annamarialaneri35
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sabato 23 giugno 2012
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la mela e la donna. l'uomo dov'è?
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Un commissario, i suoi poliziotti, un procuratore e un medico accompagnano 2 sospettati alla ricerca del cadavere nell’immensità costretta dell’Anatolia. Trovano il cadavere e, dopo il riconoscimento della moglie, fanno eseguire l’autopsia. Questa è la trama oggettiva del film, non si conosce neanche il movente dell’assassinio. Solo gli sguardi e i dialoghi ne esprimono il senso, creando coordinate che uniscono i personaggi in un mondo privo di vita, dove la morte dell’uomo è continuamente evidenziata dall’unico argomento dei dialoghi: i figli. Il commissario risulta essere l’unico personaggio ancora in vita: è il solo a trasmettere emozioni e sentimenti, è lui l’unico che dice di avere un figlio,seppure malato e bisognoso di cure.
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Un commissario, i suoi poliziotti, un procuratore e un medico accompagnano 2 sospettati alla ricerca del cadavere nell’immensità costretta dell’Anatolia. Trovano il cadavere e, dopo il riconoscimento della moglie, fanno eseguire l’autopsia. Questa è la trama oggettiva del film, non si conosce neanche il movente dell’assassinio. Solo gli sguardi e i dialoghi ne esprimono il senso, creando coordinate che uniscono i personaggi in un mondo privo di vita, dove la morte dell’uomo è continuamente evidenziata dall’unico argomento dei dialoghi: i figli. Il commissario risulta essere l’unico personaggio ancora in vita: è il solo a trasmettere emozioni e sentimenti, è lui l’unico che dice di avere un figlio,seppure malato e bisognoso di cure. Le soste continue per la ricerca del cadavere, i discorsi ripetitivi con scarno linguaggio e i primi piani su sguardi inespressivi dove non si riconoscono,anche per giochi registici, i colpevoli e gli innocenti, allungano volutamente i tempi del film e dilatano le colpe di ognuno che volteggiano negli animi come la natura di paesaggi identici dove il vento, quasi come da legge del contrappasso, scuote animi che amavano. A fare luce sulla vita e sulla morte di ognuno di loro, è proprio una figlia, quella del sindaco del paese dove la ciurma è costretta a fermarsi di notte; è lei che con discrezione porta una lampada e thè accendendo una luce di vita, di ricordi,in ogni uomo, sarà qui che il sospettato rivelerà la sua paternità al commissario, è lui il padre del figlio dell’ucciso. Anche gli altri uomini coi baffi e la barba di tre giorni, il procuratore ed il medico, sono morti nell’anima perché hanno ucciso. Il procuratore si rivela al medico raccontando di una donna che aveva predetto il giorno della sua fine dopo il parto perché tradita dal marito, ed il medico capisce che ne era la moglie, ed il medico colora la sua vita lontano dal suo passato di padre e marito fallito: l’autopsia, descritta chirurgicamente! rivela un indizio, terreno nei bronchi, che il medico cancella come una spugna dalla sua memoria e non fa trascrivere. La prova della morte cosciente dei due personaggi è data dal fatto che entrambi descrivono il cadavere coi loro tratti somatici, ed il procuratore, il più sofferente di tutti, ha delle sorte di piaghe sul volto, quasi un inizio di decomposizione. Il finale è quasi una foto conservata dal medico: un gruppo di bambini che gioca, divisa da un vetro dove dall’altra parte c’è il medico con sangue schizzato dall’autopsia sul volto, immagine che stravolge il binomio innocente/colpevole. In qs universo maschile, essenziale quanto reale,ne esce un’immagine della donna fiera,intera, a tutto tondo, determinata nelle proprie scelte e nelle proprie azioni, una donna capace di vivere oltre la morte. Bello, si, ma troppo di nicchia sia per lunghezza che per concetti
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francesca meneghetti
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mercoledì 20 giugno 2012
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un tempo lento per affacciarsi sui nostri abissi
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Un vetro appannato lascia intravedere un interno. Tre uomini sono seduti in un locale chiuso e mangiano in modo cordiale. La voce è lontana. Uno dei tre esce dall’officina. Fuori sta arrivando un temporale. Una locomotiva arriva da destra e copre la scena. I titoli (solitamente di coda) scorrono in silenzio.
