eusebio abbondanza
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mercoledì 28 maggio 2014
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sopravvalutato
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Personalmente trovo che “Le Meraviglie” sia un film poco riuscito e abbastanza sopravvalutato. Non so quali fossero le intenzioni, ma mi è sembrato uno scialbo manifesto anti-bucolico che sceglie di raccontare la vita contadina attraverso la bruttezza e lo squallore.
Brutti i luoghi, una campagna fangosa dove non si vede un fiore o un prato, un casale scalcinato, dentro e fuori, uno squallido laboratorio per il miele in stile condono edilizio.
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Personalmente trovo che “Le Meraviglie” sia un film poco riuscito e abbastanza sopravvalutato. Non so quali fossero le intenzioni, ma mi è sembrato uno scialbo manifesto anti-bucolico che sceglie di raccontare la vita contadina attraverso la bruttezza e lo squallore.
Brutti i luoghi, una campagna fangosa dove non si vede un fiore o un prato, un casale scalcinato, dentro e fuori, uno squallido laboratorio per il miele in stile condono edilizio.
Brutta (volutamente?) la fotografia, le inquadrature e i “movimenti” di macchina, talmente poco curati da sembrare improvvisati e casuali (volutamente?), il montaggio molto approssimativo (o estremamente “coraggioso”, a seconda dei punti di vista). Perfino la Bellucci, con la parrucca bianca e quella assurda tutina dorata che le evidenzia i difetti dell'età, perde molto del suo fascino.
Per non dire della sceneggiatura, che a metà del film prende una piega favolistica che non arriva da nessuna parte (la tv locale con la fatina presentatrice, i contadini vestiti da etruschi, il cammello, ah... quanta poesia nel cammello...).
E comunque, dato che trattasi di Film d'Autore, quello che si poteva abbondantemente raccontare in 80 minuti viene dilatato fino a sfiorare le due ore, giusto per superare il limite massimo di resistenza umana.
Ma forse era proprio questo il messaggio: scordatevi la retorica bucolica del dolce vivere in campagna. La terra è brutta: sudore e sangue, sporcizia e noia, e viverci è un inferno. Meglio sognare la fuga attraverso la TV, anche se la tv è il programma assurdo di una scamuffa emittente regionale.
Detto questo, il film ha vinto a Cannes un premio prestigiosissimo, e forse la mia lettura probabilmente è solo frutto di miopia o scarsa sensibilità. Lo ammetto: sono poco adatto a comprendere un certo Cinema d'Autore.
Per cui, com'è giusto, festeggiamo con viva e vibrante soddisfazione e con sano sciovinismo nazionale la vittoria di una regista italica e per di più donna.
Viva l'Italia, viva le donne, viva la campagna!
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angelo umana
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lunedì 26 maggio 2014
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accostamenti difficili
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Il premio speciale della giuria di Cannes a “Le meraviglie” potrebbe essere dovuto alla simpatia che suscitano le ragazze, da Gelsomina, 13enne protagonista attorno ai cui sentimenti ruotano la macchina da presa e le attenzioni della famiglia in cui vive, tutto sembra a lei riferirsi, fino alle tre sue sorelle. Parrebbe il mondo dei grandi visto dai bambini, le loro capacità di adattamento gli fanno vivere qualsiasi vita venga loro data, sia essa in una fattoria dove si allevano animali e si ricava il miele dalle api, con sistemi del tutto biologici, sia esso un set televisivo che li fa sognare.
Il film è senz’altro meritevole di un “certain regard” per la delicatezza che la regista Alice Rohrwacher mette nel descrivere l’ambiente umano e rurale dove la vicenda si svolge, ma anche un po’ sconclusionato perché non è ben chiaro se si tratta di una biografia adolescenziale, coi ricordi e il primo amore che nasce insospettabile – di Gelsomina per Martin, un ragazzino disadattato che è loro ospite per essere recuperato – oppure se si tratta del rapporto improbabile tra programmi tv dei più kitsch e una vita agreste così lontana da quel mondo.
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Il premio speciale della giuria di Cannes a “Le meraviglie” potrebbe essere dovuto alla simpatia che suscitano le ragazze, da Gelsomina, 13enne protagonista attorno ai cui sentimenti ruotano la macchina da presa e le attenzioni della famiglia in cui vive, tutto sembra a lei riferirsi, fino alle tre sue sorelle. Parrebbe il mondo dei grandi visto dai bambini, le loro capacità di adattamento gli fanno vivere qualsiasi vita venga loro data, sia essa in una fattoria dove si allevano animali e si ricava il miele dalle api, con sistemi del tutto biologici, sia esso un set televisivo che li fa sognare.
