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hidalgo
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lunedì 28 febbraio 2011
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buono solo nelle intenzioni
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Un argomento delicato e difficile quello scelto da John Cameron Mitchell per il suo nuovo film. Il dramma famigliare di una agiata coppia di coniugi che da otto mesi cerca di convivere con il terribile dolore dovuto alla tragica scomparsa del loro unico figlio di quattro anni, investito da un'auto mentre correva dietro al suo cane. Convivere con il dolore, senza riuscire o, come nel caso della madre, senza nemmeno provare veramente a superarlo. Ci riuscirà in parte, molto in parte, in un secondo momento, quando deciderà di allacciare un doloroso ma sincero rapporto con il giovane che guidava la macchina che investì suo figlio. Nicole Kidman, resa quasi irriconoscibile dalla troppa chirurgia estetica, è la protagonista di questo dramma, buono nelle intenzioni ma tutt'altro che eccelso nella realizzazione.
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Un argomento delicato e difficile quello scelto da John Cameron Mitchell per il suo nuovo film. Il dramma famigliare di una agiata coppia di coniugi che da otto mesi cerca di convivere con il terribile dolore dovuto alla tragica scomparsa del loro unico figlio di quattro anni, investito da un'auto mentre correva dietro al suo cane. Convivere con il dolore, senza riuscire o, come nel caso della madre, senza nemmeno provare veramente a superarlo. Ci riuscirà in parte, molto in parte, in un secondo momento, quando deciderà di allacciare un doloroso ma sincero rapporto con il giovane che guidava la macchina che investì suo figlio. Nicole Kidman, resa quasi irriconoscibile dalla troppa chirurgia estetica, è la protagonista di questo dramma, buono nelle intenzioni ma tutt'altro che eccelso nella realizzazione. Il regista si lascia andare alla retorica più spicciola e scontata, tappando i buchi in fase di sceneggiatura con le solite frasi contro la natura di Dio, definito testualmente dalla Kidman "un sadico bastardo". Sempre lei, accusa il marito di cercare delle scuse per indurla a fare sesso, litiga con la madre che piange la morte del figlio, nonchè suo fratello, accusandola di fare paragoni insensati con la morte del suo piccolo Danny. In una delle scene più forzate del film, ammolla una cinquina ad una madre che prima si rifiuta di comprare una merendina al figlio, e poi butta lì la frase della discordia: "si vede che lei non ha figli." Infine, dopo aver letto il Rabbit Hole, fumetto scritto dal ragazzo che causò la morte del figlio, spera di trovare una parvenza di felicità in un fantomatico universo parallelo. Nel frattempo, il marito ha una piccola sbandata per una donna conosciuta durante le sedute di gruppo riservate a gente che ha subito il suo (loro) stesso dramma. Tutto bello, ma tutto già visto e rivisto in tutte le salse. Niente di nuovo, niente di originale in un film appena decente, che non coinvolge fino in fondo, anche a causa di alcune situazioni poco credibili (vedi scena del supermercato) e dei dialoghi scontati e risaputi e privi di quella realistica profondità necessaria per la buona riuscita di un film del genere.
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stefano pariani
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domenica 20 febbraio 2011
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nella tana del coniglio si torna (forse) a vivere
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Dopo i personalissimi percorsi intrapresi con "Hedwig - La diva con qualcosa in più" e "Shortbus", John Cameron Mitchell torna al cinema con una storia più "tradizionale" e priva delle geniali e umanissime provocazioni dei lavori precedenti. Il materiale è sempre profondo e scava nelle coscienze e nell'intimità dei personaggi. Qui si parla dell'elaborazione del lutto da parte di una coppia, Rebecca (Nicole Kidman) e Howie (Aaron Heckart), che ha perso il figlio travolto da un'auto. Si osserva da vicino la quotidianità dei due coniugi, la loro casa, le loro abitudini, la vita che va avanti nonostante tutto e forse senza senso.
