algernon
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sabato 28 maggio 2011
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che bello questo film
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la tredicenne Marta torna a Reggio Calabria dopo 10 anni in Svizzera e frequenta il catechismo per prepararsi alla cresima. e viene così in contatto con i terrificanti personaggi della parrocchia, il parroco don Mario, dedito alla raccolta delle preferenze elettorali e delle quote dell'affitto, la catechista Santa, impregnata di nozioni televisive e segretamente innamorata del suo parroco, il vescovo, scostante e altezzoso. Marta poco si adatta a questo mono strano, curiosa e schietta, osserva le cose degli uomini e della natura, fa a modo suo, con rispetto ma senza sottomettersi, osserva il suo corpo che cresce, anche ad esso certamente si riferisce il titolo, oltre che al corpo della chiesa, o al corpo di Cristo, che pure hanno una parte rilevante nella storia.
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la tredicenne Marta torna a Reggio Calabria dopo 10 anni in Svizzera e frequenta il catechismo per prepararsi alla cresima. e viene così in contatto con i terrificanti personaggi della parrocchia, il parroco don Mario, dedito alla raccolta delle preferenze elettorali e delle quote dell'affitto, la catechista Santa, impregnata di nozioni televisive e segretamente innamorata del suo parroco, il vescovo, scostante e altezzoso. Marta poco si adatta a questo mono strano, curiosa e schietta, osserva le cose degli uomini e della natura, fa a modo suo, con rispetto ma senza sottomettersi, osserva il suo corpo che cresce, anche ad esso certamente si riferisce il titolo, oltre che al corpo della chiesa, o al corpo di Cristo, che pure hanno una parte rilevante nella storia. e in questo ambiente dedito a cose materiali come i balletti e i pasticcini inutilmente Marta cerca la spiritualità che pure fa parte della sue curiosità per il mondo. le troverà in parte nell'incontro col prete eremita don Lorenzo, che vive in un paese abbandonato nell'Aspromonte. la cosa bella di questo film è la semplicità e la naturalità di questa ragazzina non allineata alla scoperta di sé stessa e del mondo. e complimenti alla regista e alla giovane attrice per come hanno saputo dirigere e interpretare il personaggio
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boyracer
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lunedì 6 giugno 2011
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una bella novità.
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Opera prima di Alice Rohrwacher (sorella della già affermata attrice Alba), questo film è una bella novità nel panorama autoriale italiano, presentato a Cannes in una categoria secondaria al concorso, e dove è stato giustamente molto apprezzato.
Il degrado del sud Italia è rappresentato con voce pacata ma spietata attraverso l'esperienza di una ragazzina cresciuta fino ai tredici anni in svizzera. La storia parte dal ritorno in Calabria insieme alla madre e alla sorella appena maggiorenne, da dove la madre stessa era emigrata anni prima per cercare lavoro.
Anche qui (come nel film dei fratelli Dardenne, decisamente minore) si narra di una famiglia difficile, con l'assenza di un padre del quale non si ha alcuna notizia, una sorella dal carattere forte e un po' prepotente, ipercritica verso la sorella minore (la protagonista tredicenne Marta), una madre (Anita Caprioli, ottima) tenera e affettuosa ma un po' debole verso la figlia maggiore e verso le insidie che arrivano dall'esterno.
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Opera prima di Alice Rohrwacher (sorella della già affermata attrice Alba), questo film è una bella novità nel panorama autoriale italiano, presentato a Cannes in una categoria secondaria al concorso, e dove è stato giustamente molto apprezzato.
Il degrado del sud Italia è rappresentato con voce pacata ma spietata attraverso l'esperienza di una ragazzina cresciuta fino ai tredici anni in svizzera. La storia parte dal ritorno in Calabria insieme alla madre e alla sorella appena maggiorenne, da dove la madre stessa era emigrata anni prima per cercare lavoro.