Il film è senz’altro meritevole di un “certain regard” per la delicatezza che la regista Alice Rohrwacher mette nel descrivere l’ambiente umano e rurale dove la vicenda si svolge, ma anche un po’ sconclusionato perché non è ben chiaro se si tratta di una biografia adolescenziale, coi ricordi e il primo amore che nasce insospettabile – di Gelsomina per Martin, un ragazzino disadattato che è loro ospite per essere recuperato – oppure se si tratta del rapporto improbabile tra programmi tv dei più kitsch e una vita agreste così lontana da quel mondo. Un mondo di pietre e di concretezza accostato ad uno di celluloide e plastica. Il concorso televisivo vuole raccontare le meraviglie delle produzioni agricole più genuine, ma lo fa vestendo il mondo contadino di costumi di pessimo gusto in qualche modo in relazione alle origini etrusche del luogo. La tv è “ben” rappresentata dal direttore del programma, adagiato mollemente sulla prua della barchetta Lucifero (e luciferino è lo scopo della tv di far soldi da qualsiasi evento) che porta la troupe a riprendere le famiglie, che concorrono a un premio per le loro produzioni, e dalla matura e affascinante Monica Bellocci che sembra avere attorno a sé un’aura di santità mediatica, almeno agli occhi dei semplici e perciò Gelsomina ne rimane conquistata.
Non si capisce poi la presenza del tedesco amico di papà Wolfgang, presenza inquieta e equivoca, come non si comprende quella del cammello sull’aia, che questo burbero e umorale papà ha voluto comprare alle figlie, forse per mostrare ancora di più il senso di Gelsomina per gli animali (frase mutuata da “Il senso di Smilla per la neve”). Senza molto senso sembra pure la provenienza o il linguaggio dei personaggi, tra il francese di Alba Rohrwacher, il tedesco del marito e l’italiano parlato più o meno da tutti, col tedesco Wolfgang che lo parla come un immigrato dall’est europeo.
La stessa delicatezza è usata dalla Rohrwacher nel film del 2011, Corpo Celeste, un film decisamente migliore del nuovo e premiato Le meraviglie, almeno perché prende posizione contro l’interpretazione a proprio uso e consumo della religione nel ventre italico profondo, con corredo di santini elettorali spacciati dal prete (l’indimenticato sarto Salvatore Cantalupo di Gomorra) ai propri fedeli. Qui il film è visto dagli occhi dell’adolescente 13enne Marta, trasferitasi in Calabria dalla Svizzera: si tratta anche in questo caso delle storture o ottusità dei grandi viste dagli occhi di bambini.
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[+] sam louwyck
(di angelo umana)
[ - ] sam louwyck
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emylio spataro
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domenica 25 maggio 2014
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tutto naturale
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"Tutto naturale, non c'è niente di chimico... solo miele puro di api" dice stentatamente davanti alle telecamere di un concorso televisivo il protagonista del film, un burbero e affascinante apicultore della campagna umbra, tedesco, moglie italiana (Alba Rohrwacher) quattro figlie femmine, un casale di campagna circondato da alveari. E sulle inquietudini adolescenziali di Gelsomina, l'introversa primogenita che l'aiuta nel duro e ripetitivo lavoro di raccolta e raffinazione del miele, ruota tutto il film, naturale come il nettare d'api versato maldestramente per i primi palpiti d'amore.
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"Tutto naturale, non c'è niente di chimico... solo miele puro di api" dice stentatamente davanti alle telecamere di un concorso televisivo il protagonista del film, un burbero e affascinante apicultore della campagna umbra, tedesco, moglie italiana (Alba Rohrwacher) quattro figlie femmine, un casale di campagna circondato da alveari. E sulle inquietudini adolescenziali di Gelsomina, l'introversa primogenita che l'aiuta nel duro e ripetitivo lavoro di raccolta e raffinazione del miele, ruota tutto il film, naturale come il nettare d'api versato maldestramente per i primi palpiti d'amore. Ecco una delle meraviglie di questo austero e delicato film d'autore, con campi e controcampi quasi documentaristici (il primo amore della regista) il cui pregio più grande è proprio quello di non annoiare lo spettatore sensibile, lasciandolo libero di immaginare, pur avendo tutte le caratteristiche del cinema sperimentale, dunque di non facile fruizione. Cinema puro, fatto di immagini evocative più che di analisi psicologica dei personaggi, con dialoghi scarni ma pregnanti. Magiche le apparizioni di una matura e pur sempre bella Monica Bellucci, sotto forma di una conduttrice di una tv locale travestita da fatina turchina incrociata con una dea mitologica, svolazzante tra i ruderi etruschi. Come magica surreale è l'apparizione di un cammello che il padre apicultore regala alla figlia, anche se Gelsomina che lo desiderava da piccola, ora che sta crescendo, preferisce rincorrere l'amore di un coetaneo, un ragazzo difficile portato dai servizi sociali. Dopo l'ultimo fotogramma, mentre scorrono i titoli di coda, ti resta qualcosa di buono e di dolce. Come il miele. Ma anche di agre e malinconico. Come la vita che scorre in un film.
