bella donna ma il pilota di rally italiano Carlo Capone, uno che correva forte agli inizi degli anni 80 con la Lancia. Ma come spesso succede nel mondo delle competizioni, Capone, che era una cavallo di razza difficile da domare, si scontrò con i vertici della scuderia, di fatto, mettendo fine alla sua carriera, subito dopo aver vinto l'Europeo di Rally.
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Non amo i motori e le gare automobilistiche, perciò quando il film di Matteo Rovere uscì nella primavera del 2016 non lo considerai affatto. Il tam tam e le recensioni positive dei mesi successivi mi hanno obbligato a rivedere la mia decisione. Ed è stato un bene. La curiosità, che via via è cresciuta, è stata piacevolmente ripagata da una storia in grado di catturare il mio modesto interesse per l'argomento. Segno che una buon soggetto può fare miracoli. La musa ispiratrice del regista Matteo Rovere, per una volta, non è stata una bella donna ma il pilota di rally italiano Carlo Capone, uno che correva forte agli inizi degli anni 80 con la Lancia. Ma come spesso succede nel mondo delle competizioni, Capone, che era una cavallo di razza difficile da domare, si scontrò con i vertici della scuderia, di fatto, mettendo fine alla sua carriera, subito dopo aver vinto l'Europeo di Rally. La morte prematura della figlia e la successiva separazione dalla moglie, unite all'amaro ricordo delle gare, fecero cadere il campione in uno stato di profonda e cronica depressione che, solo per un breve periodo, fu mitigato dal ritorno alle corse come coach. Questa sfortunata figura del nostro sport è diventata Loris De Martino, il protagonista di "Veloce come il vento". Giovane asso del volante, diventato tossico ed emarginato, Loris, dopo 10 anni di assenza da casa, torna per il funerale del padre, scopre che la sorella gareggia nella scuderia di famiglia, e conosce il fratellino più piccolo di cui ignorava l'esistenza. A causa di quest'ultimo, che altrimenti sarebbe affidato ai servizi sociali, e di una madre irreperibile, i tre sono costretti ad una convivenza forzata nella casa dei genitori. Giulia, che ha talento da vendere, è giovane ed inesperta, e la mancanza di soldi la costringe a chiedere aiuto all'odiato fratello più grande. Se non vince il campionato non riuscirà a ripianare il debito contratto per partecipare al campionato italiano GT e perderà la casa di famiglia. Inizia così la difficile collaborazione tra il vecchio campione e la giovane promessa... Loris è un gigantesco Stefano Accorsi che da vita ad un personaggio riuscitissimo. Capello lungo ed untuoso, tatuaggi a profusione su un corpo asciutto, denti ingialliti, unghie sporche, volto sfatto e movenze animalesche sono i segni epidermici di un uomo che non sa come gridare il proprio disappunto per una vita finita male. Forse un incidente ed una frattura al polso, che un inutile tutore ci ricordano, hanno messo fine alla sua carriera, e la droga è stata solo il rifugio per un sogno spezzato. Lo scontro con Giulia però, lo risveglia dal torpore mettendo in luce la sua dimenticata quanto strampalata ed irriverente vitalità. La sceneggiatura ci catapulta nel mondo delle corse e si incanala nei binari classici del genere sportivo seguendo le prodezze ed i drammi esistenziali della diciassettenne Giulia (una brava Matilda De Angelis) per poi uscire dal circuito sicuro e rettilineo del genere e percorre la tortuosa pista delle relazioni umane e famigliari opponendo alla protagonista un nuovo punto di vista, quello di Loris che diventa così punto focale della storia. Il cambio di rotta rende il film molto più interessante ed originale, e ci evita il classico epilogo alla Rocky. Ottima la regia di Rovere che dirige con leggerezza, con ritmo veloce ed improvvise decelerazioni per approfondire gli aspetti umani della storia con garbo, ironia e siparietti ben congegnati. Segnalo inoltre la splendida fotografia di Michele D'Attanasio che avviluppa i protagonisti nei loro abitacoli di una luce metallica e fredda come la mente e i nervi dei grandi piloti che possono sbagliare una curva ma vendono cara la pelle nella successiva. Questo film, in fondo, vuole ricordarci, che si può cadere e farsi male ma non è mai troppo tardi per rialzarsi e rimettersi in pista. Una discreta lezione per il nostro Paese che stenta a rimanere in carreggiata.
