giulinet
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domenica 7 novembre 2010
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una tragedia dove tutti sono perdenti
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Proprio un bel film. Un dramma confezionato come un bel noir e raccontato in modo asciutto senza divagazioni formali. Tutti sono perdenti e il bene e il male si sovrappongono nella tragedia interiore che dilania i protagonisti. Alla fine si rimane con l'amaro in bocca e molti elementi di riflessione: sui legami affettivi, le scelte di vita da cui non si può fuggire, su quante vite spezzate che restano nell'ombra ci sono dietro i trafiletti di cronaca criminale che ogni giorno leggiamo distrattamente sui quotidiani. E' un film che si guarda tutto d'un fiato, non ci da tempo di porci domande, perchè è sempre credibile, nulla appare strumentale o stona nel racconto.
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Proprio un bel film. Un dramma confezionato come un bel noir e raccontato in modo asciutto senza divagazioni formali. Tutti sono perdenti e il bene e il male si sovrappongono nella tragedia interiore che dilania i protagonisti. Alla fine si rimane con l'amaro in bocca e molti elementi di riflessione: sui legami affettivi, le scelte di vita da cui non si può fuggire, su quante vite spezzate che restano nell'ombra ci sono dietro i trafiletti di cronaca criminale che ogni giorno leggiamo distrattamente sui quotidiani. E' un film che si guarda tutto d'un fiato, non ci da tempo di porci domande, perchè è sempre credibile, nulla appare strumentale o stona nel racconto. Tutti gli attori perfetti nella parte e Servillo è quello di sempre: un grande attore. Imperdibile.
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martedì 2 novembre 2010
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l'impossibilità di sfuggire al passato
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Rosario (Toni Servillo) ha un passato da camorrista, ma da quindici anni, per sfuggire a morte certa, ha cambiato identità e si è trasferito in Germania, dove ha cancellato i ponti con il passato, ha imparato il mestiere del ristoratore, si è rifatta una famiglia e con essa una vita. A sconvolgere la sua tranquillità è però l'arrivo del figlio Diego (Marco D'Amore) , che gli chiede accoglienza celando il vero scopo della sua visita: compiere un omicidio. Quando Rosario vede scoperta la propria identità da chi lo vuole morto, dovrà ancora una volta fare tabula rasa per sfuggire al passato.
Cupellini gira un noir che guarda all'attualità (penetrazione camorristica nell'industria dello smaltimento dei rifiuti, strage di Duisburg), ma che sa affrontare temi assoluti: l'impossibilità di eludere le conseguenze (morali) dei propri trascorsi, l'illusorietà del cambiamento e del ravvedimento, la fatalità del destino.
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Rosario (Toni Servillo) ha un passato da camorrista, ma da quindici anni, per sfuggire a morte certa, ha cambiato identità e si è trasferito in Germania, dove ha cancellato i ponti con il passato, ha imparato il mestiere del ristoratore, si è rifatta una famiglia e con essa una vita. A sconvolgere la sua tranquillità è però l'arrivo del figlio Diego (Marco D'Amore) , che gli chiede accoglienza celando il vero scopo della sua visita: compiere un omicidio. Quando Rosario vede scoperta la propria identità da chi lo vuole morto, dovrà ancora una volta fare tabula rasa per sfuggire al passato.
Cupellini gira un noir che guarda all'attualità (penetrazione camorristica nell'industria dello smaltimento dei rifiuti, strage di Duisburg), ma che sa affrontare temi assoluti: l'impossibilità di eludere le conseguenze (morali) dei propri trascorsi, l'illusorietà del cambiamento e del ravvedimento, la fatalità del destino. Dopo una prima parte preparatoria e più incerta, il film decolla nella seconda, quando la narrazione si fa più incalzante, la recitazione tesa (bravi gli attori) ben trasmette la sensazione di ineluttabilità con cui gli eventi sembrano precipatare drammaticamente verso un punto di non ritorno e soprattutto esplode, potente e tragico, il forte contrasto fra un figlio pieno di rancore per l'abbandono (tanto da mettere in atto quella che assomiglia ad una vendetta) ma in fondo fragile ed un padre combattuto dal dissidio interiore fra i rimorsi e l'istinto di sopravvivenza, la paura di perdere l'illusione di felicità che si è faticosamento costruito, lasciandosi alle spalle un peso impossibile da portare. E'stato abile Cupellini per la cura messa nella regia, meno per la sceneggiatura che nel finale non nasconde qualche piccolo buco.
