Le meraviglie

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Un film di Alice Rohrwacher. Con Maria Alexandra Lungu, Sam Louwyck, Alba Rohrwacher, Sabine Timoteo, Agnese Graziani.
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Drammatico, durata 111 min. - Italia 2014. - Bim Distribuzione uscita giovedì 22 maggio 2014. MYMONETRO Le meraviglie * * * - - valutazione media: 3,23 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

meraviglie della poesia Valutazione 4 stelle su cinque

di pepito1948


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martedì 27 maggio 2014

La terra nella sua essenza arcaicamente bucolica ma anche brutalmente multiforme: fangosa, ospitale, da toccare, da dormirci sopra come atto di amore ed immersione totale. Le api, simbolo di incessante produttività ma anche di libertà acuminata, di umoralità ma anche di comunicazione tattile. Il letto come luogo di unione fisica ma anche di sonno, sogno e di riflessione. La casa di campagna, essenziale, dove le ombre prevalenti si alternano alla luce del sole mischiandosi ad un chiaroscuro di voci ora sussurrate ora urlate ora accorate, dove i raggi filtranti di luce si prestano ad essere bevuti con le mani a coppa per la loro solare limpidezza. Una povertà immanente spalmata come brina ma sublimata dalla vitalità, sia pure appesantita da una quotidianità difficile e irta di problemi, di una famiglia rifluita come spezzone di una comunità più ampia in un luogo solitario della Tuscia, in cui sembra aleggiare il mistero e l’antica memoria degli Etruschi. Padre padrone ed iroso, moglie mediatrice e dispensatrice di affettività, un nugulo di figlie femmine, tra cui si erge Gelsomina, la maggiore, vice-factotum dell’azienda di apicoltura familiare. Intorno a lei si svolge il filo narrativo e da lei s’irradia l’iniziativa che spinge ed influenza l’evoluzione della famiglia ed i suoi moti sussultori. Gelsomina è il fiore che sta sbocciando prematuramente, a causa delle responsabilità che il padre le ha caricato sulle spalle, ma che non rinuncia alla sua adolescenza ed alle relative iniziazioni verso il mondo “esterno”, fatto ai suoi occhi  di suggestioni, di incanti, di magie, di personaggi fiabeschi. Ed è proprio una fata turchina, bella ma posticcia, intrigante ma con le rughe e senza bacchetta magica, che la conquista spingendola verso la fabbrica delle illusioni per antonomasia, la televisione, ai cui bagliori inconsistenti non si può resistere. Ma non sarà quell’esperienza –fatta di lusinghe e di vacuità- a svezzarla, ma l’arrivo in famiglia di un ragazzo chiuso e taciturno che nessuno è riuscito a toccare e che comunica solo con un linguaggio melodioso e ancestrale, che trascende l’arida concettualità della parola. Solo Gelsomina riuscirà a decifrarlo e potrà valicare quella barriera, con l’acerba dolcezza e  la candida audacia della sua grazia di pupa fattasi farfalla.
Alice R., autrice e regista alla seconda impegnativa prova giustamente premiata a Cannes, innesta la sua storia, fatta di fili che si snodano, si prolungano e si intrecciano sinuosamente, in un contesto neorealista e “proletario”, in cui la natura è scarna e neutra spettatrice delle piccole gesta di un quadrilatero umano (tre donne ed un uomo) che si dipanano serpeggiando tra asperità, morbidezze, mediazioni, maturazioni, scontri e sogni di un vivere semplice nell’esteriorità ma complesso nelle sue dinamiche di crescita individuale e collettiva del gruppo. Ma la narrazione, pur nella sua cruda autenticità,  è espressa in ogni momento attraverso il filtro di una poetica fatta di chiaroscuri, di atmosfere primordiali, di infantili rapimenti davanti all’irrompere di mondi luccicanti che nascondono la loro capacità corruttiva, di ombre che si muovono platonicamente sulla parete illuminata di una grotta vibrante di corrispondenze affettive. Impossibile non andare con il pensiero ad un’altra Gelsomina (felliniana) che ha in comune con la protagonista il candore vitale e la determinazione di vivere succhiando il massimo di conoscenza e di sensazioni dal prorompere incessante del “fuori da sé”, e l’impulso irrefrenabile a resistere alle pressioni castranti e neganti del “proprio uomo”. Straordinarie le giovani interpreti delle due figlie maggiori, pienamente credibili e disinvolte nei rispettivi ruoli, grazie anche ad una regia attenta a “naturalizzare” i personaggi e nel contempo a non sminuire il simbolismo immanente e l’impronta onirica, fortemente marcata nel finale che si presta a diverse letture. Meraviglie dell’incanto, del disincanto stemperato nei valori della terra, degli affetti, della scoperta della bellezza come valore fondante, meraviglie delle vibrazioni auliche della dimensione poetica della vita.

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