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(di kleber)
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greatsteven
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domenica 17 settembre 2017
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un concorso televisivo in una terra di apicoltori.
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LE MERAVIGLIE (IT/SVIZZ/GERM, 2014) diretto da ALICE ROHRWACHER. Interpretato da ALBA ROHRWACHER, MARIA ALEXANDRA LUNGU, MONICA BELLUCCI, SAM LOUWYCK, SABINE TIMOTEO, AGNESE GRAZIANI
In Toscana abita una famiglia di apicoltori in un casale di campagna: padre, madre, quattro figlie femmine, capeggiate dalla primogenita Gelsomina. Il babbo, di origine tedesca, vuole preservare l’intera famiglia dai rischi dell’industria, di cui diffida imperterrito, e continuare il lavoro a conduzione famigliare secondo gli antichi valori contadini. Pertanto la loro esistenza prosegue sui ritmi che la natura stessa scandisce, fintantoché non approdano in paese due novità: un giovane uomo germanico da rieducare che ha combinato qualche casino e ha dunque problemi con la giustizia, e l’arrivo di un programma televisivo, Il paese delle meraviglie, di cui è protagonista una bellissima donna, la fata bianca Milly Catena, interessato alla genuinità dei prodotti agricoli locali e intenzionato pure a premiare le delizie migliori in un concorso.
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LE MERAVIGLIE (IT/SVIZZ/GERM, 2014) diretto da ALICE ROHRWACHER. Interpretato da ALBA ROHRWACHER, MARIA ALEXANDRA LUNGU, MONICA BELLUCCI, SAM LOUWYCK, SABINE TIMOTEO, AGNESE GRAZIANI
In Toscana abita una famiglia di apicoltori in un casale di campagna: padre, madre, quattro figlie femmine, capeggiate dalla primogenita Gelsomina. Il babbo, di origine tedesca, vuole preservare l’intera famiglia dai rischi dell’industria, di cui diffida imperterrito, e continuare il lavoro a conduzione famigliare secondo gli antichi valori contadini. Pertanto la loro esistenza prosegue sui ritmi che la natura stessa scandisce, fintantoché non approdano in paese due novità: un giovane uomo germanico da rieducare che ha combinato qualche casino e ha dunque problemi con la giustizia, e l’arrivo di un programma televisivo, Il paese delle meraviglie, di cui è protagonista una bellissima donna, la fata bianca Milly Catena, interessato alla genuinità dei prodotti agricoli locali e intenzionato pure a premiare le delizie migliori in un concorso. Sarà un’estate straordinaria e speciale per le quattro sorelle, e fondamentalmente anche per il capofamiglia Wolfgang e la moglie, che cambierà per sempre la loro vita, in quanto la fortuna, durante il concorso di premiazione, arriderà anche a loro. Presentato alla Quinzaine des Réalisateur a Cannes 2014, il film s’è conquistato il Gran Premio della Giuria, e una volta tanto il riconoscimento non ha sortito delusioni: la Rohrwacher, alla sua seconda esperienza al festival cinematografico francese, ha deciso di trarre dalla propria autobiografia una trama tranquillamente sensazionale, o meglio, di costruire su esperienze personali una vicenda che affonda la propria ragion d’essere nella propria storia famigliare. Non a caso Alice ha voluto come protagonista femminile la sorella minore Alba, che ultimamente sta davvero affinando un talento recitativo fuori dal comune che la condurrà molto lontano. Stilisticamente è un compendio contemplativo sulla vita di tutti i giorni, l’importanza delle tradizioni secolari nel lavoro del settore primario, sulla trasmissione intergenerazionale di valori significativi, sul fascino che le apparenze possono generare su menti tutto sommato ingenue che però credono, e con ragione, nella rilevanza fondamentale dei sogni. La poesia del quotidiano è narrata dalla regista con un registro talmente sensibile che molto spesso tocca corde commoventi e richiama in più occasioni la sua stessa personale esperienza di vita, donando pertanto all’opera verosimiglianza, mista a sincerità e ad una vitalità che prorompe grazie (e non malgrado, come un occhio inesperto potrebbe supporre) alla