Il primo tempo è totalmente notturno (anche se la divisione consueta dei film in primo e secondo tempo non corrisponde all’articolazione logica e strutturale in tre atti, ciascuno incentrato su un personaggio maschile e sulla sua triste storia).
In un paesaggio montuoso brullo, verso il tramonto (straordinaria in tutto il film la fotografia), avanza in modo lento e tortuoso un serpente, o, a meglio dire, un bruco di fuoco: è un motivo suggestivo e potente che si presenterà altre volte nel film.
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Un vetro appannato lascia intravedere un interno. Tre uomini sono seduti in un locale chiuso e mangiano in modo cordiale. La voce è lontana. Uno dei tre esce dall’officina. Fuori sta arrivando un temporale. Una locomotiva arriva da destra e copre la scena. I titoli (solitamente di coda) scorrono in silenzio.
Il primo tempo è totalmente notturno (anche se la divisione consueta dei film in primo e secondo tempo non corrisponde all’articolazione logica e strutturale in tre atti, ciascuno incentrato su un personaggio maschile e sulla sua triste storia).
In un paesaggio montuoso brullo, verso il tramonto (straordinaria in tutto il film la fotografia), avanza in modo lento e tortuoso un serpente, o, a meglio dire, un bruco di fuoco: è un motivo suggestivo e potente che si presenterà altre volte nel film. Non sono di alieni (anche se torna in mente qualche scena di E.T) gli occhi di questo bruco: ma fari di tre auto, destinate a girare tutta la notte con il loro carico umano, tutto maschile, alla ricerca del corpo di un reato. Che, nella fattispecie, è proprio il corpo di un uomo.
Il tempo passa, lentamente, mente prosegue questa ricerca notturna, in cui si innestano manifestazioni naturali violente e impulsive (un vento inquietante, che ricorda quello del Tè nel deserto), fulmini, pioggia.
La trama del “giallo” procede verso la sua soluzione, pur restando aperta e decisamente troppo sospesa. Ma in un film di 150 minuti non è certo la fabula a fare da impalcatura al film: il vero motivo è quello del tempo.
Secondo la civiltà occidentale the time is money. I ritmi devono essere veloci. L’ansia di fare qualcosa e di “ammazzare il tempo”, come disse Montale, è sovrastante. Il che evita di affacciarsi all’abisso e di pensare alla morte, che sta dietro al tempo. Qui in Anatolia, in un mondo appena lambito dal progresso – dove le autopsie non si fanno con sistemi tecnologici, ma con forbicione e seghe tradizionali - i minuti scorrono lenti. Gli uomini possono così riflettere su se stessi, affacciarsi a quell’abisso. “Passeranno gli anni e nulla resterà di me”, dice un personaggio. Ma riflettere su si sé implica anche il riflettere sulle proprie relazioni con gli altri: il che significa, per dei protagonisti tutti maschili, che spesso cicaleggiano e cazzeggiano al maschile, rapportarsi alla donna. Creatura che rimane misteriosa e affascinante. Vendicativa come la moglie del procuratore o pietosa come la figlia del sindaco. Ma lontana e imperscrutabile. In tal modo essa concorre a rendere indecifrabile e casuale il senso della vita, come gli oggetti (la mela, il barattolo, il pezzo di pelliccia) che cadono per effetto della gravità o rotolano nel vento.
Nel finale il regista si disperde un poco: la scena dell'autopsia risulta, in tal caso, di una lentezza non finalizzata a quel botto finale che si aspetta lo spettatore.
Bravi i protagonisti, scrutati fino in fondo dai primi piani del regista. Bello e tenebroso, con tratti di fragilità, Firat Tanis che interpreta Kenam.