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Dopo i personalissimi percorsi intrapresi con "Hedwig - La diva con qualcosa in più" e "Shortbus", John Cameron Mitchell torna al cinema con una storia più "tradizionale" e priva delle geniali e umanissime provocazioni dei lavori precedenti. Il materiale è sempre profondo e scava nelle coscienze e nell'intimità dei personaggi. Qui si parla dell'elaborazione del lutto da parte di una coppia, Rebecca (Nicole Kidman) e Howie (Aaron Heckart), che ha perso il figlio travolto da un'auto. Si osserva da vicino la quotidianità dei due coniugi, la loro casa, le loro abitudini, la vita che va avanti nonostante tutto e forse senza senso. Perchè ciò che i due fanno nell'arco della giornata va solo a colmare un vuoto: il lavoro di lui, i rapporti con madre e sorella di lei, le uscite, gli incontri col gruppo dei genitori di figli prematuramente scomparsi, tutto pare procedere meccanicamente, come se niente fosse successo. Howie sembra il più forte, ma segretamente continua a guardare i video del figlioletto, mentre Rebecca è dei due quella più inquieta e insofferente. Lo è nei confronti degli incontri serali coi genitori, con la sorella incinta, col marito che vorrebbe avere con lei anche una vita sessuale. Rebecca segue tutti i giorni uno scuola-bus, osserva dalla sua macchina un ragazzo che scende da quel bus alla solita fermata in un tranquillo e alberato quartiere. Quel ragazzo, dall'aspetto bonario e normalissimo, era alla guida della macchina che le ha investito il figlio, passando un giorno lungo il viale davanti casa sua. Non era ubriaco e non stava nemmeno sfrecciando ad alta velocità; si è trattato di un incidente ineviabile. Rebecca comincia ad incontrare il ragazzo, gli fa domande e soprattutto lo ascolta, nei pomeriggi in cui s'incontrano al parco seduti su una panchina. Non ci sono scontri tra i due. Lui le parla, spiega con rispetto e pudore come sono andate le cose e le mostra un quaderno di fumetti disegnati da lui su una strana storia che ha a che fare con un'altra dimensione, ultraterrena. Il volto di Rebecca si rasserena in quei pomeriggi e quasi s'illumina quando sta con il giovane. Rimane una sensazione di sospeso in quei momenti, di non spiegato, come sospeso è il finale del film, con quella (presunta) ripresa di vita della coppia che riparte dalle piccole cose di sempre. Ma che forse rimane solo un'ipotesi. L'impianto teatrale (il film è tratto una pièce premio Pulitzer di David Lindsay-Abaire) c'è e si sente, ma viene trasposto piuttosto bene in cinema, i dialoghi sono ben scritti e senza sbavature e i protagonisti funzionano. Soprattutto Nicole Kidman, che finalmente torna con un ruolo sofferto e interiorizzato. La trama non scivola mai nelle lacrime, ma non è del tutto nuova; tornano alla mente altri film, su tutti "In the bedroom" di Todd Field, che aveva decisamente una marcia in più.
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nicole64
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sabato 19 febbraio 2011
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kidman da oscar? sì ma anche il resto del film.
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Se Natalie Portman quest'anno vincerà l'oscar è perché forse ha dato prova che nel film deve fare anche uno sforzo fisico oltre ad uno sforzo pscologico. Nicole Kidman in Rabbit hole è semplice, brava e bella (il labbrone a canotto quasi non lo noto più) e in più riesce a dare emozioni e un interpretazione straordinaria senza troppe sfaccettature. Il film tra l'altro non è noioso, anzi le scene che ci propone non sono nemmeno lunghe e poi il resto del cast è perfetto e non troppo banale.