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maurizio meres
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giovedì 7 aprile 2016
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bel film,ma soprattutto italiano vero
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Questo film girato splendidamente,fa rivivere nel migliore dei modi una storia vera,ci sono tutte quelle emozioni che anche chi non è appassionato di motori le prova.
Nel film ci sono sequenze bellissime,il funerale del padre con il rombo dei motori come ultimo saluto,molto commovente,le gare in pista sembrava di esserci,i dialoghi dolci e anche un po' brutali tra fratello e sorella.
Tutta la tematica della sceneggiatura scorre benissimo con un Accorsi superlativo,difficilmente si vede un attore entrare così nel personaggio,ritengo che sia stata una grande prova di professionalità,tra battute comiche e drammi esistenziali,il rombo dei motori diventa musica per le orecchie ,nel quadro famigliare emerge su tutto la grande voglia di volontà di una giovane ragazza diciassettenne,interpretata dalla debuttante Matilda De Angelis,prossimo patrimonio del cinema Italiano,bella,dolce,è molto espressiva.
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Questo film girato splendidamente,fa rivivere nel migliore dei modi una storia vera,ci sono tutte quelle emozioni che anche chi non è appassionato di motori le prova.
Nel film ci sono sequenze bellissime,il funerale del padre con il rombo dei motori come ultimo saluto,molto commovente,le gare in pista sembrava di esserci,i dialoghi dolci e anche un po' brutali tra fratello e sorella.
Tutta la tematica della sceneggiatura scorre benissimo con un Accorsi superlativo,difficilmente si vede un attore entrare così nel personaggio,ritengo che sia stata una grande prova di professionalità,tra battute comiche e drammi esistenziali,il rombo dei motori diventa musica per le orecchie ,nel quadro famigliare emerge su tutto la grande voglia di volontà di una giovane ragazza diciassettenne,interpretata dalla debuttante Matilda De Angelis,prossimo patrimonio del cinema Italiano,bella,dolce,è molto espressiva.
Il bravo regista Matteo Rovere al suo terzo tentativo fa centro,dopo i precedenti lavori non riusciti.
Strutturalmente è quasi perfetto,non ci sono pause,tutte le sequenze sono montate in un continuo di logica,la trama piacevole,rispecchia in pieno un mondo,quello dei motori,tutto loro,niente è intentato,lo spettatore è catapultato in una frenetica voglia di disputa sportiva.
Bello da vedere
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flyanto
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lunedì 11 aprile 2016
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storia di affetti familiari e corse d'auto
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Dopo "Un Gioco da Ragazze" e "Gli Sfiorati" Matteo Rovere torna alla regia con "Veloce come il Vento" interpretato da Stefano Accorsi e dalla giovane Matilda De Angelis.
Dal titolo si evince che la vicenda si snoda tutta intorno al mondo delle corse d'automobili ma questo scenario costituisce solo lo sfondo per raccontare una storia (peraltro realmente accaduta e raccontata al regista stesso da un meccanico deceduto un anno fa) di affetti e legami familiari e pertanto una storia completamente personale. La protagonista è una ragazza di 17 anni (Matilda De Angelis) la quale nonostante la sua giovane età costituisce già una premessa nel mondo delle corse automobilistiche.
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Dopo "Un Gioco da Ragazze" e "Gli Sfiorati" Matteo Rovere torna alla regia con "Veloce come il Vento" interpretato da Stefano Accorsi e dalla giovane Matilda De Angelis.