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flyanto
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lunedì 18 giugno 2012
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una lunga indagine su un delitto che conduce alla
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Film sulle indagini condotte lungo un'intera notte riguardo un brutale assassinio che condurranno non solo alla scoperta del reale accaduto dei fatti ma anche alla scoperta di personali verità da parte degli investigatori stessi. Insomma, il film è costituito come un lungo percorso alla ricerca del proprio sè più intimo. L'unico appunto "negativo" che si può muovere a questa pellicola è, forse, l'eccessiva lunghezza della trama, resa ancor più tale dal lento succedersi degli eventi strutturati come se avvenissero con la lentezza propria della realtà. Ma questa lentezza, con cui il regista Ceylan gira il film, viene ad essere, appunto, proprio il fascino della sua opera innalzandola a vera poesia e riservandola, purtroppo, ad un pubblico senza dubbio di nicchia.
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Film sulle indagini condotte lungo un'intera notte riguardo un brutale assassinio che condurranno non solo alla scoperta del reale accaduto dei fatti ma anche alla scoperta di personali verità da parte degli investigatori stessi. Insomma, il film è costituito come un lungo percorso alla ricerca del proprio sè più intimo. L'unico appunto "negativo" che si può muovere a questa pellicola è, forse, l'eccessiva lunghezza della trama, resa ancor più tale dal lento succedersi degli eventi strutturati come se avvenissero con la lentezza propria della realtà. Ma questa lentezza, con cui il regista Ceylan gira il film, viene ad essere, appunto, proprio il fascino della sua opera innalzandola a vera poesia e riservandola, purtroppo, ad un pubblico senza dubbio di nicchia. E' la stessa lentezza che si riscontra anche nelle pellicole poetiche dell regista iraniano Kiarostami e gli stessi paesaggi infiniti rurali accomunano di molto entrambi i registi. Molto toccanti le figure nonchè i dialoghi avvenuti tra il medico ed il procuratore che sovrintendono le indagini. Un reale piccolo gioiello.
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renato volpone
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domenica 17 giugno 2012
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alla ricerca di un cadavere
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Le storie si mescolano, si sovrappongono, si contrappongono in questo film che racconta di un commissario, un procuratore, un medico legale e altri personaggi che vanno alla ricerca di un cadavere portando con se gli assassini rei confessi. Ciascuno ha la sua storia da raccontare, i dolori della propria esistenza, e ognuno porta sulle spalle il peso del passato. E il passato si contrappone al presente, si sovrappone, lo invade, e così tra splendidi paesaggi dell'Anatolia scopriamo un mondo rurale ancora radicato e così lontano dal computer portatile posato sullo sgabello per scrivere il verbale. Il film è lentissimo, anche per colpa di un doppiaggio punitivo, e trascinandosi stancamente per due ore e mezza non ci porta a nessuna soluzione, ma solo a supposizioni, deduzioni, noi diventiamo giudici e indagatori.
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Le storie si mescolano, si sovrappongono, si contrappongono in questo film che racconta di un commissario, un procuratore, un medico legale e altri personaggi che vanno alla ricerca di un cadavere portando con se gli assassini rei confessi. Ciascuno ha la sua storia da raccontare, i dolori della propria esistenza, e ognuno porta sulle spalle il peso del passato. E il passato si contrappone al presente, si sovrappone, lo invade, e così tra splendidi paesaggi dell'Anatolia scopriamo un mondo rurale ancora radicato e così lontano dal computer portatile posato sullo sgabello per scrivere il verbale. Il film è lentissimo, anche per colpa di un doppiaggio punitivo, e trascinandosi stancamente per due ore e mezza non ci porta a nessuna soluzione, ma solo a supposizioni, deduzioni, noi diventiamo giudici e indagatori. Tutti sono colpevoli, ma lo sono per la loro infantile innocenza e per questo si assolvono a vicenda. Film nel complesso interessante, ma davvero difficile e faticoso.
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chaoki21
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domenica 17 giugno 2012
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datemi delle forbici
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Se mi dessero delle forbici per lavorare a questo film, lascerei sulla tavola del montatore circa 60 minuti. Le strizzatine d'occhio a Tarkowski e a Kieslowski sono vecchie come il cucco e, soprattutto, il regista vuole dire troppo. Sorrisi, lentezze, voli pindarici non riescono a fare il film, che muore sepolto da una cosa molto semplice e che, denunciare, non è per nulla "far cosa da ignoranti": si chiama NOIA. Quelle che i grandi registi, come quelli citati al principio, non sapevano manco dove stesse di casa. Tenere al cinema le persone per due ore e mezza della loro vita (e aver loro qualcosa da dare ma non saperla porgere) è irrispettoso dell'arte. Tornati a casa l'impressione che rimane è quella di un'occasione sprecata e pochi frammenti visivi.