serenità che pervade tutti i cento minuti della durata del film. Un’autentica meraviglia è anche la stupenda Bellucci nei panni della conduttrice biancovestita del concorso televisivo che vuole visitare i paesi campestri per conoscere le onorevolissime squisitezze gastronomiche autoctone e donare un riconoscimento ben meritato non tanto ai prodotti in sé, quanto soprattutto agli uomini e alle donne che trafficano giorno dopo giorno per donare al commercio, direttamente dalla terra, il frutto delle proprie mani e della propria fatica. I due momenti più eccitanti sono l’arrivo di Martin, il ragazzaccio tedesco che fugge dalle forze dell’ordine per aver infranto alcune norme, molto efficace nella sua parlata interlinguistica, col suo ciuffo biondo e il suo fare beatamente scanzonato, e la ricerca del bambino nel bosco di notte, la stessa notte in cui i conduttori della televisione attribuiscono i premi ai cibi di produzione locale. Una recitazione corale che permette tanto agli adulti quanto ai fanciulli di esprimersi (in varie lingue, poiché si sente parlare in italiano, toscano, francese e tedesco, ma questa è più che altro una battuta intrusiva) artisticamente nel modo più funzionale al quadro positivo e ottimistico dell’insieme, che apre le porte alla speranza e specialmente non manca di mandare un monito, questo molto meno ottimistico, all’invasione dell’industrializzazione forzata che distrugge le ataviche pratiche lavorative di un tempo che, al contrario delle macchine ottuse e ripetitive, rispettano le leggi e i tempi della natura. Un elogio alla vita contadina che vi aggiunge anche un panegirico educativo e non buonista (il rischio è evitato con abilità) della fedeltà e dell’amore tra famigliari, ribadendo l’importanza della compattezza dell’amore e della risolutezza dei sentimenti. La Rohrwacher regista dimostra di avere le carte in regola per portare a casa uno stupendo regalo meritatamente riconosciutole perché conosce la materia narrativa di cui discorre e la espone con occhio lucido e senza prendersi la briga di esprimere giudizi a favore degli uni o degli altri, ma limitandosi bensì, e con saggezza, a rammentare a chiunque l’abbia dimenticato che la terra rende tanto meglio quanto l’uomo riesce a coltivarla senza forzarla e con la debita delicatezza, il che costituisce un perno fondante che troppo spesso, anche nel cinema d’essai, viene trascurato. Montaggio: Mario Spoletini. Musiche originali di Piero Crucitti. Scenografia: Emita Frigato. Fotografia: Hélène Louvart. Riconosciuto di interesse culturale con sostegno dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Direzione Generale Cinema. Un’ennesima lode che va a completare un caleidoscopio di colori, forme e suoni che affascina dal primo all’ultimo fotogramma, incantando lo spettatore col suo rigore poetico, l’ambientazione scarna ma al contempo anche intrigante e la veracità dei suoi piccoli personaggi, lavoratori instancabili e felici.
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mattiabertaina
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giovedì 12 giugno 2014
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tutto cambia e nulla resta uguale a se stesso...
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Radici, adolescenza, cambiamento. Sono tre temi cardine de “Le meraviglie”, il secondo lungometraggio della regista Alice Rohrwacher. Premiato a Cannes con il Gran Premio della Giuria, il lavoro, girato nelle terre che un tempo furono l’Antica Etruria, parte con una narrazione in media res: il capofamiglia Wolfgang, la moglie Angelica e le figlie che abitano in un casolare immerso nella campagna umbra e che si guadagnano da vivere con la produzione artigianale di miele. Figura centrale della storia è Gelsomina, giovane adolescente e primogenita, introversa e ribelle che, pur crescendo in una realtà rurale, sogna un’altra vita. Il microcosmo rappresentato dalla cineasta trasuda di rapporto stretto con la natura e con la realtà immanente circostante; le stesse figlie di Wolfgang e Angelica hanno nomi che rimandano a questa idea: Gelsomina, Marinella, Luna.