Dal titolo si evince che la vicenda si snoda tutta intorno al mondo delle corse d'automobili ma questo scenario costituisce solo lo sfondo per raccontare una storia (peraltro realmente accaduta e raccontata al regista stesso da un meccanico deceduto un anno fa) di affetti e legami familiari e pertanto una storia completamente personale. La protagonista è una ragazza di 17 anni (Matilda De Angelis) la quale nonostante la sua giovane età costituisce già una premessa nel mondo delle corse automobilistiche. Ella viene quotidianamente preparata dal padre ma quando questi muore improvvisamente per un infarto, ella deve affrontare ed assumersi delle responsabilità troppo grosse per la sua età e, cioè, cercare di non perdere la casa in cui vive ipotecata dal padre (solo con la vittoria di tutto il campionato ella la potrà mantenere), cercare di evitare che il fratellino, in quanto ancora minorenni lei e lui, venga affidato ad un istituto e soprattutto avere a che fare con il fratello drogato (Stefano Accorsi) che in occasione del funerale, dopo circa dieci anni di assenza, si rifà vivo con la fidanzata (anch'ella tossica) per installarsi nella suddetta dimora paterna. Poichè quest'ultimo è l'unico familiare maggiorenne che possa in un certo qual modo garantire una sorta di paternità al piccolo fratello, egli si stabilisce in pianta stabile nella casa rendendo ovviamente difficile la convivenza e combinando continuamente grossi guai a causa sempre della sua forte dipendenza dalla droga. Ma sarà anche colui che, essendo stato un grande corridore automobilistico negli anni addietro, negli altalenanti momenti di lucidità, si adopererà a preparare ed allenare per bene la sorella al fine di farle vincere il tanto famigerato campionato e poter così mantenere la casa.
Un film, ripeto, sugli affetti familiari e sul difficile rapporto esistente tra i componenti di una stessa famiglia che ha dovuto lottare ed ancora deve lottare vivendo e sopportando situazioni dolorose ed alquanto difficili da risolvere. Il più debole sicuramente è il personaggio di Stefano Accorsi il quale, pur essendo il fratello più grande e soprattutto pur essendo stato un grande campione automobilistico negli anni addietro, non ha saputo reagire adeguatamente all'abbandono della casa da parte della madre fuggita in Canada con chissà chi. La più "tosta", invece, è la giovane sorella che già da tempo vive assumendosi le responsabilità di un'adulta, troppo elevate per la sua ancora acerba età, ma che grazie alla sua forza di volontà per cercare di mantenere sia la casa che la presenza stabile nella stessa del fratellino a cui in pratica fa ed ha sempre fatto da mamma, riuscirà anche, se non a trasformare il fratello sbandato, a fargli per lo meno prendere profonda coscienza facendogli assumere le proprie responsabilità e così aiutarla. Quello che rende pregevole questa pellicola è il modo in cui Matteo Rovere rappresenta ed affronta i legami familiari, andando a fondo di essi ma non presentandoli in maniera mielosa e retorica, riuscendo così a dimostrare il suo essere padrone di tale delicata materia e descrivendo tre tipologie differenti di personaggi, di tre età diverse ma egualmente colpiti da vicende dolorose nel corso della loro esistenza a cui ognuno di loro ha reagito in maniera altrettanto differente.
Inoltre, vi è da aggiungere che anche il mondo delle corse automobilistiche risulta uno scenario assai avvincente ai fini della storia e viene da lui ripreso in una forma talmente interessante e spettacolare, ma ben dosata e dunque senza soffermarvisi troppo a lungo, da non annoiare, anzi il contrario.
Un'ultima menzione, nonchè lode, occorre rivolgerla agli interpreti: sia a Stefano Accorsi (notevolmente imbruttito per il suo particolare stato di degrado fisico) che all'esordiente Matilda De Angelis (già ammirata nello sceneggiato TV "Tutto Può Succedere") che ben impersonano i loro particolari personaggi che, infine, Paolo Graziosi nel misurato ruolo del fedele meccanico.
Altamente consigliabile.
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robroma66
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lunedì 11 aprile 2016
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motori e affetti sgangherati
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Motori, provincia romagnola e un'umanità sublime e infima sono gli ingredienti di questo film.
"Veloce come il vento" è liberamente ispirato alla storia di Carlo Capone, anzi ai racconti che ne ha dato un anziano meccanico di provincia, Antonio Dentini. Capone è stato campione europeo di rally nel 1984, poi è stato travolto da una abissale parabola discendente (ritiro dalle corse, problemi di droga, un grave lutto familiare) e oggi è ricoverato in una struttura di assistenza a persone con patologie psichiatriche.
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Motori, provincia romagnola e un'umanità sublime e infima sono gli ingredienti di questo film.