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intothewild4ever
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sabato 6 novembre 2010
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una vita...spietata!
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Una vita tranquilla è un film spietato, che non lascia spazio alle emozioni. Presenta una storia con infinita freddezza, pilotata da una sapiente regia. Toni Servillo è immenso come suo solito (il premio della Festa del Cinema di Roma ci sembra più che meritato), ma anche gli attori di contorno reggono ottimamente la scena, Di Leva su tutti. La storia è semplicissima ma complessa nella sua interiorità, è ben narrata anche se presenta piccole lacune nei risvolti psicologici e ci sarebbe piaciuto un po' più di dialogo tra padre e figlio. Il messaggio è comunque c'è e si fa sentire: ovvero che il passato, un certo tipo di passato, ci insegue sempre.
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Una vita tranquilla è un film spietato, che non lascia spazio alle emozioni. Presenta una storia con infinita freddezza, pilotata da una sapiente regia. Toni Servillo è immenso come suo solito (il premio della Festa del Cinema di Roma ci sembra più che meritato), ma anche gli attori di contorno reggono ottimamente la scena, Di Leva su tutti. La storia è semplicissima ma complessa nella sua interiorità, è ben narrata anche se presenta piccole lacune nei risvolti psicologici e ci sarebbe piaciuto un po' più di dialogo tra padre e figlio. Il messaggio è comunque c'è e si fa sentire: ovvero che il passato, un certo tipo di passato, ci insegue sempre...non ci abbandona mai e che quindi... è meglio cercare di costruirsi un presente e un futuro il più retto possibile!!!
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[+] mi fido di te!
(di enrico lo vecchio)
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pipay
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mercoledì 10 novembre 2010
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una vita, più vite...
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Un film ben fatto. Funziona: ha ritmo, tensione, ottimi interpreti e buona regia. Servillo dà il suo meglio quando appare così "al naturale", (ricordo "La donna del lago", buon film che però denotava diversi errori o banalità nella trama) anziché mostrarsi alla cinepresa dopo ore di trucco che gli consentono di interpretare personaggi che riportano all'artificio e al bozzettismo (Il Divo, Gorbaciof), personaggi comunque riusciti.
"Una vita tranquilla" fa perno sulle insidie, la violenza e le amare sorprese che può riservarci la vita, costringendoci a volte a rimettere tutto in gioco, a qualsiasi costo, anche calpestando affetti, famiglia e amici. Anche a costo di uccidere; ma a questo il protagonista del film è abituato.
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Un film ben fatto. Funziona: ha ritmo, tensione, ottimi interpreti e buona regia. Servillo dà il suo meglio quando appare così "al naturale", (ricordo "La donna del lago", buon film che però denotava diversi errori o banalità nella trama) anziché mostrarsi alla cinepresa dopo ore di trucco che gli consentono di interpretare personaggi che riportano all'artificio e al bozzettismo (Il Divo, Gorbaciof), personaggi comunque riusciti.
"Una vita tranquilla" fa perno sulle insidie, la violenza e le amare sorprese che può riservarci la vita, costringendoci a volte a rimettere tutto in gioco, a qualsiasi costo, anche calpestando affetti, famiglia e amici. Anche a costo di uccidere; ma a questo il protagonista del film è abituato. Per lui, che ha comunque tentato di allontanarsi dal tetro e spietato mondo della camorra e della malavita cercando di rifarsi una vita all'estero, non è un problema risolvere situazioni inaspettate. La sua sicurezza e la sua determinazione non hanno subito tentennamenti col passare del tempo...
Un film da vedere, crudo e attuale.
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giank51
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venerdì 12 novembre 2010
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una vita con il ritmo della tragedia greca
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In uno sfondo nord-europeo e sotto l'arco della mafia si snoda una vicenda che porta con sè l'incalzare di una moderna tragedia greca o meglio tardo italica.
I passaggi fondamentali del film (ex-mafioso in fuga, incontro con il figlio a sua volta compromesso,una nuova famiglia) sono magistralmente trasformati in
consapevolezza di sè e del proprio passato e nella tragica presa di coscienza del proprio destino.
Ed ecco dispiegarsi sulla scena i veri protagonisti dell'opera: un figlio dimenticato che ritorna, un cupo passato che ritorna, una sopita aggrssività che riaffiora. Toni Servillo sta nuovamente sprofondando nell'abisso da cui era faticosamente emerso.