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lukemisonofattotuopadre
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sabato 19 febbraio 2011
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impalpabile
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Potrei dividere il film in due parti. La prima, che dura circa mezz'ora, è leggermente sconcertante. Sappiamo che è morto l'unico figlio di questa coppia, ma il dolore per la perdita è piuttosto incarcerato negli animi dei due, e non esplicitato. Presumo che il regista abbia cercato di alleggerire l'atmosfera per evtare pasticci sentimentali e intollerabili alla Anircristo di Lars von Trier, ma esagere da parte opposta. A tratti è addirittura comico.
La seconda parte è migliore. L'atmosfera è più consona, il grottesco è limitato, e la Kidman può esplicitare il suo dolore, e lo fa molto bene, anche se io non la perdonerò mai per quello che si è fatta in viso.
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Potrei dividere il film in due parti. La prima, che dura circa mezz'ora, è leggermente sconcertante. Sappiamo che è morto l'unico figlio di questa coppia, ma il dolore per la perdita è piuttosto incarcerato negli animi dei due, e non esplicitato. Presumo che il regista abbia cercato di alleggerire l'atmosfera per evtare pasticci sentimentali e intollerabili alla Anircristo di Lars von Trier, ma esagere da parte opposta. A tratti è addirittura comico.
La seconda parte è migliore. L'atmosfera è più consona, il grottesco è limitato, e la Kidman può esplicitare il suo dolore, e lo fa molto bene, anche se io non la perdonerò mai per quello che si è fatta in viso. Eckhart è un signor attore, e la sua interpretazione lo dimostra. Il suo personaggio sembra aver elaborato il lutto molto meglio della moglie, ma quando vede il ragazzo, incolpevole assassino di suo figlio, si scopre come la sua flemma fosse prevedibile finzione, e quindi è la Kidman la più forte, perché proprio lei ha affrontato il passato. Contro il film però opera la trama, trattata in maniera impalpabilmente originale, la maledetta stampa che ha svelato troppo, e per cui non so dire se la scelta di non rivelare fino ad un certo punto la ragione del lutto abbia pagato o meno (anche se penso che avrebbe), e senza dubbio, un finale troppo brusco o aperto. Dubito che vedremo premi arrivare per questo film, visto che nemmeno il premio Oscar Nicole Kidman è poi tanto Oscar.
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club dei cuori solitari
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sabato 19 febbraio 2011
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la tana del coniglio
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Rabbit Hole è l'elaborazione del lutto, pura e semplice. È un film che non dissimula la sua origine teatrale, girando attorno a due attori, ai loro dialoghi, ai loro corpi. Ricorda un altro grande dramma familiare: Revolutionary Road, ma qui non c'è una crisi amorosa, c'è un dolore intimo, incancellabile, che piega intorno a sé le vite di chi lo porta dentro.
Come si reagisce a certe cose? Come si superano certi punti nelle nostre esistenze, che sembrano insormontabili?
Nessun film o nessuna opera potrà mai dircelo, ma John Cameron Mitchell prova a mostrarci una via di uscita, prova a dirci che c'è una strada.
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Rabbit Hole è l'elaborazione del lutto, pura e semplice. È un film che non dissimula la sua origine teatrale, girando attorno a due attori, ai loro dialoghi, ai loro corpi. Ricorda un altro grande dramma familiare: Revolutionary Road, ma qui non c'è una crisi amorosa, c'è un dolore intimo, incancellabile, che piega intorno a sé le vite di chi lo porta dentro.
Come si reagisce a certe cose? Come si superano certi punti nelle nostre esistenze, che sembrano insormontabili?