"Veloce come il vento" è liberamente ispirato alla storia di Carlo Capone, anzi ai racconti che ne ha dato un anziano meccanico di provincia, Antonio Dentini. Capone è stato campione europeo di rally nel 1984, poi è stato travolto da una abissale parabola discendente (ritiro dalle corse, problemi di droga, un grave lutto familiare) e oggi è ricoverato in una struttura di assistenza a persone con patologie psichiatriche.
Il film intreccia la passione per i motori con complicati legami affettivi.
Giulia, ancora minorenne, partecipa al campionato italiano GT. Di colpo è costretta a farsi carico del suo fratello minore (Nico), tra risultati sportivi deludenti e angoscianti problemi economici. Nelle loro vite entra inarginabile il fratello maggiore (Loris), ex pilota talentuoso e ora tossicodipendente. Loris diventerà il coach di Giulia, interpretando il ruolo in modo stralunato, rocambolesco e fuori dagli schemi eppure determinante nel tentativo di risalire la china. Una nuova consapevolezza personale e un ritrovato senso della famiglia darà una piega imprevista e insperabilmente favorevole agli eventi.
Un underdog movie che canta con aggraziato affetto gli ultimi, i guerrieri di provincia in cerca di redenzione e riscatto.
Tutte le interpretazioni sono convincenti e quella di Accorsi è realmente straordinaria. Il co-sceneggiatore e regista, Matteo Rovere (1982), ha realizzato un ottimo prodotto che affonda nel localismo italiano e lo riporta agli stilemi del mondo globalizzato, rendendolo godibile anche al di fuori dei confini originari. Decisamente un bel film: questo inizio d'anno sembra promettere molto bene per il nostro cinema.
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iuriv
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domenica 17 aprile 2016
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una veloce famiglia disgraziata.
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Costruire un film basato sulle corse automobilistiche non è per niente un'impresa facile, soprattutto ora che il metro di paragone universale è Rush, primo lungometraggio a mettere insieme un ottimo comparto visivo e una trama di valore.
Ma Rovere ci prova lo stesso: ispirato dalla vicenda umana dell'ex rallista Carlo Capone, il regista, ben consapevole di non avere a disposizione il budget di Howard, punta tutto sul realismo iscrivendo una vettura al campionato turismo GT e utilizzando le riprese di gara per il montaggio.
Il risultato è adrenalinico quanto serve, le scene di competizione sono credibili e trascinanti, i motori urlano e si sente l'odore delle corse.
Però l'aspetto sportivo, pur ben presente nella pellicola, non soverchia mai la storia che il regista vuol raccontare.
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Costruire un film basato sulle corse automobilistiche non è per niente un'impresa facile, soprattutto ora che il metro di paragone universale è Rush, primo lungometraggio a mettere insieme un ottimo comparto visivo e una trama di valore.
Ma Rovere ci prova lo stesso: ispirato dalla vicenda umana dell'ex rallista Carlo Capone, il regista, ben consapevole di non avere a disposizione il budget di Howard, punta tutto sul realismo iscrivendo una vettura al campionato turismo GT e utilizzando le riprese di gara per il montaggio.
Il risultato è adrenalinico quanto serve, le scene di competizione sono credibili e trascinanti, i motori urlano e si sente l'odore delle corse.
Però l'aspetto sportivo, pur ben presente nella pellicola, non soverchia mai la storia che il regista vuol raccontare. I personaggi ricavano da questa attitudine il giusto spazio, a tutto beneficio di una trama dallo spessore notevole, pur con la voglia di restare sempre in superficie.
Si sente spesso dire che Accorsi qui è irriconoscibile: in realtà questo attore sarebbe individuabile anche verniciato di verde, girato di schiena e con un sacchetto sulla testa. Il punto però è essere in grado di sfruttare le sue capacità. Rovere disegna un personaggio che Accorsi indossa come un guanto e che lo porta ad essere il giusto contraltare della brava esordiente De Angelis, i cui impacci si sposano alla perfezione con il carattere che deve interpretare.
Il film gioca molto sull'aspetto emotivo, aiutandosi con una colonna sonora in grado di dosare i propri temi (non originali) con l'obbiettivo di inchiodare lo spettatore sulla poltrona.
L'unico neo, forse, si trova in un finale che non osa quanto potrebbe. Ciò comunque non leva all'opera quella sensazione di aria fresca sulla pelle, da un po' carente nel cinema nostrano. Ci voleva davvero.
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