dario bottos
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domenica 22 febbraio 2015
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un grottesco soporifero
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La cifra del film e' il grottesco, ma rispetto alla genialità' irriverente dei Monty Pithom o di Cipri' e Maresco - per fare dei paralleli - si tratta di un grottesco soporifero, di un'ironia algida, probabilmente molto scandinava. Pare infatti che alla berlina il film metta soprattutto il cliché' (ma che a questo punto si deve ritenere una realtà', se il giudizio proviene dall'interno) dell'incomunicabilità esistenziale che regna a quelle latitudini. Il film probabilmente attrae per la rarità' di prodotti di questo tipo.
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dario bottos
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domenica 22 febbraio 2015
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un grottesco soporifero
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La cifra del film e' il grottesco, ma rispetto alla genialità' irriverente dei Monty Pithom o di Cipri' e Maresco - per fare dei paralleli - si tratta di un grottesco soporifero, di un'ironia algida, probabilmente molto scandinava. Pare infatti che alla berlina il film metta soprattutto il cliché' (ma che a questo punto si deve ritenere una realtà', se il giudizio proviene dall'interno) dell'incomunicabilità esistenziale che regna a quelle latitudini. Il film probabilmente attrae per la rarità' di prodotti di questo tipo.
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tavololaici
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domenica 22 febbraio 2015
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si!!!
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Premessa fondamentale: non vorrei convincere nessuno a vedere questo film (perché non è un film facile e di primo approccio per tutti).
Svolgimento: vincitore del Leone d’Oro a Venezia , è un quadro stupendo di trasposizione di cultura iconografica ( Hopper su tutti ) in sede filmica. Pittorico fin dall’inizio e di una qualità struggente, si mette in sintonia con la cultura contemporanea piu’ elegante. Samuel Beckett in testa e sopra tutti,ma anche Ionesco ( o il nostro Pirandello dei personaggi in cerca d’autore….) e tutto l’ordine interpretativo conosciuto come “teatro dell’assurdo”.
Chi nella sua vita ha frequentato questi lidi si divertirà moltissimo e ne godrà moltissimo, gli altri si annoieranno.
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Premessa fondamentale: non vorrei convincere nessuno a vedere questo film (perché non è un film facile e di primo approccio per tutti).
Svolgimento: vincitore del Leone d’Oro a Venezia , è un quadro stupendo di trasposizione di cultura iconografica ( Hopper su tutti ) in sede filmica. Pittorico fin dall’inizio e di una qualità struggente, si mette in sintonia con la cultura contemporanea piu’ elegante. Samuel Beckett in testa e sopra tutti,ma anche Ionesco ( o il nostro Pirandello dei personaggi in cerca d’autore….) e tutto l’ordine interpretativo conosciuto come “teatro dell’assurdo”.
Chi nella sua vita ha frequentato questi lidi si divertirà moltissimo e ne godrà moltissimo, gli altri si annoieranno.
E’ stupendo fin dal primo bozzetto (è tutta una serie di bozzetti -esilaranti) con la signora con le borse della spesa (dipinta come in un quadro norvegese, come un personaggio di Munch) che sulla porta attende il suo compagno – ritratto in una maschera di una bellezza e di una cultura struggente- che guarda alcuni uccelli impagliati in un museo.
O la morte divertentissima, fin nelle premesse- nella costruzione- del signore che fatica a stappare il vino mentre la moglie canticchia e sbriga i piatti in cucina,
o le immagini veramente maestose della Storia a cavallo che irrompe in uno sconsolato bar di periferia.
Confessione: l’ho adorato, e l’adoro ,ma vi invito a non andar a vederlo se non avete frequentato Edvard Munch o Samuel Beckett, vi annoiereste.
So che dirlo ha un suono strano, ma è cosi’.
Gianni Buganza
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zarar
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domenica 22 febbraio 2015
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beckettiano
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Il film di Andersson, ultimo della sua Trilogia sull’ “essere un essere umano”, si segnala innanzitutto per la sua atipicità: non racconto filmico, ma operazione fortemente intellettualistica di impossibilità di tale racconto, come fu, ad es., – nel territorio del romanzo - la famosa Trilogia di S. Beckett. Assistiamo al succedersi di scene – irrelate o debolmente collegate - che ricordano piuttosto istallazioni di video-art, ciascuna delle quali presenta un momento simbolico della desolata visione dell’umano del nostro regista, che si presenta nuda e dissociata, senza una possibilità di sintesi. Sono piccoli episodi di banalità, dolore, crudeltà, strazio, indifferenza, incomunicabilità, impastati di assurdo, comicità che raramente fa ridere, desolazione, o di quella che il Molloy beckettiano chiamerebbe “la tranquillità della decomposizione”.
