vincenzo ambriola
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sabato 21 febbraio 2015
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il dubbio
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Dopo aver assistito alla proiezione di un capolavoro della cinematografia sovietica, il ragionier Fantozzi esprime il proprio dissenso con poche ma vibranti parole. Viene bruscamente tacciato di solenne ignoranza e coperto di pesanti insulti da parte di chi, invece, del film ne aveva colto il vero senso. Non volendo incorrere nella stessa sorte, è opportuno meditare attentamente prima di giudicare questo capolavoro, recentemente premiato dall'insigne giuria del Festival di Venezia. Assistiamo a una sequenza, molto variegata, di quadri che mostrano spezzoni di vita scandinava nei quali personaggi assolutamente normali ripetono frasi solo apparentemente banali e senza senso. Colpisce la loro postura, fissa, quasi cadaverica, e il loro sguardo, sorprendentemente catatonico e inespressivo.
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Dopo aver assistito alla proiezione di un capolavoro della cinematografia sovietica, il ragionier Fantozzi esprime il proprio dissenso con poche ma vibranti parole. Viene bruscamente tacciato di solenne ignoranza e coperto di pesanti insulti da parte di chi, invece, del film ne aveva colto il vero senso. Non volendo incorrere nella stessa sorte, è opportuno meditare attentamente prima di giudicare questo capolavoro, recentemente premiato dall'insigne giuria del Festival di Venezia. Assistiamo a una sequenza, molto variegata, di quadri che mostrano spezzoni di vita scandinava nei quali personaggi assolutamente normali ripetono frasi solo apparentemente banali e senza senso. Colpisce la loro postura, fissa, quasi cadaverica, e il loro sguardo, sorprendentemente catatonico e inespressivo. Alcuni personaggi compaiono più volte, dando spessore a una trama che si intuisce essere meramente concettuale, esilmente intrecciata sul tema della pesantezza dell'esistenza e della sua parte terminale. La colonna sonora del silenzio ossimoricamente travolge per la ricchezza e la potenza espressiva, capace di richiamare ed esaltare i temi della solitudine e della sofferenza. Un momento, un dubbio amletico attraversa subitaneo la mente! E se avesse avuto ragione il ragionier Fantozzi?
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flyanto
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venerdì 20 febbraio 2015
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un viaggio attraverso la reale natura umana
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Film in cui si narra di due agenti di commercio di un campionario di oggetti formato da trucchi ed altri aggeggi ideati appositamente per celebrare varie festività e ricorrenze, i quali girano per la città proponendo la propria merce e venendo così a contatto con una molteplicità di individui e realtà.
Questa pellicola del regista svedese Roy Andersson è girata seguendo lo stesso metodo di molta filmografia dei paesi nordici, e cioè ricorrendo innanzitutto all'impiego della telecamera fissa e poi pervadendo tutta l'opera di uno spirito grottesco e surreale.Tutti i personaggi sembrano appartenere ad un'epoca ben distante dalla nostra contemporanea, risalente forse a circa 60/50 o 40 anni fa, ma comunque come se vi fosse una sospensione del tempo, unito poi in questo preciso contesto a svariati spostamenti temporali veri e propri risalenti addirittura o all'epoca napoleonica o a quella del secondo conflitto mondiale, per citarne solo due, e comunque i personaggi si muovono per la città e per i vari locali pubblici mettendo in evidenza gli aspetti dell'esistenza umana e di certe situazioni con le con seguenti reazioni che ne scaturiscono o di indifferenza, o di malvagità o di altruismo (assai meno frequente, però).
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Film in cui si narra di due agenti di commercio di un campionario di oggetti formato da trucchi ed altri aggeggi ideati appositamente per celebrare varie festività e ricorrenze, i quali girano per la città proponendo la propria merce e venendo così a contatto con una molteplicità di individui e realtà.