Nessun film o nessuna opera potrà mai dircelo, ma John Cameron Mitchell prova a mostrarci una via di uscita, prova a dirci che c'è una strada. Si tratta di un percorso lungo e doloroso, un inferno che ci mette alla prova, e anche dopo tutta quella fatica, il risultato è che quel dolore è ancora lì. Però diverso, sopportabile, quasi confortante. Non è un percorso facile per una persona, tantomeno il narrarlo per un film. Ma una musica buona, una fotografia rigorosa, e una regia semplice si mettono pazientemente ad osservare quello che succede. L'acqua è piuttosto alta nel punto in cui siamo, e bisogna lottare, e lottare ancora per non affogare. E poi solo insieme ce la si può fare, solamente con l'amore. Sembra una banalità, ma tutte le banalità sono vere. Qualsiasi cosa va bene per aiutarsi, per uscirne, nessuna è sbagliata, nessuna è giusta. Lentamente si torna a vedere qualcosa che non sia tenebra, si muovono incerti passi in una zona battuta da raggi di sole, si supera l'ostacolo della propria paura. Ci si guarda attorno e si scopre di essere ancora vivi. Tutto il resto viene dopo, per il momento si respira, ci si ferma un attimo a non pensare, a non morire. Questo film è molto, molto rischioso, perché si propone di provare a raccontare la vita.
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dario carta
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venerdì 18 febbraio 2011
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la tana profonda della rassegnazione
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Spesso il cinema è incline a mostrare l'aspetto più marcato dei segni caratteriali dei protagonisti che muovono la scena del racconto,evidenziando i tratti interiori che,come i lineamenti somatici,definiscono i protagonisti nella loro essenza di anime dell'ordito narrativo.
L'accortezza direttiva permette a volte un disegno più accurato delle loro componenti morali,conferendo al racconto un respiro più ampio ed una lettura più critica e raffinata dei personaggi che lo animano.
John Cameron Mitchell si concede questo lusso,sganciandosi dalla sua firma d'autore di pellicole di guizzo ("Shortbus", "Edwig,la diva con qualcosa in più") e visita le regioni del cuore in un viaggio nelle emozioni più profonde e nel dolore che ghermisce l'uomo senza fornire altre spiegazioni che l'arida realtà che si affaccia sull'esistenza.
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Spesso il cinema è incline a mostrare l'aspetto più marcato dei segni caratteriali dei protagonisti che muovono la scena del racconto,evidenziando i tratti interiori che,come i lineamenti somatici,definiscono i protagonisti nella loro essenza di anime dell'ordito narrativo.
L'accortezza direttiva permette a volte un disegno più accurato delle loro componenti morali,conferendo al racconto un respiro più ampio ed una lettura più critica e raffinata dei personaggi che lo animano.
John Cameron Mitchell si concede questo lusso,sganciandosi dalla sua firma d'autore di pellicole di guizzo ("Shortbus", "Edwig,la diva con qualcosa in più") e visita le regioni del cuore in un viaggio nelle emozioni più profonde e nel dolore che ghermisce l'uomo senza fornire altre spiegazioni che l'arida realtà che si affaccia sull'esistenza.
Dribblando i fascinosi canoni del melodramma,Mitchell scarta le regole del cinema affltto dal languore di genere,esplorando le forze di una pena senza soluzione emotiva di due coniugi colpiti dal male della perdita del loro figliolo. In un contesto lontano dalla polvere dei tendoni di Hollywood,"Rabbit Hole" è la storia di uno sconforto infinito,delle sue laceranti conseguenze nelle viscere di un padre e una madre sopravvissuti al figlio e delle risposte ad un'esistenza il cui significato sfugge ad ogni senso di umana comprensione.
Becca (Nicole Kidman) e Howie (Aaron Eckhart),rimasti soli dopo la tragica fine del loro piccolo,vivono le loro giornate in una condizione cristallizzata da uno stupore oscuro che li conduce a cercare di emergere dalla loro sofferenza con il ricorso a fittizie soluzioni sociali,indigenti mezzi compulsivi,trovandosi separati sul fronte di una reazione al dolore che li vede,anzichè uniti,divisi ed avviati su strade divergenti.
Howie segue il tradizionale canale della terapia di gruppo,trovando nella comunicazione il fallace miraggio di un conforto mai raggiunto.