Anche qui (come nel film dei fratelli Dardenne, decisamente minore) si narra di una famiglia difficile, con l'assenza di un padre del quale non si ha alcuna notizia, una sorella dal carattere forte e un po' prepotente, ipercritica verso la sorella minore (la protagonista tredicenne Marta), una madre (Anita Caprioli, ottima) tenera e affettuosa ma un po' debole verso la figlia maggiore e verso le insidie che arrivano dall'esterno. E le insidie sono striscianti ma opprimenti, lanciate da una società letteralmente disastrata, dominata dal bigottismo tipico e ancora molto diffuso della provincia del sud, dalla commistione più che mai evidente e corrosiva tra Chiesa e politica. C'è un parroco "corrotto" soprattutto intellettualmente più che materialmente (un grande Salvatore Cantalupo, il “sarto di Gomorra”) che antepone la propria carriera ecclesiastica alla missione religiosa, un vescovo ritratto più come un boss mafioso colluso con il politico locale di riferimento che come un pastore di anime, una serie di personaggi di contorno che hanno una concezione così arcaica della Fede e un'esistenza talmente vuota e priva di luce che farebbero desistere e fuggire lontano anche il più inguaribile ottimista, tra tutti la catechista Santa (Pasqualina Scuncia, alla sua prima, enorme interpretazione).
La storia è leggera, senza grandi colpi di scena, ma proprio questo logorio psicologico costante e opprimente che si respira e si subisce da ogni lato, è spesso quello più pericoloso per le menti pure, perchè sfibra le persone e le priva dell'antidoto più efficace contro l'ignoranza, la corruzione, la povertà, contro l'oppressione di decenni di degrado sociale che ancora oggi mettono in ginocchio il sud Italia e sono la vera palla al piede dell'Italia intera. Questo antidoto è la speranza, e viene sottratto fin dall'adolescenza, dall'età in cui l'esplosione della vita e della maturazione potrebbero preparare enormi frutti per la felicità futura degli individui e per il bene del Paese.
Invece pochi individui senza scrupoli, facendo leva sui tarli ben noti, smorzano sul nascere questa crescita, e creano danni veri già ai ragazzi ancora giovani e innocenti come la protagonista.
Ma non tutto è perduto, perchè c'è sempre qualcuno che non ci sta (o che il caso lascia al di fuori di questo meccanismo perverso), bisogna "soltanto" avere la fortuna di incontrarlo e riconoscerlo, anche quando all'apparenza sembra simile agli altri.
Sentiremo ancora parlare (e bene) di Alice Rohrwacher, che sfoggia una regia molto intimistica e scrutatrice, che con lunghi primi piani e macchine a mano segue la protagonista da vicino e ne indaga il senso di sconforto e di inadeguatezza verso un mondo che non è il suo. E sentiremo anche parlare (bene) della quattordicenne Yle Vianello, già capace, così giovane e inesperta, di un'interpretazione intensa, credibile e commovente come da tempo non se ne vedevano
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flyanto
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martedì 31 maggio 2011
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mio commento personale
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Film sulla crescita e formazione di un'adolescente nel periodo della sua preparazione alla Cresima. Molto poetico e
delicato il ritratto della ragazzina (peraltro molto brava l'attrice che l'interpreta) che rivela, a mio parere, come sia
sensibile ai problemi della crescita la giovane regista, anch'ella mamma di una bimba. Essendo un'opera prima,
trovo che il film abbia rappresentato bene i conflitti e l'ambiente ignorante e sordido con cui la protagonista viene
a trovarsi a stretto contatto. La Chiesa non viene descritta affatto in modo positivo ma c'è solo da augurarsi che
non tutti gli ambienti ecclesiastici siano così negativamente strutturati.
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Film sulla crescita e formazione di un'adolescente nel periodo della sua preparazione alla Cresima. Molto poetico e
delicato il ritratto della ragazzina (peraltro molto brava l'attrice che l'interpreta) che rivela, a mio parere, come sia
sensibile ai problemi della crescita la giovane regista, anch'ella mamma di una bimba. Essendo un'opera prima,
trovo che il film abbia rappresentato bene i conflitti e l'ambiente ignorante e sordido con cui la protagonista viene
a trovarsi a stretto contatto. La Chiesa non viene descritta affatto in modo positivo ma c'è solo da augurarsi che
non tutti gli ambienti ecclesiastici siano così negativamente strutturati. Molto brava anche la non attrice di
professione (ma presa fra la gente comune) che interpreta la maestra di Catechismo, nonchè perpetua del
parroco.