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In uno sfondo nord-europeo e sotto l'arco della mafia si snoda una vicenda che porta con sè l'incalzare di una moderna tragedia greca o meglio tardo italica.
I passaggi fondamentali del film (ex-mafioso in fuga, incontro con il figlio a sua volta compromesso,una nuova famiglia) sono magistralmente trasformati in
consapevolezza di sè e del proprio passato e nella tragica presa di coscienza del proprio destino.
Ed ecco dispiegarsi sulla scena i veri protagonisti dell'opera: un figlio dimenticato che ritorna, un cupo passato che ritorna, una sopita aggrssività che riaffiora. Toni Servillo sta nuovamente sprofondando nell'abisso da cui era faticosamente emerso. Ma il gesto d'amore verso il nuovo figlio gli dà l'ultima possibiltà di riscatto.
Poi succeda quel che succeda. Un nuovo volto ed una nuova vita. Una fuga senza fine.
Avevamo bisogno di questo film!
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renato volpone
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martedì 9 novembre 2010
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la vita nascosta
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Ricostruirsi una vita fuggendo dal passato.....sciogliendo tutti i legami tranne uno. Nasce così una storia drammatica raccontata con abilità in questo film. Gli attori sono molto bravi, il contrasto tra la vita tranquilla e la violenza è volutamente stridente, doloroso....perdente. La tensione cresce con lo scorrere del film. Il finale è un po' affrettato e vengono sottovalutate le possibili conseguenze delle scelte del protagonista, ma il film del resto non descrive la fuga dal passato nè gli accadimenti futuri, la storia di mezzo è comunque sicuramente avvincente,.
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reservoir dogs
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martedì 9 novembre 2010
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la lotta alla sopravvivenza
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Rosario ha una vita ordinaria: cucina nel suo hotel in Germania, ha un moglie del posto con cui ha fatto un figlio e discute sulla culinaria italiana con l'unico cuoco mediterraneo del suo staff.
Ma il passato gli bussa alla porta ed è un passato che ha il suo stesso sangue, il figlio Diego che si trova nella zona con un amico per "affari".
Sin dall'inizio si percepisce l'essenza della pellicola: la lotta alla sopravvivenza, alla "selezione artificiale"; Rosario infatti uccide il cinghiale per sopravvivere, così come "uccide" gli alberi per necessità e come ha ucciso in passato per sopravvivere e per non essere ucciso.
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Rosario ha una vita ordinaria: cucina nel suo hotel in Germania, ha un moglie del posto con cui ha fatto un figlio e discute sulla culinaria italiana con l'unico cuoco mediterraneo del suo staff.
Ma il passato gli bussa alla porta ed è un passato che ha il suo stesso sangue, il figlio Diego che si trova nella zona con un amico per "affari".
Sin dall'inizio si percepisce l'essenza della pellicola: la lotta alla sopravvivenza, alla "selezione artificiale"; Rosario infatti uccide il cinghiale per sopravvivere, così come "uccide" gli alberi per necessità e come ha ucciso in passato per sopravvivere e per non essere ucciso.
Il rimando ad Apocalypto è necessario, nonostante il diverso contesto lo scopo è il medesimo.
Rosario, un magnifico Toni Servillo, è un uomo che non ha dimenticato la sua "natura", durante la cena infatti medita l'assassinio di Edoardo che ormai conosce la sua vera identità, sbuffa quasi come la macchina da caffè per la sua regressione all'uomo che era in passato ma gli eventi glielo impongono.
Il suo essere padre però gli dice anche di proteggere i suoi "cuccioli", andrà così verso il suo destino e durante il suo viaggio verso il patibolo Rosario confesserà al figlio:"Ho paura di morire, non credevo ma ho paura di morire".
La morte però gli darà la possibilità di farsi una nuova "vita tranquilla", una vita che il figlio Diego non ha accettato pagandone le conseguenze.
Sono secoli che l'uomo non abita quasi più le foreste ma il suo istinto di sopravvivenza vive ancor oggi assopito in lui in attesa di risvegliarsi in caso di necessità.
