kronos
|
venerdì 9 marzo 2012
|
impegnativo ma pervasivo
|
|
|
|
Non è un film facile "Cesare deve morire", specialmente per chi non conosce la tragedia di Shakespeare e abbia difficoltà a capire i dialetti meridionali.
Già, i famigerati sottotitoli che per becera ipocrisia non vengono infilati laddove sarebbero necessari, per timor d'essere tacciati di "razzismo".
Ma al di là delle difficoltà linguistiche e dall'impegno richiesto allo spettatore, l'ultimo film dei Taviani non ha usurpato un prestigioso riconoscimento a Berlino: è un'opera pervasiva che non ti abbandona facilmente, sia per la natura del progetto che costringe a ripensare più volte quanto s'è visto, sia per il notevole impianto visivo, affascinante e funzionale.
[+]
Non è un film facile "Cesare deve morire", specialmente per chi non conosce la tragedia di Shakespeare e abbia difficoltà a capire i dialetti meridionali.
Già, i famigerati sottotitoli che per becera ipocrisia non vengono infilati laddove sarebbero necessari, per timor d'essere tacciati di "razzismo".
Ma al di là delle difficoltà linguistiche e dall'impegno richiesto allo spettatore, l'ultimo film dei Taviani non ha usurpato un prestigioso riconoscimento a Berlino: è un'opera pervasiva che non ti abbandona facilmente, sia per la natura del progetto che costringe a ripensare più volte quanto s'è visto, sia per il notevole impianto visivo, affascinante e funzionale.
Man mano che le prove della tragedia shakespeariana procedono negli spazi del carcere, aumenta il coinvolgimento emotivo dei detenuti (e noi con loro) che scoprono inquietanti punti di contatto col loro passato criminale.
Questo feedback tra testo teatrale, liberamente adattato nei dialetti d'origine, e vita reale produce un senso di straniamento che è difficile descrivere a parole.
Così come l'affermazione su cui il film si conclude: "Ora che ho scoperto l'arte questa cella è diventata una prigione...".
VOTO: tre stelline e mezzo.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a kronos »
[ - ] lascia un commento a kronos »
|
|
d'accordo? |
|
pepito1948
|
giovedì 8 marzo 2012
|
carcere ed arte
|
|
|
|
Nel 1989 Nanni Loy realizzò “Scugnizzi”, film incentrato sull’allestimento di un musical presso il San Carlo di Napoli con la partecipazione di ragazzi del riformatorio di Nisida. Le prove e le scene dello spettacolo si intrecciavano con le storie personali dei protagonisti (molti attori erano presi dalla strada) mediante l’alternarsi di piani temporali diversi, fino ad una conclusione tragica e speranzosa insieme. Il film non ebbe successo, sembra perché la commistione tra delinquenza (minorile) e arte non era ancora nelle corde del pubblico e della critica di allora. Ciò in cui fallì Loy è invece riuscito ai fratelli Taviani, che, genialmente, hanno riproposto lo stesso schema ma con varianti fondamentali: un gruppo di detenuti condannati a lunghe pene accetta di girare un classico di Shakespeare come il “Giulio Cesare” nei locali di Rebibbia.
[+]
Nel 1989 Nanni Loy realizzò “Scugnizzi”, film incentrato sull’allestimento di un musical presso il San Carlo di Napoli con la partecipazione di ragazzi del riformatorio di Nisida. Le prove e le scene dello spettacolo si intrecciavano con le storie personali dei protagonisti (molti attori erano presi dalla strada) mediante l’alternarsi di piani temporali diversi, fino ad una conclusione tragica e speranzosa insieme. Il film non ebbe successo, sembra perché la commistione tra delinquenza (minorile) e arte non era ancora nelle corde del pubblico e della critica di allora. Ciò in cui fallì Loy è invece riuscito ai fratelli Taviani, che, genialmente, hanno riproposto lo stesso schema ma con varianti fondamentali: un gruppo di detenuti condannati a lunghe pene accetta di girare un classico di Shakespeare come il “Giulio Cesare” nei locali di Rebibbia. Non ci sono attori professionisti, ciascuno interpreta se stesso e si esprime nel proprio dialetto per marcare la propria individualità, la location non fuoriesce dai muri del carcere, l’opera scelta è una tragedia famosa che in qualche modo consente un’identificazione catartica degli interpreti; infatti potere, tradimento, sangue, delitto, onore, libertà, morte sono i temi forti che hanno contrassegnato le vite degli attori e che quindi consentono di creare un arco voltaico tra spettacolo teatrale e sfera evocativo-emozionale di