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Radici, adolescenza, cambiamento. Sono tre temi cardine de “Le meraviglie”, il secondo lungometraggio della regista Alice Rohrwacher. Premiato a Cannes con il Gran Premio della Giuria, il lavoro, girato nelle terre che un tempo furono l’Antica Etruria, parte con una narrazione in media res: il capofamiglia Wolfgang, la moglie Angelica e le figlie che abitano in un casolare immerso nella campagna umbra e che si guadagnano da vivere con la produzione artigianale di miele. Figura centrale della storia è Gelsomina, giovane adolescente e primogenita, introversa e ribelle che, pur crescendo in una realtà rurale, sogna un’altra vita. Il microcosmo rappresentato dalla cineasta trasuda di rapporto stretto con la natura e con la realtà immanente circostante; le stesse figlie di Wolfgang e Angelica hanno nomi che rimandano a questa idea: Gelsomina, Marinella, Luna. La colonna sonora è un grande successo di quegli anni dal titolo niente affatto casuale: “T’appartengo”. Un piccolo mondo al suo crepuscolo, destinato a scomparire dinnanzi al progresso che avanza inesorabile e ad elementi alieni alla realtà bucolica vissuta dalla famiglia di apicoltori a guisa di moderno “panta rei” eracliteo: nuove norme igieniche che impongono spese ed ammodernamento dei locali, Martin, un ragazzo soggetto a rieducazione forzata e una troupe televisiva naif e snob sulle tracce degli Etruschi. È proprio la donna in bianco, Milly Catena che, a dispetto del cognome, incoraggerà la ribellione latente di Gelsomina, fermamente intenzionata a far partecipare la propria famiglia al nuovo reality, per dare nuova linfa ad una routine che scorre tutti i giorni uguale a se stessa. Gli scontri di vedute tra il padre e la figlia dodicenne saranno per gran parte della pellicola il motore trainante della storia. Il tema dell’adolescenza, già trattato con occhio sensibile nel precedente lavoro, “Corpo celeste” (del 2011), torna, ma forse non con la stessa prorompenza. Uno stile asciutto, a tratti documentaristico che passa attraverso gli occhi sognanti di Gelsomina, rendendo a tratti difficile per lo spettatore, discernere tra la dimensione reale e quella onirica.
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gianleo67
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sabato 8 novembre 2014
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lo spirito dell'alveare...secondo rohrwacher
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Gelsomina, mite e laboriosa, è un'adolescente da sempre vissuta nel casale della campagna toscana dove condivide il duro impegno nell'apicoltura con un padre testardo e dispotico, una madre dolce e accondiscendente, le tre sorelle più piccole ed una giovane amica che vive con loro. Combattuta tra doveri familiari e legittime aspirazioni adolescenziali decide di partecipare, all'insaputa e contro la volontà paterna, ad un concorso che una trasmissione televisiva itinerante sta realizzando sul posto allo scopo di valorizzare le vocazioni di una terra legata alla memoria di un'antica cultura etrusca e ad un presente di piccole aziende agroalimentari a conduzione familiare.
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Gelsomina, mite e laboriosa, è un'adolescente da sempre vissuta nel casale della campagna toscana dove condivide il duro impegno nell'apicoltura con un padre testardo e dispotico, una madre dolce e accondiscendente, le tre sorelle più piccole ed una giovane amica che vive con loro. Combattuta tra doveri familiari e legittime aspirazioni adolescenziali decide di partecipare, all'insaputa e contro la volontà paterna, ad un concorso che una trasmissione televisiva itinerante sta realizzando sul posto allo scopo di valorizzare le vocazioni di una terra legata alla memoria di un'antica cultura etrusca e ad un presente di piccole aziende agroalimentari a conduzione familiare. A complicare la situazione arriva anche un ragazzino difficile, affidato alla loro famiglia per un periodo di lavoro e di necessaria riabilitazione sociale.