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stefanomaike
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sabato 23 luglio 2011
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speranza
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Il peggio c'è, esiste, lo si intuisce. ma non è il "fare spettacolo" che interessa qui. le pennellate ne mostrano i segni evidenti. lo sgomento è il sentire prevalente. Il Gesù "adattato" al sentire dei tempi (ancora e ancora) degrado culturale da pomeriggio TV, degrado sociale e ambientale che consegue, contaminazioni pesanti in coloro che dovrebbero rappresentare l'apice spirituale della società. Ma la speranza c'è e ce n'è tanta, forse troppa. c'è in quell'angelo purissimo, chino ad accarezzare e "cercare" Gesù. c'è nell'amore di una mamma, c'è persino nel l'incertezza del prete che all'improvviso a compreso (un pò di eccesso lì) c'è soprattutto nel bel finale molto allegorico. Certo c'è un guado da attraversare e anche dei ponti da rompere, ma la vita c'è ancora, viva, vera, guizzante perfino.
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Il peggio c'è, esiste, lo si intuisce. ma non è il "fare spettacolo" che interessa qui. le pennellate ne mostrano i segni evidenti. lo sgomento è il sentire prevalente. Il Gesù "adattato" al sentire dei tempi (ancora e ancora) degrado culturale da pomeriggio TV, degrado sociale e ambientale che consegue, contaminazioni pesanti in coloro che dovrebbero rappresentare l'apice spirituale della società. Ma la speranza c'è e ce n'è tanta, forse troppa. c'è in quell'angelo purissimo, chino ad accarezzare e "cercare" Gesù. c'è nell'amore di una mamma, c'è persino nel l'incertezza del prete che all'improvviso a compreso (un pò di eccesso lì) c'è soprattutto nel bel finale molto allegorico. Certo c'è un guado da attraversare e anche dei ponti da rompere, ma la vita c'è ancora, viva, vera, guizzante perfino. aldilà del guado. Grazie Alice.
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miazitu
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venerdì 3 giugno 2011
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sopravvalutato
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Il film parte da un assunto interessante: una ragazzina, cresciuta in Svizzera, ritorna con la madre e la sorella a vivere in Calabria. Un corpo estraneo in un mondo lontanissimo, che non conosce. Un mondo che potrebbe dare infinite possibilità di racconto, un percorso di crescita e di scoperta che potrebbe portare ad orizzonti inaspettati. Ma la regista sceglie tutt'altra strada: quella di limitare quella di restringere quel mondo a uno solo, quello di una chiesa che rincorre modelli televisivi, corrotta e frustrata, dell'universo plebeo meschino e incattivito che gli gira intorno. Volgare ed ignorante, senza eccezioni e distinzioni. E sceglie anche di usare il presupposto - la bambina che arriva da lontano - in modo del tutto strumentale: è lei, la protagonista, l'oggetto estraneo attraverso cui guardare a questo mondo.
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Il film parte da un assunto interessante: una ragazzina, cresciuta in Svizzera, ritorna con la madre e la sorella a vivere in Calabria. Un corpo estraneo in un mondo lontanissimo, che non conosce. Un mondo che potrebbe dare infinite possibilità di racconto, un percorso di crescita e di scoperta che potrebbe portare ad orizzonti inaspettati. Ma la regista sceglie tutt'altra strada: quella di limitare quella di restringere quel mondo a uno solo, quello di una chiesa che rincorre modelli televisivi, corrotta e frustrata, dell'universo plebeo meschino e incattivito che gli gira intorno. Volgare ed ignorante, senza eccezioni e distinzioni. E sceglie anche di usare il presupposto - la bambina che arriva da lontano - in modo del tutto strumentale: è lei, la protagonista, l'oggetto estraneo attraverso cui guardare a questo mondo. Non che non ci siano spunti interessanti in Corpo Celeste, ma il problema è che il racconto si ferma qui. Batte sempre sullo stesso tasto, quello dello squallore, della crudeltà gratuita, della desertificazione culturale. E questa desertificazione è rappresentata, naturalmente, dalla religione (su certa critica fa sempre presa), dal sud (orrendo, sporco, devastato), e da una galleria di personaggi miserabili e volgari. Così le donne - nel caso non fosse abbastanza chiaro - sono strizzate in maglie leopardate e portano gioielli vistosi e di cattivo gusto, i preti intrallazzano con la politica, i bambini sono brutti, apatici e con delle pettinature improbabili. Tutti tranne la protagonista e sua madre - unico personaggio positivo - che, nonostante provenga da quel mondo, è invece vestita come si vestono le persone normali. Tutti questi personaggi meschini e insensibili hanno volti interessanti e sono ben diretti. Ma quello che delude è proprio la narrazione. E' un film che racconta una cosa sola, il punto della regista su questo mondo. Un punto di vista supponente e didascalico, dovuto in parte, probabilmente, alla giovane età, e in parte all'idea di raccontare un mondo che non si conosce attraverso uno sguardo velato dal pregiudizio. Che sul finale cerca la strada del film d'autore, inzeppando il film di simboli. Fin troppo facile, secondo me. Ma che ha mandato in visibilio certa critica. Sarà per quel provincialismo che, qui in Italia, fa sembrare qualsiasi cosa passata da Cannes un capolavoro.