Becca,donna pragmatica e concreta,erige le proprie difese conformando il proprio rifiuto ad un dinamismo esistenziale tanto artificioso quanto simulato,che la spinge a relazionarsi con la madre e la sorella,con le quali divide gli elementi artefatti di una condizione che non accomuna nessuna delle tre donne.
L'affanno che le deriva dalla fuga dalla solitudine la porterà a contattare Jason (Miles Teller),il ragazzo responsabile della morte del figlio,creando un rapporto sotteso fra curiosità e dolore.
Intanto il marito condivide la sua pena in una pericolosa confidenza con una giovane mamma del gruppo (Sandra Oh),anch'essa vittima di una simile tragedia.
Mitchell dirige "Rabbit Hole" su una sceneggiatura di David Linday-Abaire,un Pulitzer del 2005,dando corpo ad un dramma umano complesso e toccante.
Con delicatezza e mistero il regista sfiora le corde di un'emozione insondabile,scavalcando le apologie del dolore e i facili compromessi con il cinema delle lacrime.
Non solo racconto di una coppia in crisi,in "Rabbit Hole" il regista tesse con cauta discrezione i ricami interiori dei due protagonisti,gettando luci ed ombre,dramma e umorismo in un complesso filmico di grande spessore ed innegabile valenza.
L'accento è posto sul contradditorio equilibrio che si forma nella famiglia ferita,nei movimenti delle due figure dello stesso nucleo nelle quali si innescano i processi di difesa e ricerca di uno spiraglio per fuggire dalla condizione di pena cui la vita non concede spiegazione.
Il lavoro di Mitchell conserva l'anima della pièce originale,umanizzandone il contesto in performancès di eccellente statura professionale e locations fortemente evocative dell'ambiente che accoglie la storia,schiudendo in un moto di pulsioni ed effetti la risposta ad un'accettazione coatta che si dispiega nei gesti interiori e nelle contraddizioni che si agitano in due anime nelle quali si incarna il paradigma umano del dolore e della contraddizione,nell'eterno atto del divenire e della ricerca delle soluzioni ai segreti della natura umana
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[+] stupenda la kidman
(di blackcat)
[ - ] stupenda la kidman
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sarettajan
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venerdì 18 febbraio 2011
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la convivenza quotidiana con il dolore
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Il primo merito del film è che ha il coraggio di affrontare un tema estremamente delicato come la morte di un figlio; non affronta la vicenda nel momento tragico dell'accaduto bensì 8 mesi dopo l'incidente che ha causato la morte del figlio dei protagonisti della storia, Becca (Nicole Kidman) e Howie (Aaron Eckart); questa distanza temporale permette al regista di evitare quella drammaticità, quel pathos strappalacrime che tanto piace a noi italiani e che fa si che proprio in Italia il film non venga molto apprezzato; ad eccezione di alcune scene infatti il dolore vissuto da Becca e Howie è un dolore sommesso, espresso nei silenzi come ad esempio nel momento in cui Becca scopre il marito a guardare i video del figlio durante la notte ma non fa né dice niente per consolarlo o comunque per condividere quell'angoscia insieme a lui oppure quando Howie si accorge che la moglie ha tolto i disegni del bimbo dal frigorifero nel suo disperato tentativo di cancellarne ogni traccia ma, nonostante ne sia ferito, non le dice; entrambi stanno elaborando un lutto che ha scavato un vuoto profondo tra loro, un lutto che sembra allontanarli, che fa sì che si mentano a vicenda e che forse li porterà alla separazione, a quella che Gaby, amica fortuita e per poco non amante di lui, pensa essere un'inevitabile conclusione.