ciascun interprete. A tutto vantaggio della ottimizzazione della recitazione, ma anche per dare ai reclusi un’occasione di riflessione sui propri errori e di ricreazione di un’identità inquinata dalla colpa. La vicenda, realizzata come una docu-fiction, si snoda sostanzialmente in tempo continuo; le divagazioni personali (interazioni e dialoghi intimi tra attori) sono appena accennate e rimangono nell’alveo del racconto in diretta, a differenza dei flash-back del film di Loy; i piani narrativi –prove, recita, momenti privati- si alternano e quasi si confondono armonicamente, con conseguente sfumatura dei confini tra finzione e realtà, fino a sfociare nell’apoteosi della rappresentazione finale che unisce idealmente recitanti e pubblico plaudente. Fine dello spettacolo, fine della temporanea fuga dalla dura realtà quotidiana; i detenuti, spogliati degli abiti di scena, rientrano nelle rispettive celle, un po’ mesti, un po’ forse arricchiti da un’esperienza che ha lasciato il segno, tra il rumore freddo ma ormai familiare delle serrature azionate dai secondini. I Taviani, genialmente, dopo aver introdotto il momento clou dello spettacolo –l’uccisione del tiranno- con colori cupi ma di forte contrasto, passano improvvisamente al bianco e nero, dando un segnale visivo di freddo grigiore che connota, fisicamente e psicologicamente, il luogo- simbolo della non libertà e orientando le sensazioni, ancora incerte, dello spettatore. Che, attraverso lo sviluppo del dramma rappresentato e i riferimenti ai drammi, questi veri e reali, degli attori-detenuti, prenderà coscienza di quanto sia potente, tra gli altri, l’effetto dell’arte di sublimazione ed elevazione dell’animo umano, anche di quello corrotto dalla colpa. “Da quando ho scoperto l’arte, questa cella è diventata una prigione”, elucubra “Cassio”. E se l’arte è massima sublimazione, il carcere per contrasto è uno degli aspetti più orridi della vita, come sembrano ricordarci le inquadrature esterne finali di Rebibbia, che richiamano il simbolico mostro marino dell’epilogo della Dolce vita.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a pepito1948 »
[ - ] lascia un commento a pepito1948 »
|
|
d'accordo? |
|
goldy
|
martedì 6 marzo 2012
|
strepitoso
|
|
|
|
Il primo ad essere felice di questa versione del Giulio Cesare credo dobba essere proprio Shakespeare. Lui che scriveva per un pubblico popolare che si recava a teatro con lo stesso spirito con cui oggi si va allo stadio, credo sarebbe proprio felice di sentire come la raffinatezza dei suoi versi non sia riservata al privilegio di pochi ma diventino momenti di preziosa riflessione per tutti. La verità che le sue parole assumono per la condizione di chi le pronuncia e per la peculiarità dialettale di come vengono pronunciate è impressionante.
[+]
Il primo ad essere felice di questa versione del Giulio Cesare credo dobba essere proprio Shakespeare. Lui che scriveva per un pubblico popolare che si recava a teatro con lo stesso spirito con cui oggi si va allo stadio, credo sarebbe proprio felice di sentire come la raffinatezza dei suoi versi non sia riservata al privilegio di pochi ma diventino momenti di preziosa riflessione per tutti. La verità che le sue parole assumono per la condizione di chi le pronuncia e per la peculiarità dialettale di come vengono pronunciate è impressionante.e l'impatto di credibilità che la vicenda assume sorprendente.
[-]
[+] una delle migliori rappresentazioni di shakespeare
(di massimodec)
[ - ] una delle migliori rappresentazioni di shakespeare
|
|
[+] lascia un commento a goldy »
[ - ] lascia un commento a goldy »
|
|
d'accordo? |
|
cristiana narducci
|
lunedì 5 marzo 2012
|
piu' giovani dei giovani!
|
|
|
|
Gli ottantenni fratelli Taviani dimostrano che si può essere più giovani dei giovani, se si hanno idee da proporre e se si sa come proporle! Questa pellicola non è solo arte, ma svolge anche una funzione sociale fondamentale: per chi è in carcere, scavando dentro le profondità di sé stessi in un processo di evoluzione, e per gli spettatori, trasmettendo il messaggio che persino l'individuo più distruttivo ed apparentemente reietto è pur sempre un essere umano degno di un'ulteriore possibilità. I fratelli Taviani in questo senso ci fanno intraprendere un processo educativo, dimostrazione che non esiste soltanto l'intrattenimento ma ci possono essere finalità ben più alte.