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Il film di Andersson, ultimo della sua Trilogia sull’ “essere un essere umano”, si segnala innanzitutto per la sua atipicità: non racconto filmico, ma operazione fortemente intellettualistica di impossibilità di tale racconto, come fu, ad es., – nel territorio del romanzo - la famosa Trilogia di S. Beckett. Assistiamo al succedersi di scene – irrelate o debolmente collegate - che ricordano piuttosto istallazioni di video-art, ciascuna delle quali presenta un momento simbolico della desolata visione dell’umano del nostro regista, che si presenta nuda e dissociata, senza una possibilità di sintesi. Sono piccoli episodi di banalità, dolore, crudeltà, strazio, indifferenza, incomunicabilità, impastati di assurdo, comicità che raramente fa ridere, desolazione, o di quella che il Molloy beckettiano chiamerebbe “la tranquillità della decomposizione”. Personaggi di dolente o deformata espressività, alla Otto Dix, o automi che sembrano involucri del nulla, si muovono lenti come mimi davanti ad una telecamera fissa, in un’atmosfera asettica, uniformemente nitida e giallina, in ambienti che hanno la nudità di un palcoscenico deserto, articolano parole ostentatamente ‘recitate’, che non trovano mai veramente un interlocutore, creano tensioni che si dissolvono nel nulla con un semplice passaggio di scena. Così i due tristi venditori di denti di vampiro e maschere per il carnevale, la baldanzosa ballerina di flamenco respinta dall’oggetto del suo desiderio, i personaggi più diversi che non stanno bene per niente accomunati dal tormentone: “Sono contento/a di sentire che state bene”, la ragazzina goffa con la sua penosa poesiola alla recita scolastica, Carlo XII che irrompe truculento a cavallo in un bar (moderno) prima della campagna contro i Russi, e che vi ritorna sconfitto e mezzo morto trovando il gabinetto occupato, e via così. Un teatro dell’assurdo, che può mescolare reale e immaginario, in cui una canzoncina popolare può materializzarsi come per magia o la desolazione può moltiplicarsi in un gioco di specchi : ad un episodio di abbandono in primo piano fa da contrappunto un episodio di abbandono sullo sfondo, al di là di una vetrata di ristorante. Solo l'amore giovane senza parole sembra salvarsi con la forza della sua fisicità. Nonostante una notevole coerenza espressiva e stilistica, l’operazione di Andersson non riesce a coinvolgerti emotivamente sino in fondo: dopo un ottimo inizio, il film alterna a episodi di grande forza espressiva altri più deboli e ripetitivi, presenta forzature e genera alla lunga una certa stanchezza.
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davidino.k.b.
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domenica 22 febbraio 2015
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siamo soli senza speranze
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film dal linguaggio poco parlato che comunque arriva allo spettatore, crudo sul finale, piatto nelle immagini che danno il senso della solitudine umana.
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gianbond
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domenica 22 febbraio 2015
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vaccata in salsa nordica
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Un film esilarante come una mensola dell'Ikea questo a cominciare dal titolo. Sto piccione di sicuro si suiciderà dopo aver meditato sull'esistenza, probabilmente in un tinello di quelli visti, spazianti dal beige chiaro al beige scuro passando per tutte le 50 sfumature di grigio. Ancora una volta una mattonata senza senso riceve premi e quattro stelle sulle più disparate recensioni da qualche perverso sedicente critico che si diverte con poco e se la tira da colui che invece ha capito tutto. Un susseguirsi di amene e dissennate storielline idiote non fa ridere nessuno in platea dove purtroppo ci sono anch'io a guardar l'ora in continuazione. Per chi se lo fosse ancora per fortuna perso anticipo il contenuto dell'ultimo episodio così che gli serva da avvertimento.
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Un film esilarante come una mensola dell'Ikea questo a cominciare dal titolo. Sto piccione di sicuro si suiciderà dopo aver meditato sull'esistenza, probabilmente in un tinello di quelli visti, spazianti dal beige chiaro al beige scuro passando per tutte le 50 sfumature di grigio. Ancora una volta una mattonata senza senso riceve premi e quattro stelle sulle più disparate recensioni da qualche perverso sedicente critico che si diverte con poco e se la tira da colui che invece ha capito tutto. Un susseguirsi di amene e dissennate storielline idiote non fa ridere nessuno in platea dove purtroppo ci sono anch'io a guardar l'ora in continuazione. Per chi se lo fosse ancora per fortuna perso anticipo il contenuto dell'ultimo episodio così che gli serva da avvertimento. Un gruppo di persone allegre come dei malati terminali aspetta l'autobus davanti alla bottega di un ciclista. Questi esce e ricorda a tutti che è già giovedì. Uno dei presenti si stupisce che non sia ancora mercoledì, ma per fortuna arriva un ciclista a gonfiarsi la gomma e ricorda a tutti che è già giovedì. Fine dell'episodio e fine del film, il resto è ancora più deprimente e idiota. Avvisati.
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carloseb
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domenica 22 febbraio 2015
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piccione extraterrestre
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noi siamo troppo parte delle nostre azioni per capirne il senso, solo un piccione o un pesce o un extraterrestre può capire a fondo il senso della nostra esistenza.
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carloseb
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domenica 22 febbraio 2015
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piccione extraterrestre
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noi non possiamo capire, siamo troppo dentro ai fatti, solo un piccione, un pesce o un extraterrestre può capire bene il senso di quello che facciamo, il senso della nostra esistenza.
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carloseb
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domenica 22 febbraio 2015
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piccione extraterrestre
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noi non siamo in grado di capire, siamo troppo dentro le nostre azioni, solo un piccione o un pesce o un extraterrestre può capire quello che siamo, quello che facciamo, il senso della nostra vita.
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piccione extraterrestre
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noi non siamo in grado di capire, siamo troppo dentro le nostre azioni, solo un piccione o un pesce o un extraterrestre può capire quello che siamo, quello che facciamo, il senso della nostra vita.
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