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marica romolini
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martedì 28 febbraio 2012
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un corpo lunare precipitato nel degrado
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Marta ha tredici anni ed è cresciuta in Svizzera. Tornata insieme alla madre e alla sorella a Reggio Calabria, si trova a doversi integrare in una città che, seppur natale, le è terribilmente straniera. Un po' per rispetto del cursus honorum, un po' per fare amicizia, inizia a frequentare le lezioni di preparazione alla Cresima della parrocchia. Ma il mondo che le si spalanca è qui ancora più spiazzante: don Mario si preoccupa unicamente di riscuotere affitti e consensi elettorali, per fuggire ben lontano da uno squallore che non si perita certo di riscattare; la catechista Santa, di lui segretamente infatuata, sembra proprio aver eletto la nuova arrivata a comodo capro espiatorio delle sue frustrazioni; il torvo sagrestano compie con straniante naturalezza una strage d'innocenti (gli amanti dei gatti sono avvisati: una scena a dir poco spezzacuore!).
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Marta ha tredici anni ed è cresciuta in Svizzera. Tornata insieme alla madre e alla sorella a Reggio Calabria, si trova a doversi integrare in una città che, seppur natale, le è terribilmente straniera. Un po' per rispetto del cursus honorum, un po' per fare amicizia, inizia a frequentare le lezioni di preparazione alla Cresima della parrocchia. Ma il mondo che le si spalanca è qui ancora più spiazzante: don Mario si preoccupa unicamente di riscuotere affitti e consensi elettorali, per fuggire ben lontano da uno squallore che non si perita certo di riscattare; la catechista Santa, di lui segretamente infatuata, sembra proprio aver eletto la nuova arrivata a comodo capro espiatorio delle sue frustrazioni; il torvo sagrestano compie con straniante naturalezza una strage d'innocenti (gli amanti dei gatti sono avvisati: una scena a dir poco spezzacuore!). In una Chiesa collusa con la peggior politica, strumentalizzata a fini di carriera o quanto meno spettacolarizzata (quiz di religione alla Chi vuol essere milionario?, Alleluia da stacchetto tv, sale trucco, applausi di platea accompagnano le cresimande nel loro grottesco reality show), Marta è l'unica a chiedere/si un senso. È un corpo celeste, quasi creatura lunare smarrita in una realtà estranea che pure tenta tenacemente di decifrare, sospesa tra infanzia e adolescenza, in un limbo di indefinitezza sessuale. Un corpo che muta e che, tra lo spaesamento delle prime mestruazioni e il desiderio di reggiseni più grandi, pone esso stesso delle domande. Ma fuori il degrado – non dell'eccesso ma dell'ignorante mediocrità – non può rispondere a chi interroga con curiosità spregiudicata: è solo rumore. Alice Rohrwacher sceglie infatti di debuttare (Corpo celeste è il suo primo, magistrale, lungometraggio) senza ricorrere ad alcuna colonna sonora. La forza del film sta tutta nel taglio delicatamente indagatore dei primi piani, nella credibilità dei dialoghi (superbi gli attori, professionisti e non), nell'adozione del punto di vista di Marta, che spiega l'alone caricaturale che certa critica ha imputato ai personaggi (l'iperacidità della sorella maggiore o l'incolto attivismo di Santa che sfiora l'ebetismo). L'intento non è polemico: vi è anzi una sorta di «ritrosia antiretorica» che affida il narrato a una lunga «soggettiva libera indiretta» (R. Menarini) e che si autoregola con limitazioni simil-Dogma: macchina rigorosamente a spalla, suoni e non musiche, Super16 al posto del digitale per rendere i dettagli non brutalmente visibili ma, senza enfasi, percepibili. Perché se i simboli precipitano dall'alto non sono che vuote formule cerimoniali, come quelle che la catechista vuol far recitare a forza a una Marta che esige invece il tempo necessario per vagliarle. Devono piuttosto scaturire dalla realtà, essere cercati in rebus.Ed è infatti su un 'miracolo' di questo sublime d'en bas che si conclude il film: dopo l'abluzione battesimale nel Giordano locale, ecco una coda di lucertola dibattersi, nonostante tutto, in un inesausto amor vitae.