|
|
[+] lascia un commento a cristiana narducci »
[ - ] lascia un commento a cristiana narducci »
|
|
d'accordo? |
|
renato volpone
|
domenica 4 marzo 2012
|
cesare deve morire in carcere
|
|
|
|
Splendido film dei fratelli taviani che recuperano il filone "teatro nel carcere". L'originalità, però, sta nel testo scelto e nella bravura degli attori, carcerati, che interpretano il "Giulio Cesare" di Shakespeare e lo fanno esprimendosi nel loro dialetto di provenienza. La musica e il gioco del bianco e nero alternato al colore compongono con le interpretazioni un quadro armonico fortemente poetico. Film assolutamente da non perdere. Applausi in sala
|
|
[+] lascia un commento a renato volpone »
[ - ] lascia un commento a renato volpone »
|
|
d'accordo? |
|
brian77
|
domenica 4 marzo 2012
|
dissento
|
|
|
|
Ma perché i critici devono sempre sproloquiare su questi film? Forse perché permettono di fare tanti bei discorsi che sembrano colti? A differenza dei critici io pago il biglietto, quindi pretendo un film vero, non un prodotto da festival, luogo artificioso dove si uccide il cinema per far vivere di rendita un ammasso di "organizzatori culturali"... E siamo sicuri che tra chi lo vede proprio nessuno ceda al ricatto di pensare che quelli sono carcerati? e magari dire: ebbe', sono anche bravi - cosa decisamente umiliante per tutti, in qualche modo anche un po' razzista.
[+] brian77,
(di marezia)
[ - ] brian77,
[+] concordo con brian
(di luana)
[ - ] concordo con brian
|
|
[+] lascia un commento a brian77 »
[ - ] lascia un commento a brian77 »
|
|
d'accordo? |
|
antigony
|
martedì 21 febbraio 2012
|
metateatro di vita
|
|
|
|
Shakespeare recitato dai detenuti del "Fine pena mai" di Rabibbia porta via, dietro di sé e con sé, l'ovazione berlinese nonché il prestigioso Orso D'Oro. Ed è anche questo il nostro cinema: forse poco calligrafico, se si vuole di nicchia, ma (neo)realistico fino all'inverosimile, dal tocco amaro ma ironico, capace di mirare lo sguardo su chi ha lo sguardo fermo dietro le inferriate delle carceri. E' come fosse una palingenesi, la loro palingenesi. Come a ribadire shakesperianamente che 'Tutto il mondo è palcoscenico' anche lì, tra i dimenticati, perché anche quello è mondo: un reale metateatro di vita di cui spesso si perde memoria.
Da vedere, assolutamente.
|
|
[+] lascia un commento a antigony »
[ - ] lascia un commento a antigony »
|
|
d'accordo? |
|
giulio3febbraio
|
giovedì 26 gennaio 2012
|
oltre bravi attori tornino bravi cittadini.
|
|
|
|
La prima volta che entro in un carcere da visitatore e spettatore e vedere recitare i detenuti della sezione di massima sicurezza 41 bis del Carcere di Rebibbia a Roma,con la messa in scena del Giulio Cesare di Shakespeare
nel nuovo film dei fratelli Taviani “Dalle sbarre al palcoscenico”"Cesare deve morire",mi ha veramente colpito.
Prima di tutto per la bravura degli attori ,che sono stati preparati in modo eccellente. Un plauso ai fratelli Taviani che ancora una volta trattano temi cosi delicati con profonda serietà e alle persone delle Istituzioni carcerarie
che con la loro sensibilità hanno permesso tutto ciò.
Sono stati momenti intensi e coinvolgenti.
Dico loro che oltre bravi come attori tornino ad essere bravi come cittadini.
[+]
La prima volta che entro in un carcere da visitatore e spettatore e vedere recitare i detenuti della sezione di massima sicurezza 41 bis del Carcere di Rebibbia a Roma,con la messa in scena del Giulio Cesare di Shakespeare
nel nuovo film dei fratelli Taviani “Dalle sbarre al palcoscenico”"Cesare deve morire",mi ha veramente colpito.
Prima di tutto per la bravura degli attori ,che sono stati preparati in modo eccellente. Un plauso ai fratelli Taviani che ancora una volta trattano temi cosi delicati con profonda serietà e alle persone delle Istituzioni carcerarie
che con la loro sensibilità hanno permesso tutto ciò.
Sono stati momenti intensi e coinvolgenti.
Dico loro che oltre bravi come attori tornino ad essere bravi come cittadini.
Corradetti Rossano
[-]
|
|
[+] lascia un commento a giulio3febbraio »
[ - ] lascia un commento a giulio3febbraio »
|
|
d'accordo? |
|
|