Questa pellicola del regista svedese Roy Andersson è girata seguendo lo stesso metodo di molta filmografia dei paesi nordici, e cioè ricorrendo innanzitutto all'impiego della telecamera fissa e poi pervadendo tutta l'opera di uno spirito grottesco e surreale.Tutti i personaggi sembrano appartenere ad un'epoca ben distante dalla nostra contemporanea, risalente forse a circa 60/50 o 40 anni fa, ma comunque come se vi fosse una sospensione del tempo, unito poi in questo preciso contesto a svariati spostamenti temporali veri e propri risalenti addirittura o all'epoca napoleonica o a quella del secondo conflitto mondiale, per citarne solo due, e comunque i personaggi si muovono per la città e per i vari locali pubblici mettendo in evidenza gli aspetti dell'esistenza umana e di certe situazioni con le con seguenti reazioni che ne scaturiscono o di indifferenza, o di malvagità o di altruismo (assai meno frequente, però). Quello che si evince da tutto ciò, in ogni caso, è la visione cupa e negativa che Andersson ha del mondo e soprattutto della natura umana in generale che egli reputa per lo più egoista e malvagia.
Il film ha vinto il Leone d'Oro all'ultimo Festival del cinema di Venezia ma sinceramente, a mio modesto parere, a me sembra assai sopravalutato e provvisto di un eccessivo andamento lento che, se da una parte ben si adatta alla fredda ironia tipica di molte opere cinematografiche nordiche, dall'altra ne appesantisce la resa, rendendola in conclusione per lo più noiosa.
Assolutamente non meritevole di tutte le lodi rivoltegli e soprattutto per gli appassionati di questo particolare genere.
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peer gynt
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venerdì 5 settembre 2014
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un presepio meccanico di grottesche assurdità
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Non si può negare al cinema di Roy Andersson un suo particolare e personalissimo stile: il film viene costruito per giustapposizione di quadri fissi, dentro i quali colore e scenografia sono studiatissimi mentre i personaggi sono rigidi manichini che si muovono come zombie e ripetono, con una stupidità che indossano come una maschera, frasi assurde o grottescamente irrilevanti. La sintassi cinematografica è ridotta al grado zero, la lentezza delle scene è studiata e voluta, per farle assomigliare più a quadri viventi che ad un film.
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Non si può negare al cinema di Roy Andersson un suo particolare e personalissimo stile: il film viene costruito per giustapposizione di quadri fissi, dentro i quali colore e scenografia sono studiatissimi mentre i personaggi sono rigidi manichini che si muovono come zombie e ripetono, con una stupidità che indossano come una maschera, frasi assurde o grottescamente irrilevanti. La sintassi cinematografica è ridotta al grado zero, la lentezza delle scene è studiata e voluta, per farle assomigliare più a quadri viventi che ad un film. L'intento è chiaramente quello di delineare un ritratto dell'homo insapiens, delle stupide atrocità quotidiane che gli uomini sono in grado di mettere in scena con assoluta incoscienza. Si ride ogni tanto, nei film di Andersson, ma si ride amaro, perché questa pittura animata dell'assurdo mette in evidenza un'umanità cinica e misera, che mostra di non fare una piega di fronte alle più atroci torture o alla morte. Dai figli che si affannano a strappare la borsetta piena di ori e denaro alla madre morente, alla dottoressa che si dilunga in una telefonata inutile mentre nel suo laboratorio una scimmia legata a fili elettrici subisce varie scariche di corrente, agli schiavi introdotti in un enorme tubo di metallo che viene arroventato e fatto muovere come un girarrosto da un bel fuocherello, tutti i personaggi, una volta recitata la loro parte, stupida, cinica o grottesca, sembrano infine mettersi in posa in attesa che il regista (e lo spettatore con lui) li possa immortalare in un gesto che pare costituire il loro capolavoro, la loro ragione di vita: gesto che continueranno a fare per sempre, iterandolo all'infinito, come in un enorme presepio meccanico.
Ma dal quale (e non poteva essere diversamente in un connazionale di Ingmar Bergman) non proviene alcuna traccia di un qualunque dio.
Impossibile esprimere un voto, ci sembrerebbe di essere diventati uno dei personaggi del film alle prese con le loro azioni assurde e prive di senso (e non vorremmo essere inseriti nel prossimo film di Andersson mentre stiamo votando un film).
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