Un padre, una figlia |
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Un film di Cristian Mungiu.
Con Adrian Titieni, Maria-Victoria Dragus, Lia Bugnar, Malina Manovici.
continua»
Titolo originale Bacalaureat.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 128 min.
- Romania, Francia, Belgio 2016.
- Bim Distribuzione
uscita martedì 30 agosto 2016.
MYMONETRO
Un padre, una figlia
valutazione media:
3,48
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Un difficile percorso parallelodi ZararFeedback: 13464 | altri commenti e recensioni di Zarar |
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martedì 20 settembre 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
In una Romania stagnante, in un ambiente percorso da un senso permanente di insicurezza e minaccia, tra gente esperta nell’arte di arrangiarsi, il medico Romeo Aldea, deluso dal fallimento di una rinascita democratica del suo paese in cui aveva riposto tante speranze, da un matrimonio tenuto a stento in piedi, da una relazione sentimentale problematica, concentra il suo desiderio di riscatto dalle sue frustrazioni e aspirazioni fallite in un progetto quasi ossessivo per sua figlia Eliza: dopo una maturità che si presume brillante, dovrà andar via, frequentare l’Università in Inghilterra, un inizio almeno per lei di una vita diversa e migliore. Proprio alla vigilia degli esami, un evento drammatico, una violenza sessuale subita da Eliza, sconvolge il piano e mette tutto a rischio. Un’ansia crescente prende quest’uomo abituato a non perdere la calma: ama la figlia tanto più quanto più la sente offesa e ferita, ma, quasi senza rendersene conto, continua a far prevalere su tutto la sua ossessione, fino a dimostrarsi incapace di comprendere fino in fondo lo shock della ragazza e le diverse priorità che si pongono ora come impreviste resistenze. E’ pronto a tutto per superare i nuovi ostacoli, anche, contraddittoriamente, ai peggiori compromessi, tipici di quell’ambiente che detesta e da cui vuol far fuggire sua figlia ad ogni costo. Una contraddizione di fondo che genera incertezze e sofferenze, dure scoperte e umiliazioni, ridiscussione drammatica di rapporti personali, e che costringe padre e figlia ad un duro percorso di formazione e autocoscienza. Un cauto ottimismo segna la fine della vicenda. Al di là del moralismo di fondo, di facili simbolismi sparsi qua e là, è la figura del padre, felicemente impersonata da A. Titieni, l’elemento più convincente del film. Titieni disegna molto bene questo anti-eroe di tempi di incertezza e di crisi: figlio consapevole di utopie morte, ma ancora incapace di leggere la realtà nuova nei suoi duri condizionamenti e di concepire la libertà come autonomia; concentrato in un disperato tentativo di controllo di un mondo che gli sfugge attraverso una soluzione individuale dove non esistono più soluzioni ‘collettive’; umano troppo umano nella sua capacità di amare incondizionatamente, eppure incapace di ‘vedere’ realmente gli altri e i loro sentimenti al di fuori dei suoi schemi; preda di contraddizioni insanabili giustificate ancora, perversamente, con un fine più alto; solo con le sue angosce, eppure, in positivo, capace ancora di mettersi in discussione fino a riuscire ad aggiustare pazientemente la rotta, a cercare una ricomposizione, a vedere dove ha sbagliato. Il processo speculare di crescita della deuteragonista, la figlia, è tratteggiato con molto minore efficacia sia nella sceneggiatura, sia nella recitazione: una Dragus piuttosto imbambolata riesce ad esprimere abbastanza bene una resistenza sorda e un’incerta ricerca di libertà che non sia fuga, ma è poco convincente nel delineare una evoluzione verso una nuova maturità. Troppo teatrale infine e ad una sola dimensione la madre, nel suo esibito trascinarsi da un amaro predicozzo all’altro. Sfondo convenientemente desolato il deserto urbano, i piccoli interni troppo pieni di stile sovietico. Parabola post-sovietica d’antan (troppo d’antan e troppo legata a un particolare ambiente, qualcuno ha osservato), in realtà molto più universale di quanto non appaia, anche se non sempre all’altezza delle ambizioni del regista. Tre stelle e mezzo.
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