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eugenio
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domenica 5 gennaio 2014
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formazione spirituale al sud
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Opera prima presentata al festival di Cannes 2011, quello che ha consacrato Habemus papam di Moretti nella Quinzaine des Réalisateurs, Corpo celeste costituisce un interessante esordio della attrice-regista Alice Rohrwacher
E’ un film che dà fiducia e speranza nel cinema italiano, che sa affrontare con coraggio delicate questioni quali possono essere la crescita adolescenziale e il cammino verso la maturità contestualizzandolo a una realtà povera. degradata e moralmente squallida del sud Italia, un territorio ahimè dimenticato,spazzato dalla mafia, dagli abusi edilizi e purtroppo dall’ignoranza.
Ci troviamo al limite della penisola, nel punto dove il sud sembra finire specchiandosi nell’azzurro mare cristallino della costa sicula, in uno scenario turistico stupendo con panorami e paesini dimenticati immersi nella cornice caratteristica mediterranea.
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Opera prima presentata al festival di Cannes 2011, quello che ha consacrato Habemus papam di Moretti nella Quinzaine des Réalisateurs, Corpo celeste costituisce un interessante esordio della attrice-regista Alice Rohrwacher
E’ un film che dà fiducia e speranza nel cinema italiano, che sa affrontare con coraggio delicate questioni quali possono essere la crescita adolescenziale e il cammino verso la maturità contestualizzandolo a una realtà povera. degradata e moralmente squallida del sud Italia, un territorio ahimè dimenticato,spazzato dalla mafia, dagli abusi edilizi e purtroppo dall’ignoranza.
Ci troviamo al limite della penisola, nel punto dove il sud sembra finire specchiandosi nell’azzurro mare cristallino della costa sicula, in uno scenario turistico stupendo con panorami e paesini dimenticati immersi nella cornice caratteristica mediterranea. Dinanzi a quel mare così vicino ma per converso inviolabile, si svolge il cammino di formazione di Marta (Yile Vianello) “gettata” dal profondo Nord della Svizzera nel ancor più profondo Sud di Reggio Calabria dove ha trascorso la sua infanzia, luogo irenico ma confuso, detrito inviolabile della sua esistenza.
Il ritorno non ha nulla di proustiano ma, al contrario è ricerca e soprattutto contemplazione. In quella parrocchia di Reggio Calabria dove Marta dovrà frequentare l’importante corso di catechismo per la preparazione alla cresima, spartiacque tra infanzia e maturità nell’accettazione del corpo del Signore, Marta, da spigliata ragazzina comprende e capisce, osserva la sua nuova esistenza da partecipe passivo in terza persona subendo conseguenze e azioni imposte dall’alto: il mare di immondizia dell’oramai secco fiume tramutato a discarica, le litanie paesane, l’abusivismo edilizio e soprattutto la visione “disgregata” della chiesa.
Una chiesa che da luogo di raccoglimento delle anime e di aiuto verso il prossimo è amministrata a mo’ di azienda dal parroco che si preoccupa piuttosto della salvezza delle sue anime smarrite al più “prosaico” e quotidiano presente, promovendo e recuperando i voti elettorali dei fedeli nel suoi peripatetici giri tra le casette della città. Attorno a questa gretta figura amministratrice politica del presente, si muovono i fervori religiosi delle catechiste, i desueti canti gregoriani ora sostituiti dal refrain “Mi sintonizzo con Dio”, grottesco atto di fede verso l’onnipotente, riducendo la Cresima a un atto vuoto di ogni significato che dovrebbe avvicinare al mistero della creazione finendo per sollevare dubbi sulle imposizioni, il radicamento dei valori (sacri o profani) e il modo di trasmetterli.