Come già il precedente 'Corpo Celeste' (2011), Alice Rohrwacher si cimenta nella scrittura e nella direzione di una co-produzione internazionale con il doveroso contributo di RAI Cinema e dei fondi ministeriali, dove l'impronta sociale legata ad uno spaccato familiare complicato e promiscuo si confonde con una vocazione personale più incline ad un certo realismo magico ed all'astrazione simbolica, confermandone tanto i molti pregi che i non pochi difetti, ma riuscendo a portare a termine un lavoro che riesce a chiudere il suo discorso senza ripiegarsi più di tanto su se stesso. Attingendo al patrimonio di una memoria contadina e ad un'esperienza familiare multiculturale di chiara derivazione autobiografica, la Rohrwacher anima l'apparente idillio di una comune rurale a conduzione familiare con le aspirazioni ecologiste di un bisbetico apicoltore teutonico dal forte accento toscano che finiscono per scontrarsi, negli esemplari ammiccamenti di una civiltà della mistificazione, con le suadenti sirene di una modernità commerciale che tutto finisce per corrompere e piegare alle proprie esigenze di spettacolo e di palinsesto. Catalizzatore di questo inevitabile processo di manipolazione e mistificazione, sembra proprio la giovane adolescente Gelsomina, il cui racconto di formazione sembra intersecare tanto le ragioni di una meraviglia che nasce dal reale contatto con la natura (la pacifica convivenza con le api che affiorano magicamente dalle sue labbra) quanto la più prosaica e realistica sensibilità alle attrattive di un mondo 'esterno' luccicante ed ammaliante quanto falso e indifferente. Pur non convincendo troppo per via di un sovraccarico di motivi e spunti simbolici forzatamente inseriti nel contesto realistico della narrazione (l'ideale ecologista, le mistificazioni televisive, la parabola sociale, il racconto di formazione e chi più ne ha più ne metta) e di un finale che converge mestamente verso una deriva onirica e pessimista (l'ideale ha perso, l'azienda ha chiuso i battenti e la troupe televisiva ha ormai tolto le tende) senza una reale tensione emotiva a sorreggerla, si riconosce all'autrice l'indubbia sensibilità di un registro che cerca senza enfasi la magia di una realtà contadina dove ci si illude che ancora sopravvivano tanto l'armonia del rapporto con la natura quanto quello tra le persone, unico baluardo contro le forze disgregatrici di una utopistica unità familiare. Bravo nel ruolo del rude Wolfang il coreografo fiammingo Sam Louwyck, ma soprattutto sorprende positivamente l'interpretazione della giovane esordiente di origini romene Maria Alexandra Lungu scelta in un casting che finisce per assomigliare molto (troppo) a quello che nel film fa una fatina dall'aria svampita interpretata da una attempata ma sempre attraente Monica Bellucci. Location suggestive di una indefinita geografia rurale al confine tra Toscana e Umbria nella bella fotografia di Hélène Louvart. La Rohrwacher non sarà Erice ('El espíritu de la colmena' - 1973) ma finisce lo stesso per guadagnarsi meritatamente il Grand Prix Speciale della Giuria al Festiva di Cannes 2014.
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emylio spataro
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lunedì 26 maggio 2014
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alice (rohrwacher) delle meraviglie
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"Tutto naturale, non c'è niente di chimico... solo miele puro d'api" dice stentatamente davanti alle telecamere di un concorso televisivo ("Il paese delle Meraviglie") il protagonista del film, un burbero ma anche tenero apicultore della campagna umbra. Tedesco, moglie italiana (Alba Rohrwacher), quattro figlie, un'altra donna non identificata, forse una lontana parente oriunda, una grande famiglia in un casale di campagna circondato da alveari.
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"Tutto naturale, non c'è niente di chimico... solo miele puro d'api" dice stentatamente davanti alle telecamere di un concorso televisivo ("Il paese delle Meraviglie") il protagonista del film, un burbero ma anche tenero apicultore della campagna umbra. Tedesco, moglie italiana (Alba Rohrwacher), quattro figlie, un'altra donna non identificata, forse una lontana parente oriunda, una grande famiglia in un casale di campagna circondato da alveari. E sulle inquietudini adolescenziali di Gelsomina, l'introversa primogenita che lo aiuta nel duro e ripetitivo lavoro di impollinazione delle api, ruota tutto il film, naturale come il miele versato maldestramente per i primi palpiti d'amore. Ecco una delle meraviglie di questo austero e delicato film d'autore, con campi e controcampi quasi documentaristici (il primo amore della regista) il cui pregio più grande è proprio quello di non annoiare lo spettatore sensibile, lasciandolo libero di immaginare quel che non viene spiegato, pur avendo tutte le caratteristiche del cinema sperimentale, dunque di non facile fruizione. Cinema puro, fatto di immagini evocative e dialoghi scarni ma pregnanti, più che di analisi psicologica dei personaggi, visti nel quotidiano incedere di piccoli e grandi eventi nei lenti ritmi di un microcosmo rurale, alieno dal mondo moderno. La macchina da presa non indugia in ricerca formale, ma esplora le atmosfere naturali amplificandole con garbo tutto femminile. Come le magiche apparizioni di una matura e pur sempre bella Monica Bellucci, sotto forma di conduttrice di una tv locale, travestita un pó da fatina turchina un pó da dea mitologica, in affascinanti locations tra ruderi etruschi. Come magica e surreale è l'apparizione di un cammello che l'apicultore regala alla figlia, anche se Gelsomina che lo desiderava da piccola, ora che sta crescendo, preferisce rincorrere la scoperta dell'amore per un coetaneo, un taciturno ragazzino "difficile" portato nella sua comunità per essere reinserito. E cosí la piccola donna col nome di un fiore si prepara a volare oltre quegli stretti confini. Dopo l'ultimo fotogramma, mentre scorrono i titoli di coda, ti resta qualcosa di buono e dolce. Come il miele. Ma anche agre e malinconico. Come la vita che scorre in un film.