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Se mi dessero delle forbici per lavorare a questo film, lascerei sulla tavola del montatore circa 60 minuti. Le strizzatine d'occhio a Tarkowski e a Kieslowski sono vecchie come il cucco e, soprattutto, il regista vuole dire troppo. Sorrisi, lentezze, voli pindarici non riescono a fare il film, che muore sepolto da una cosa molto semplice e che, denunciare, non è per nulla "far cosa da ignoranti": si chiama NOIA. Quelle che i grandi registi, come quelli citati al principio, non sapevano manco dove stesse di casa. Tenere al cinema le persone per due ore e mezza della loro vita (e aver loro qualcosa da dare ma non saperla porgere) è irrispettoso dell'arte. Tornati a casa l'impressione che rimane è quella di un'occasione sprecata e pochi frammenti visivi. Bella la fotografia dei campi la notte, il viso della ragazza e quello dell'assassino, una bella battuta sull'Unione Europea e la discussione sullo yogurt. Poco altro ancora. Troppo poco, troppa noia.
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goldy
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venerdì 15 giugno 2012
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mortale
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Ennesimo film che fa vibrare vene e polsi ai sensibilissimi giurati dei festival. Ancora una volta la storia è prestesto per raccontare o comunicare qualcos'altro. E cos'è questo verità nascosta che lo spettatore non avrebbe scoperto da solo con le proprie forze? Per esempio che la Turchia ha zone arretrate come l'Anatloa che le impediscono di entrare nella splendida Europa. Che anche gli assassini hanno un cuore che pulsa o che l'autorevole carica di procuratore non preserva quest'ultimo da un problema comune a molti come quello, molto prosaico, di una prostata melfuzionante. Scorpiamo che i personaggi di un film hanno gli stessi problemi degli soettatori che li stanno a guardare!!
Inutile attendersi un finale perchè il "bello" del film è il classico finale "aperto" che piace moltissimo ai raffinati intelletuali francesi che infatti lo hanno premiato con il Grand Prix a Cannes.
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Ennesimo film che fa vibrare vene e polsi ai sensibilissimi giurati dei festival. Ancora una volta la storia è prestesto per raccontare o comunicare qualcos'altro. E cos'è questo verità nascosta che lo spettatore non avrebbe scoperto da solo con le proprie forze? Per esempio che la Turchia ha zone arretrate come l'Anatloa che le impediscono di entrare nella splendida Europa. Che anche gli assassini hanno un cuore che pulsa o che l'autorevole carica di procuratore non preserva quest'ultimo da un problema comune a molti come quello, molto prosaico, di una prostata melfuzionante. Scorpiamo che i personaggi di un film hanno gli stessi problemi degli soettatori che li stanno a guardare!!
Inutile attendersi un finale perchè il "bello" del film è il classico finale "aperto" che piace moltissimo ai raffinati intelletuali francesi che infatti lo hanno premiato con il Grand Prix a Cannes. Pensavo che con "Il sapore della ciliegia" avessimo già dato.
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[+] la noia e il luogo comune
(di sergio marchetti)
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epidemic
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giovedì 14 giugno 2012
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ronf ronf ronf
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Inspiegabilmente lungo e con un tempo e ritmo decisamente lento. Un mistero anche l'imbarazzante ripetizione di scene che si dilungano nell'ovvio come a cercar di sottolineare una quotidianità che però sembra chiaro non appartenere ai tempi cinematografici. Nonostante il cast sia caratterizzante ed alcuni attimi molto simbolici non si può certo salvare un film che fa letteralmente dormire in sala.