Con la sua precisa macchina da presa che scandaglia con profondità le sfaccettatura dell’anima della giovane Marta, Rohrwacher analizza con taglio realista l’ambiente della comunità di provincia, non esaltandone lo spirito grottesco quanto la veridicità di fatti e azioni, non cercando quindi il compatimento nello spettatore quanto la sua riflessione in una storia di formazione silenziosa e dubbiosa senza prediche che evita soprattutto l’anticlericalismo ma invita alla discussione.
Con frequenti primi piani che scavano nell’intimità di Marta, la regista ci guida in un cammino contorto, in un amalgama di spiritualità e sentimenti contrastanti, grazie a immagini talvolta forti (l’attacco di menopausa, lo schiaffo della catechista e il glaciale primo piano di Marta) o intime (la figura del prete eremita in uno sperduto paesino di collina portatore del vero sentimento di umiltà cristiana) che comunicano il disorientamento spirituale della pubertà. Marta assurge a simbolo della scoperta del senso divino, della ricerca di sé ed il suo smarrimento ben trasposto sullo schermo rimane purtroppo invischiato tra le trame di un didascalismo un po’ troppo ridondante che la regista enfatizza in più occasioni (estenuante ricerca degli emblemi, rigore stilistico e provincialismo). Un esordio alla Dardenne. Ben vengano!
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rugvito
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lunedì 2 aprile 2012
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tra brutalità e delicatezza
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"Corpo celeste" è un film sospeso tra spiritualià e prosaicità contemporanea. La piccola Marta non ancora contaminata dalla lobotomizzazione perpetrata dai media, è veicolo di riscoperta di una spiritualità più intima e profonda, quasi naturale, che sboccia in un contesto arido in concomitanza con alcuni passaggi chiave dello sviluppo e della crescita della ragazzina. Il contesto è brutto e avvilente, la regista ci mostra infatti una Reggio Calabria segnata dalla speculazione edilizia, restituendoci un ritratto da capitale della prosaicità contemporanea. La bruttezza dei luoghi sembra poi riflettersi nei personaggi, tra cui sono diffiuse: ipocrisia e povertà di spirito oltre ad una certa ignoranza.
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"Corpo celeste" è un film sospeso tra spiritualià e prosaicità contemporanea. La piccola Marta non ancora contaminata dalla lobotomizzazione perpetrata dai media, è veicolo di riscoperta di una spiritualità più intima e profonda, quasi naturale, che sboccia in un contesto arido in concomitanza con alcuni passaggi chiave dello sviluppo e della crescita della ragazzina. Il contesto è brutto e avvilente, la regista ci mostra infatti una Reggio Calabria segnata dalla speculazione edilizia, restituendoci un ritratto da capitale della prosaicità contemporanea. La bruttezza dei luoghi sembra poi riflettersi nei personaggi, tra cui sono diffiuse: ipocrisia e povertà di spirito oltre ad una certa ignoranza. Tutto questo poi acquista un maggior valore nell'economia della tematica se si tiene conto che il luogo più frequentato dalla ragazzina è la parrocchia in cui si tiene il corso di catechismo. Ed è a contatto con la mediocrità di quei personaggi che scaturirà la reazione spontanea e silenziosa di Marta ed il suo accostamento naturale ad un tipo di spiritualità diversa.
La regista riesce a conservare uno sguardo delicato e leggero sulle cose (forse semplicemente muliebre) anche quando esse risultano desolanti. Non si discosta molto dallo sguardo della ragazzina, ne condivide infatti la purezza e un pervasivo ed indistino senso di spiritualità "celeste". Il contrasto tra questa spiritualità ed un certo brutalismo corporale della immagini, è il binomio fondativo del film e l'elemento che lo rende una riuscita e interessante opera prima.
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rescart
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lunedì 22 luglio 2013
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togli prima la trave dal tuo occhio
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La pagliuzza qui prende corpo e si materializza alla fine quando il ragazzino mostra alla protagonista coetanea, mancata cresimanda, l’unico vero miracolo che oggi la chiesa cattolica sembra (o sembrava “mutatis mutandis” ai suo massimo vertice) essere in grado di fare. La coda tagliata di una lucertola si muove di moto proprio. Viene in mente, vista la presenza nel film dell’episodio del crocifisso perduto in mare, il tanto discusso crocefisso al femminile di Cattelan e quello di Martin Kippenberger, che al posto del solito fisico da modello con pizzetto ha messo se stesso sulla croce nelle sembianze di un ranocchio antropomorfo con tanto di boccale di birra e un uovo tra le mani.