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gianmarco.diroma
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venerdì 12 novembre 2010
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possibili letture di una vita tranquilla
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Fuga senza fine è il titolo di un libro di Joseph Roth: fuga senza fine è una sorta di condizione esistenziale che Antonio De Martino (Rosario, da quando vive in Germania) ha sposato da ormai 15 anni, costretto ad abbandonare il suo passato di pluriomicidia per avere salva la vita sua e quella della sua famiglia. Ma è proprio la propria famiglia che si presenta alla porta del suo ristorante in Germania sotto l'aspetto e la vicenda di Diego, il figlio primogenito, che Rosario/Antonio De Martino ha abbandonato a sé stesso in Italia, "fottendosene di tutto" (come sostiene Diego nel finale del film) molti anni prima. Coinvolto in una classica storia di camorra (classica dopo Gomorra di Roberto Saviano) dove omicidi e rifiuti s'intrecciano fino ad arrivare in Germania, Diego costringe il padre Rosario a riaprire i conti con il passato, con il proprio passato! Perché se Diego sembra smarrire progressivamente lucidità nel corso della storia, a causa del sempre maggiore coinvolgimento emotivo a cui Rosario lo costringe, così non è Edoardo, il suo "collega", il quale, per la sua prepotenza, il suo vigore, la sua determinazione, la sua incoscienza, ma anche perché figlio di un boss da cui Rosario non vuole più essere trovato (facendosi credere morto), man mano che si procede verso il cuore dell'intreccio assume i connotati del nemico da distruggere agli occhi del protagonista Rosario.
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Fuga senza fine è il titolo di un libro di Joseph Roth: fuga senza fine è una sorta di condizione esistenziale che Antonio De Martino (Rosario, da quando vive in Germania) ha sposato da ormai 15 anni, costretto ad abbandonare il suo passato di pluriomicidia per avere salva la vita sua e quella della sua famiglia. Ma è proprio la propria famiglia che si presenta alla porta del suo ristorante in Germania sotto l'aspetto e la vicenda di Diego, il figlio primogenito, che Rosario/Antonio De Martino ha abbandonato a sé stesso in Italia, "fottendosene di tutto" (come sostiene Diego nel finale del film) molti anni prima. Coinvolto in una classica storia di camorra (classica dopo Gomorra di Roberto Saviano) dove omicidi e rifiuti s'intrecciano fino ad arrivare in Germania, Diego costringe il padre Rosario a riaprire i conti con il passato, con il proprio passato! Perché se Diego sembra smarrire progressivamente lucidità nel corso della storia, a causa del sempre maggiore coinvolgimento emotivo a cui Rosario lo costringe, così non è Edoardo, il suo "collega", il quale, per la sua prepotenza, il suo vigore, la sua determinazione, la sua incoscienza, ma anche perché figlio di un boss da cui Rosario non vuole più essere trovato (facendosi credere morto), man mano che si procede verso il cuore dell'intreccio assume i connotati del nemico da distruggere agli occhi del protagonista Rosario. Il quale nella seconda parte del film, assume espressioni sempre più tese, sofferenti, cariche letteralmente di odio. In questo senso, se una prima lettura ha a che fare con la logica della fuga a tutti i costi, una seconda rimanda direttamente al personaggio più celebre che Toni Servillo ha interpretato, Titta De Girolamo ne Le conseguenze dell'amore: se Gorbaciof infatti sembra essere troppo fedele alla parabola autodistruttiva del protagonista del film di Paolo Sorrentino, senza però possederne l'anima più profonda, Rosario sembra chiudere un percorso ideale che permette a Titta De Girolamo di sopravvivere ancora, pagando un prezzo altissimo certo (abbandonando moglie e figlio e ricominciando da zero come un qualsiasi extracomunitario appena arrivato in Germania) ma avendo salva la vita. La paura di morire vince su tutto: anche nei confronti dell'amore per i figli. E qui subentra una terza possibile lettura del film: una parabola che parla di padri che uccidono i figli, di una storia in cui si mette in scena la storia di Edipo che viene ucciso da Laio, la storia di un padre che uccide il proprio figlio, la storia di una generazione, quella dei nostri padri, che ha fagocitato la nostra. Il film allora, volando con la fantasia, potrebbe essere letto come una grande metafora dello smarrimento, di cui si fa tanto parlare, dei "giovani d'oggi" (sui "giovani d'oggi ci scatarro sopra" cantavano gli Afterhours) bloccati da dei padri che non riescono ad abbandonare i loro posti di potere, ed un futuro denso di incertezze, dove il precariato non è altro che l'altra faccia della flessibilità (una flessibilità esistenziale, fatta di duro lavoro, grande umiltà e desiderio di ricominciare che Diego, dopo l'uccisione di Edoardo, dimostra di non possedere in alcun modo!).