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donni romani
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venerdì 8 giugno 2012
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c'era una volta... ma la vita non è una favola
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Nuri Bilge Ceylan, già autore del bellissimo "Tre scimmie" torna a mettere in scena le più profonde emozioni umane con questa pellicola, Gran Prix della Giuria al Festival di Cannes 2011. E lo fa attraverso un meccanismo a matrioska, perchè ogni scena ne contiene un'altra, ogni dialogo è propedeutico al successivo, ogni rivelazione contiene i germogli per la rivelazione successiva, che a volte arriva anche dopo un'ora dalla prima. La trama apparentemente è quella di un poliziesco e ci presenta un commissario di polizia, un procuratore e un medico legale che con altri agenti scortano un assassino confesso nel luogo dove dice di aver sepolto il cadavere della vittima. Viaggeranno tutta la notte e dopo aver alla fine scoperto il luogo di sepoltura torneranno in città per l'autopsia.
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Nuri Bilge Ceylan, già autore del bellissimo "Tre scimmie" torna a mettere in scena le più profonde emozioni umane con questa pellicola, Gran Prix della Giuria al Festival di Cannes 2011. E lo fa attraverso un meccanismo a matrioska, perchè ogni scena ne contiene un'altra, ogni dialogo è propedeutico al successivo, ogni rivelazione contiene i germogli per la rivelazione successiva, che a volte arriva anche dopo un'ora dalla prima. La trama apparentemente è quella di un poliziesco e ci presenta un commissario di polizia, un procuratore e un medico legale che con altri agenti scortano un assassino confesso nel luogo dove dice di aver sepolto il cadavere della vittima. Viaggeranno tutta la notte e dopo aver alla fine scoperto il luogo di sepoltura torneranno in città per l'autopsia. Ma la parte poliziesca finisce qui, perchè non sapremo mai fino in fondo le ragioni dell'omicidio, nè ci saranno interrogatori (a parte una sola scena, nel buio della notte, in cui il colpevole viene maltrattato dal commissario esasperato) nè indagini. Ci saranno invece tutta una serie di dialoghi fra i tre protagonisti, il dottore, il commissario e i procuratore, che ci racconteranno le loro vite, le loro delusioni, i loro drammi. Sono dialoghi lenti, fra persone stanche (fisicamente per la lunga notte di ricerche ed emotivamente, ognuno per ragioni diverse e lontane, ma sempre presenti) dialoghi che svelano e raccontano, e contemporaneamente spiazzano, noi e i protagonisti stessi. Perchè nel raccontare loro stessi si confrontano col passato, con il presente, e si scoprono fragili, e sconfitti. E nel giudicare l'assassino, apatico, freddo, distante, hanno mille dubbi a livello umano, e sociale. Lo scambio di parole avviene spesso in macchina, o durante le soste, e Ceylan non ha paura ad accostare tematiche alte e profonde ad altre banali e quotidiane, perciò si passa con disinvoltura dalle considerazioni sulla qualità dello yogurt fatto con latte di bufala alle riflessioni sul mistero della vita e della morte, dalle puntigliose misurazioni per stabilire se il cadavere è seppellito in una regione piuttosto che in altra alla considerazione che a volte si va ancora a lavorare ben oltre l'età della pensione solo perchè ciò che si vive in casa è troppo doloroso (come nel caso del commissario che assiste da anni un figlio malato), dalle battute riguardo la somiglianza del procuratore con Clark Gable di cui ha gli stesi baffi (che si accarezza con vanità lontana dal suo ruolo) alla consapevolezza che il suicidio è una estrema forma di punizione per chi resta. La scena finale dell'autopsia, di un corpo violato e sezionato mentre fuori dalla finestra un gruppo di ragazzini gioca a pallone e la vedova del morto si allontana stancamente con il figlioletto sono ancora una volta testimonianza della volontà del regista di mettere in scena la vita in tutte le sue forme, di mettere a nudo i sentimenti degli uomini, di svelarli fragili al di là dei loro ruoli sociali. La semplice eleganza con cui fa tutto ciò lo rende un coreografo dell'esistenza, artefice di una danza imperfetta in cui ognuno sbaglia i passi, ma proprio nel far questo rende magnifica l'intera rappresentazione scenica. E la vita, così imperfetta, e per questo affascinante - al punto da diventare "Once upon a time...", "C'era una volta..." - è una favola lontana e misteriosa che tutto contiene e tutto restituisce.