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Il primo merito del film è che ha il coraggio di affrontare un tema estremamente delicato come la morte di un figlio; non affronta la vicenda nel momento tragico dell'accaduto bensì 8 mesi dopo l'incidente che ha causato la morte del figlio dei protagonisti della storia, Becca (Nicole Kidman) e Howie (Aaron Eckart); questa distanza temporale permette al regista di evitare quella drammaticità, quel pathos strappalacrime che tanto piace a noi italiani e che fa si che proprio in Italia il film non venga molto apprezzato; ad eccezione di alcune scene infatti il dolore vissuto da Becca e Howie è un dolore sommesso, espresso nei silenzi come ad esempio nel momento in cui Becca scopre il marito a guardare i video del figlio durante la notte ma non fa né dice niente per consolarlo o comunque per condividere quell'angoscia insieme a lui oppure quando Howie si accorge che la moglie ha tolto i disegni del bimbo dal frigorifero nel suo disperato tentativo di cancellarne ogni traccia ma, nonostante ne sia ferito, non le dice; entrambi stanno elaborando un lutto che ha scavato un vuoto profondo tra loro, un lutto che sembra allontanarli, che fa sì che si mentano a vicenda e che forse li porterà alla separazione, a quella che Gaby, amica fortuita e per poco non amante di lui, pensa essere un'inevitabile conclusione. Il tono sommesso del film, che serve a rappresentare la lentezza di un processo di guarigione interminabile, non impedisce però l'insinuarsi di momenti di forte dramma, momenti in cui il tormento interiore esplode con rabbia, vedi quando Howie si impone per il ritorno a casa del cane, complice involontario della morte del bimbo, o quando Becca, che dei due è quella che appare più gelida e distante, in un momento di folle nevrosi colpisce una donna che in un supermercato non voleva acquistare delle merendine per suo figlio. Il regista sa perfettamente gestire questa alternanza di dolore inespresso e collera furiosamente esternata e anche gli attori, nonostante il mio giudizio personale non sia del tutto positivo, risultano convincenti; in particolar modo Aaron Eckart, sul quale non avevo grandi aspettative, mi ha sorpreso per la capacità di esprimere la profonda frustrazione di uomo che ama sua moglie e vuole credere ancora nel suo matrimonio, ma nello stesso tempo è debole e insicuro dinanzi al muro eretto dalla moglie; la Kidman è perfetta nell'esprimere distacco e imperturbabilità, come nelle scene in cui quasi ossessivamente è intenta a cucinare o a fare giardinaggio, ma forse meno esemplare nelle scene più toccanti che non riescono, a mio avviso, a coinvolgere e commuovere veramente. Come sempre meravigliosa Dianne Wiest nei panni dell'amorevole madre che in tutti i modi tenta di aiutare la figlia Becca con la quale tra l'altro condivide la medesima disgrazia della perdita di un figlio, concetto questo che forse poteva essere meglio approfondito; il tema della morte del fratello di Becca viene infatti preso in considerazione solo come motivo di scontro tra Becca e sua madre ma non si fa cenno per nulla al rapporto tra la stessa Becca e il fratello morto e a quanto questa perdita possa aver pesato sulla sua vita. Altro argomento che a mio parere poteva essere approfondito ulteriormente è il rapporto tra Becca e il ragazzo responsabile accidentalmente della morte del figlio di lei (Miles Teller); non sono infatti sviscerate a pieno le ragioni che spingono Becca a cercarlo quasi morbosamente anche se possiamo immaginare che per lei rappresenti una sorta di ultimo legame con il figlio scomparso. Sembra lui l'unico a dare conforto alla donna con le loro molto significative e a volte tenere conversazioni in cui emerge il tema romantico degli universi paralleli che permette a Becca di sognare altri luoghi in cui lei può condurre una vita migliore. Bellissimo dal mio punto di vista il concetto della tana del coniglio, dal quale il film prende il titolo, come accesso a quei molteplici universi. E' qui che, secondo la mia opinione, il regista riesce a non essere scontato: in un film infatti la cui trama esclude a priori un quasivoglia happy end ma anche un' eventuale risoluzione definitiva (una separazione decisiva o un altrettanto decisiva riappacificazione) l'unica soluzione reale per i protagonisti è quella di trovare consolazione nell'immaginazione, credere in altre possibilità e alternative, e trovare in quelle la voglia di andare avanti, proprio come accade a Becca che nell'ultima parte del film ritrova un minimo di speranza nel futuro, rappresentata dai continui interrogativi sottoposti al marito "e dopo, e dopo ancora?" come se volesse accertarsi che un futuro per loro, seppur incognito e a volte insopportabile, in fondo ci sia. E il film ci lascia così, com'è giusto che sia, con un'incognita su come convivranno tutti i giorni della loro vita con quel dolore che neanche il tempo riuscirà a risanare mai.