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quieromirar
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sabato 25 dicembre 2010
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straniero in ogni patria
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La prima inquadratura di “Una vita tranquilla” è un tronco d’albero in un paesaggio notturno che comunica immobilità, sospensione nel tempo, ma subito dopo il protagonista uccide un cinghiale. Fin dalle battute iniziali prendono corpo le dinamiche lungo le quali si snoderà il racconto: la stasi (che è presunta, illusoria) e la caccia, l’inseguimento di qualcosa in cui bisogna scommettere tutto. Tutti nel film inseguono qualcosa: Rosario (un Toni Servillo che si consacra al ruolo lavorando, come di consueto, sui dettagli, sugli sguardi, sulle sensazioni) difende lo status quo faticosamente raggiunto, la moglie (una Juliane Kohler che buca lo schermo per la sua capacità di dissimulare a fatica la pena di vivere sotto un’apparente sicurezza) cerca un legame stabile con il marito, Diego ed Edoardo (Marco d’Amore e Francesco Di Leva) mirano a compiere la loro missione criminale, ma incappano l’uno nel passato, l’altro nei propri istinti.
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La prima inquadratura di “Una vita tranquilla” è un tronco d’albero in un paesaggio notturno che comunica immobilità, sospensione nel tempo, ma subito dopo il protagonista uccide un cinghiale. Fin dalle battute iniziali prendono corpo le dinamiche lungo le quali si snoderà il racconto: la stasi (che è presunta, illusoria) e la caccia, l’inseguimento di qualcosa in cui bisogna scommettere tutto. Tutti nel film inseguono qualcosa: Rosario (un Toni Servillo che si consacra al ruolo lavorando, come di consueto, sui dettagli, sugli sguardi, sulle sensazioni) difende lo status quo faticosamente raggiunto, la moglie (una Juliane Kohler che buca lo schermo per la sua capacità di dissimulare a fatica la pena di vivere sotto un’apparente sicurezza) cerca un legame stabile con il marito, Diego ed Edoardo (Marco d’Amore e Francesco Di Leva) mirano a compiere la loro missione criminale, ma incappano l’uno nel passato, l’altro nei propri istinti. Il personaggio principale assolutizza la sua condizione di straniero: non è solo un italiano trapiantato in Germania, è un uomo che sfugge sistematicamente a ogni categoria: il marito fedele, il padre presente, l’uomo legato a un’etica riconoscibile sono altrettante maschere che s’incrinano inesorabilmente. “Una vita tranquilla” è una storia di cose che si sfaldano, crollano su se stesse, suscitando uno spaesamento senza riscatto. Nel senso di fragilità che attanaglia tutto, i cortocircuiti emotivi risultano una conseguenza di partite irrisolte giocate con gli anni perduti: Diego non riesce a uccidere la vittima designata quando è scoperto dal padre, perché si riscopre per un attimo il bambino su cui incombe il super-io, quella presenza genitoriale che avrebbe potuto scrivere una storia diversa per entrambi. Quando Diego porta il figlio di Rosario in piscina e lo usa poi come strumento di ricatto, vuole ricordargli che gli ha rubato un’infanzia normale e vuole fargli provare, in una sorta di contrappasso, la perdita di sé che avviene quando si crede di poter fare a meno dell’altro. L’uccisione di Edoardo vorrebbe esorcizzare la scoperta della sua identità, ma è anche un tentativo fallito di uccidere la consapevolezza del figlio dimenticato. L’assedio nei confronti del padre è innanzitutto psicologico: l’esasperazione degli stereotipi sul delinquente meridionale in Francesco Di Leva gli ricorda a ogni passo ciò che ha cercato in ogni modo di sconfessare, così come la disturbante somiglianza di Marco d’Amore con Saviano enfatizza per il pubblico il suo ruolo di testimone scomodo. E quando, in una sorta di eterno ritorno, tutto ricomincia all’insegna della morte e dell’abbandono e Rosario fugge per costruire un altro castello di menzogne altrettanto debole, sembra di sentire per un attimo il lamento di Antigone per la quale “non c’è posto, né tra i vivi né tra i morti”.
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gildo
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martedì 31 maggio 2011
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un grande attore
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Giù il cappello: questo è un artista con i fiocchi. Toni Servillo potrebbe fare un film da solo senza neanche parlare. Molto intensa anche l'interpretazione di Marco D'Amore. La storia ci parla del dramma di un uomo che fugge dal proprio destino senza riuscire a evitarlo. Alla fine si rimane con l'amaro in bocca e con la convinzione che il passato non si può cancellare con un semplice colpo di spugna.
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