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[+] cornuti e mazziati
(di goldy)
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donni romani
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domenica 6 maggio 2012
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indagine dell'anima per il regista di "tre scimmie
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Il nuovo fil di Nuri Bilge Ceylan, già autore del bellissimo "Tre scimmie" torna a mettere in scena le più profonde emozioni umane con questa pellicola, Gran Prix della Giuria al Festival di Cannes 2011. E lo fa attraverso un meccanismo a matrioska, perchè ogni scena ne contiene un'altra, ogni dialogo è propedeutico al successivo, ogni rivelazione contiene i germogli per la rivelazione successiva, che a volte arriva anche dopo un'ora dalla prima. La trama apparentemente è quella di un poliziesco e ci presenta un commissario di polizia, un procuratore e un medico legale che con altri agenti scortano un assassino confesso nel luogo dove dice di aver sepolto il cadavere della vittima.
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Il nuovo fil di Nuri Bilge Ceylan, già autore del bellissimo "Tre scimmie" torna a mettere in scena le più profonde emozioni umane con questa pellicola, Gran Prix della Giuria al Festival di Cannes 2011. E lo fa attraverso un meccanismo a matrioska, perchè ogni scena ne contiene un'altra, ogni dialogo è propedeutico al successivo, ogni rivelazione contiene i germogli per la rivelazione successiva, che a volte arriva anche dopo un'ora dalla prima. La trama apparentemente è quella di un poliziesco e ci presenta un commissario di polizia, un procuratore e un medico legale che con altri agenti scortano un assassino confesso nel luogo dove dice di aver sepolto il cadavere della vittima. Viaggeranno tutta la notte e dopo aver alla fine scoperto il luogo di sepoltura torneranno in città per l'autopsia. Ma la parte poliziesca finisce qui, perchè non sapremo mai fino in fondo le ragioni dell'omicidio, nè ci saranno interrogatori (a parte una sola scena, nel buio della notte, in cui il colpevole viene maltrattato dal commissario esasperato) nè indagini. Ci saranno invece tutta una serie di dialoghi fra i tre protagonisti, il dottore, il commissario e i procuratore, che ci racconteranno le loro vite, le loro delusioni, i loro drammi. Sono dialoghi lenti, fra persone stanche (fisicamente per la lunga notte di ricerche ed emotivamente, ognuno per ragioni diverse e lontane, ma sempre presenti) dialoghi che svelano e raccontano, e contemporaneamente spiazzano, noi e i protagonisti stessi. Perchè nel raccontare loro stessi si confrontano col passato, con il presente, e si scoprono fragili, e sconfitti. E nel giudicare l'assassino, apatico, freddo, distante, hanno mille dubbi a livello umano, e sociale. Lo scambio di parole avviene spesso in macchina, o durante le soste, e Ceylan non ha paura ad accostare tematiche alte e profonde ad altre banali e quotidiane, perciò si passa con disinvoltura dalle considerazioni sulla qualità dello yogurt fatto con latte di bufala alle riflessioni sul mistero della vita e della morte, dalle puntigliose misurazioni per stabilire se il cadavere è seppellito in una regione piuttosto che in altra alla considerazione che a volte si va ancora a lavorare ben oltre l'età della pensione solo perchè ciò che si ha a casa è troppo doloroso (come nel caso del commissario un figlio malato), dalle battute riguardo la somiglianza del procuratore con Clark Gable di cui ha gli stesi baffi (che si accarezza con vanità lontana dal suo ruolo) alla consapevolezza che il suicidio è una estrema forma di punizione per chi resta. La scena finale dell'autopsia, di un corpo violato e sezionato mentre fuori dalla finestra un gruppo di ragazzini gioca a pallone e la vedova della vittima si allontana stancamente con il figlioletto sono ancora una volta testimonianza della volontà del regista di mettere in scena la vita in tutte le sue forme, di mettere a nudo i sentimenti degli uomini, di svelarli fragili al di là dei loro ruoli sociali. La semplice eleganza con cui fa tutto ciò lo rende un coreografo dell'esistenza, artefice di una danza imperfetta in cui ognuno sbaglia i propri passi, ma proprio nel far questo rende magnifica l'intera rappresentazione scenica. E la vita, così imperfetta, e per questo affascinante al punto da diventare "Once upon a time...", "C'era una volta...", favola lontana e misteriosa che tutto contiene e tutto restituisce.
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