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[+] si,infatti; e aggiungo
(di francesco izzo)
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anto41
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sabato 9 agosto 2014
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una storia quasi fiabesca
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“Le meraviglie”, è il nuovo film di Alice Rohrwacher, regista del film “Corpo Celeste”, uscito nel 2011. Rohrwacher racconta l’affresco di un’adolescente degli anni ’90, accompagnata dal tormentone “T’appartengo”, di Ambra Angiolini. Come unico sfogo per un mondo che sembra non appartenergli.
Il lungometraggio è stato girato nelle campagne tra l’Umbria e la Toscana, nel centro Italia, accentuando pregi e difetti dei luoghi lontani dal centro abitato e dalla modernità di una vita in continua evoluzione.
La regista usa un linguaggio delicato, senza eccedere nelle problematiche di chi nasce, per caso, in un mondo per nulla fiabesco.
Gelsomina, interpretata dalla brava Maria Alexandra Lungu, è la protagonista della storia.
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“Le meraviglie”, è il nuovo film di Alice Rohrwacher, regista del film “Corpo Celeste”, uscito nel 2011. Rohrwacher racconta l’affresco di un’adolescente degli anni ’90, accompagnata dal tormentone “T’appartengo”, di Ambra Angiolini. Come unico sfogo per un mondo che sembra non appartenergli.
Il lungometraggio è stato girato nelle campagne tra l’Umbria e la Toscana, nel centro Italia, accentuando pregi e difetti dei luoghi lontani dal centro abitato e dalla modernità di una vita in continua evoluzione.
La regista usa un linguaggio delicato, senza eccedere nelle problematiche di chi nasce, per caso, in un mondo per nulla fiabesco.
Gelsomina, interpretata dalla brava Maria Alexandra Lungu, è la protagonista della storia. E’ la primogenita di papà Wolfgang, interpretato da Sam Louwyck, che aiuta nella gestione delle api per la raccolta del miele. Il padre è un uomo libero, amante del piacere e di tutto ciò che gira attorno ad esso. Però, tuttavia, ama le sue figlie, riuscendo a nascondere bene le sue preoccupazioni di un futuro incerto.
La tranquillità si spezza nel momento in cui in paese arriva Milly Catena (Monica Bellucci), nelle vesti di fatina del concorso “Le meraviglie”. La sua breve apparizione, irromperà in quell’atmosfera silenziosa e a tratti inquietante stravolgendone la calma apparente.
Alice Rohrwacher, con il suo tocco femminile ha convinto Cannes, vincendo il Gran Prix alla 67° edizione del Festival francese.
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anto41
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sabato 9 agosto 2014
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film a tratti fiabesco
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DI ANTONIO AGOSTA
“Le meraviglie”, è il nuovo film di Alice Rohrwacher, regista del film “Corpo Celeste”, uscito nel 2011. Rohrwacher racconta l’affresco di un’adolescente degli anni ’90, accompagnata dal tormentone “T’appartengo”, di Ambra Angiolini.
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DI ANTONIO AGOSTA
“Le meraviglie”, è il nuovo film di Alice Rohrwacher, regista del film “Corpo Celeste”, uscito nel 2011. Rohrwacher racconta l’affresco di un’adolescente degli anni ’90, accompagnata dal tormentone “T’appartengo”, di Ambra Angiolini. Come unico sfogo per un mondo che sembra non appartenergli.
Il lungometraggio è stato girato nelle campagne tra l’Umbria e la Toscana, nel centro Italia, accentuando pregi e difetti dei luoghi lontani dal centro abitato e dalla modernità di una vita in continua evoluzione.
La regista usa un linguaggio delicato, senza eccedere nelle problematiche di chi nasce, per caso, in un mondo per nulla fiabesco.
Gelsomina, interpretata dalla brava Maria Alexandra Lungu, è la protagonista della storia. E’ la primogenita di papà Wolfgang, interpretato da Sam Louwyck, che aiuta nella gestione delle api per la raccolta del miele. Il padre è un uomo libero, amante del piacere e di tutto ciò che gira attorno ad esso. Però, tuttavia, ama le sue figlie, riuscendo a nascondere bene le sue preoccupazioni di un futuro incerto.
La tranquillità si spezza nel momento in cui in paese arriva Milly Catena (Monica Bellucci), nelle vesti di fatina del concorso “Le meraviglie”. La sua breve apparizione, irromperà in quell’atmosfera silenziosa e a tratti inquietante stravolgendone la calma apparente.