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La pagliuzza qui prende corpo e si materializza alla fine quando il ragazzino mostra alla protagonista coetanea, mancata cresimanda, l’unico vero miracolo che oggi la chiesa cattolica sembra (o sembrava “mutatis mutandis” ai suo massimo vertice) essere in grado di fare. La coda tagliata di una lucertola si muove di moto proprio. Viene in mente, vista la presenza nel film dell’episodio del crocifisso perduto in mare, il tanto discusso crocefisso al femminile di Cattelan e quello di Martin Kippenberger, che al posto del solito fisico da modello con pizzetto ha messo se stesso sulla croce nelle sembianze di un ranocchio antropomorfo con tanto di boccale di birra e un uovo tra le mani. Il passaggio dall’anfibio al rettile poi è breve, come breve è il collegamento al serpente di rame innalzato da Mosè nel deserto, figura del peccato sconfitto da Gesù sulla croce: "E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell' uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna" (Giovanni 3:14). La Bibbia è piena di metafore tratte dal mondo degli animali come dei vegetali. Dopo che nella Chiesa cattolica l’attenzione per la natura e l’amore per gli animali sono tornati ad essere una priorità, rimane aperto il problema della trave. Come il corpo celeste del suo capo, quello della Chiesa è e rimane uno solo, anche se ai nostri occhi di osservatori superficiali fuorviati a volte anche da falsi maestri, esso appare diviso. In Italia poi è fin troppo semplice pensare ai colpi di coda delle gerarchie cattoliche, che da quasi vent’anni aspirano a tenere in vita una presenza politica confessionale, ormai diventata minoritaria nel Paese. I giovani pensano ad altro che ad andare in chiesa, che entra nel loro orizzonte di interessi solo quando si adegua al loro livello mentale e ai generi musicali che essi prediligono. La metafora paolina del corpo applicato alla chiesa contemporanea non può certo risolversi nel identificare il suo capo nel Vaticano, per quanto ad esso guardino i potenti del mondo. Potenti che proprio in questi giorni stanno spalancando le porte di una favela brasiliana, opportunamente ripulita dalle truppe d’elite della polizia di Rio, alla visita di papa Francesco. Vasi d’ira e vasi di misericordia si sostengono a vicenda e purtroppo di regola ad andarci si mezzo e ad avere la peggio sono i vasi di coccio di manzoniana memoria. Ma per intravvedere un lieto fine in questo film basterebbe ridimensionare l’importanza che il cattolicesimo, almeno quello più ignorante e bigotto, ha in Italia. Senza distinzione in questo tra nord e sud del Paese.
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angelo umana
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lunedì 26 maggio 2014
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religione personalizzata
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La stessa delicatezza di "Le meraviglie" è usata da Alice Rohrwacher nel film del 2011, Corpo Celeste, un film decisamente migliore di quello nuovo e premiato a Cannes 2014, almeno perché prende posizione contro l’interpretazione a proprio uso e consumo e riti e autorità inamovibili della religione nel ventre italico profondo, con corredo di santini elettorali spacciati dal prete (l’indimenticato sarto Salvatore Cantalupo di Gomorra) ai propri fedeli. Anche qui il film è fatto dagli occhi dell’adolescente 13enne Marta, trasferitasi in Calabria dalla Svizzera: si tratta anche in questo caso delle storture o ottusità dei grandi viste dagli occhi di bambini.
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La stessa delicatezza di "Le meraviglie" è usata da Alice Rohrwacher nel film del 2011, Corpo Celeste, un film decisamente migliore di quello nuovo e premiato a Cannes 2014, almeno perché prende posizione contro l’interpretazione a proprio uso e consumo e riti e autorità inamovibili della religione nel ventre italico profondo, con corredo di santini elettorali spacciati dal prete (l’indimenticato sarto Salvatore Cantalupo di Gomorra) ai propri fedeli. Anche qui il film è fatto dagli occhi dell’adolescente 13enne Marta, trasferitasi in Calabria dalla Svizzera: si tratta anche in questo caso delle storture o ottusità dei grandi viste dagli occhi di bambini. Grottesca l'ottusità di far imparare il catechismo a dei ragazzi per la prima comunione o per la cresima, che a quell'età hanno tutt'altro e più importante per la testa: più produttivo sarebbe far considerare e scegliere una religione in età adulta.
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