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[+] film un pò lento....la kidman non convince.
(di il sindaco)
[ - ] film un pò lento....la kidman non convince.
[+] film chiuso e statico
(di rapanui)
[ - ] film chiuso e statico
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smorfioso
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giovedì 17 febbraio 2011
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rabbit hole..." non è il miglior film del 2010 "
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Rabbit hole è un film che emotivamente il pubblico non vuole vedere..perchè rassegnato..e non superato!!
il pubblico vuole soluzione non interrogativi!! gli interrogati, non se lo può permettere questo film drammatico..ma è frutto di un altro genere..ossia il thriller!!
la kidman verrà mangiata in un boccone dalla portman nel cigno nero..la scena del pianto è puro realismo è puro dramma..è un film vero..e un amore che spezza l'incantesimo di un'adolescenza mai finita.
La stanza del figlio di moretti..pluri premiato, sa raccontare il dolore,la routine spezzata..ma si ritorna nell'ordinario e nel vissuto.
in conclusione, rabbit hole per me è "NI"..verrà presto dimenticato.
sarò stato troppo cinico nel descrivere ciò, ma l'unica cosa che mi ricorderò saranno le imperfezione fisiche e decisamente mal "ristruttarate dal chirurgo plastico" della kidman.
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Rabbit hole è un film che emotivamente il pubblico non vuole vedere..perchè rassegnato..e non superato!!
il pubblico vuole soluzione non interrogativi!! gli interrogati, non se lo può permettere questo film drammatico..ma è frutto di un altro genere..ossia il thriller!!
la kidman verrà mangiata in un boccone dalla portman nel cigno nero..la scena del pianto è puro realismo è puro dramma..è un film vero..e un amore che spezza l'incantesimo di un'adolescenza mai finita.
La stanza del figlio di moretti..pluri premiato, sa raccontare il dolore,la routine spezzata..ma si ritorna nell'ordinario e nel vissuto.
in conclusione, rabbit hole per me è "NI"..verrà presto dimenticato.
sarò stato troppo cinico nel descrivere ciò, ma l'unica cosa che mi ricorderò saranno le imperfezione fisiche e decisamente mal "ristruttarate dal chirurgo plastico" della kidman.
grazie
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renato volpone
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giovedì 17 febbraio 2011
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l'elaborazione del lutto
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Il film descrive le emozioni di una coppia alto borghese dopo la morte in un incidente del figlio piccolo. L'argomento è commovente, sicuramente, e il film, toccando diversi possibili svilujppi, non è noioso. Per contro il punto di vista è molto americano, una cultura ancora lontana dalla nostra. I due protagonisti sono molto statici nella loro recitazione, improbabili, quasi falsi, e non bastano due scene di lacrime per descrivere una disperazione così grande, niente in confronto all'intensità rtcitativa di "Biutiful". Meglio i personaggi minori, più credibili e coinvolgenti.
[+] bravi gli attori minori!
(di sarettajan)
[ - ] bravi gli attori minori!
[+] rettifica:)
(di sarettajan)
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manu^^
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mercoledì 16 febbraio 2011
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difficile.
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Un modo per superare... bisogna trovarlo...
Film molto commovente.
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