Alice Rohrwacher, con il suo tocco femminile ha convinto Cannes, vincendo il Gran Prix alla 67° edizione del Festival francese.
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mercoledì 24 settembre 2014
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la ricerca delle meraviglie
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Il film “ Le meraviglie” sviluppa, a mio parere, sottotraccia, un tema di grande attualità, cioè: esiste un’alternativa tra un mondo “naturale” utopico e velleitario e uno artificioso e inquinato in tutti i sensi?
Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza di Gelsomina, la protagonista di questo film, si snoda all’interno di questo dilemma.
Un casolare fatiscente, isolato da uno squallido recinto metallico intorno ai campi. Questo è l’ambiente dove vive Gelsomina, primogenita di quattro sorelle, con loro il padre Wolfang, origini tedesche, la madre Angelica, origini francesi e un’altra donna, Cocò, forse parente o forse amica. Vivono in questa campagna della Tuscia , vecchia terra disseminata di tracce archeologiche.
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Il film “ Le meraviglie” sviluppa, a mio parere, sottotraccia, un tema di grande attualità, cioè: esiste un’alternativa tra un mondo “naturale” utopico e velleitario e uno artificioso e inquinato in tutti i sensi?
Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza di Gelsomina, la protagonista di questo film, si snoda all’interno di questo dilemma.
Un casolare fatiscente, isolato da uno squallido recinto metallico intorno ai campi. Questo è l’ambiente dove vive Gelsomina, primogenita di quattro sorelle, con loro il padre Wolfang, origini tedesche, la madre Angelica, origini francesi e un’altra donna, Cocò, forse parente o forse amica. Vivono in questa campagna della Tuscia , vecchia terra disseminata di tracce archeologiche.
Sono apicoltori, il loro miele è senza additivi chimici ne pesticidi, un prodotto naturale senza corruzioni.
Wolfang è un agricoltore particolare: produce non solo fuori dalle regole del mercato ma fuori da ogni normativa legale anche biologica. La famiglia non ha i mezzi per adeguarsi a normative esterne: insieme ad un laboratorio di fortuna ha impostato dall’interno i propri criteri di produzione e di sopravvivenza. Questa impresa autarchica si regge sul lavoro incessante di tutti, soprattutto donne che sono sei e un solo maschio. Wolfang guida caparbiamente una realtà che sembra essere il frutto di un suo vecchio disegno utopico e lo fa con fatica, sollecitando senza sosta il lavoro delle donne e il suo piglio burbero denota la sua ansia di dominio. Su Gelsomina ha investito molte aspettative, responsabilizzandola come un’adulta. La ragazzina, in questa fase di passaggio comincia a sfuggirgli e il padre sente vacillare il suo piccolo regno precario.
La regia materializza abilmente i pericoli dall’esterno: un alieno entra nella famiglia con le sembianze di Martin, adolescente tedesco “affidato” a scopo rieducativi. Fuori dal recinto, nel paese, arriva una troupe televisiva impegnata a costruire un programma a premi : “ Il paese delle meraviglie”, una kermesse di sogno-realtà, salcicce e radici archeologiche nello stile più pacchiano del “c’era una volta”:
Con questa comparsa la regia inscena efficacemente il mondo artefatto per eccellenza, quello dei teleschermi, un mondo agli antipodi del microcosmo di Gelsomina. Un sogno, uno spettacolo retorico e bugiardo possono accendere scintille di aspirazioni, anche le illusioni possono dare spinte verso il cambiamento. (quanti immigrati albanesi traghettavano da Valona verso l’Italia, terra “magnificata “ dal filtro della pubblicità TV?)
Gelsomina sta crescendo e il mondo in cui è vissuta finora le sta stretto, vuole cercare altro e perciò vive l’ncursione televisiva come un’opportunità, seguita a ruota dall’alieno Martin.
Il padre allarmato, aumenta le sue difese virando verso l‘assurdo : così un cammello, vecchio desiderio infantile di Gelsomina, presenza ingombrante nel prato del casolare, evoca la nostalgia di Wolfang per un’età dell’oro che esiste solo per lui.
A questi orizzonti,sono possibili alternative non grottesche, non oniriche ma credibili e praticabili?
Ci vuole anzitutto la libertà di cercarle, ci suggerisce tramite Gelsomina, la regia. Proponendoci questo bel film Alice Rohrwacher ci offre con un involucro poetico di tenera morbidezza con un nocciolo duro come l’acciaio. Da vedere.
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