Rabbit Hole |
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Un film di John Cameron Mitchell.
Con Nicole Kidman, Aaron Eckhart, Dianne Wiest, Tammy Blanchard, Miles Teller.
continua»
Drammatico,
durata 90 min.
- USA 2010.
- Videa
uscita venerdì 11 febbraio 2011.
MYMONETRO
Rabbit Hole ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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Dopo una perdita, incassare e andare avanti...
di Great StevenFeedback: 70023 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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martedì 19 aprile 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
RABBIT HOLE (USA, 2011) diretto da JOHN CAMERON MITHCELL. Interpretato da NICOLE KIDMAN, AARON ECKHART, DIANNE WEST, GIANCARLO ESPOSITO, MILES TELLER, SANDRA OH, TAMMY BLANCHARD, JON TENNEY
Dopo la morte del figlioletto Danny, di quattro anni, la vita dei coniugi Becca e Howie Corbett è cambiata radicalmente. In peggio: fare il bucato, giocare a squash, preparare le torte, occuparsi di giardinaggio e ascoltare Al Green non dà più la soddisfazione che regalava prima. La donna e l’uomo non riescono ad avere rapporti sessuali, e sono attanagliati da un continuo e apparentemente ineliminabile senso di angoscia e inutilità. La staticità fatale e destabilizzante della loro esistenza, segnata da un dolore che mai potranno dimenticare, è attenuata (e aiutata) dalla vicinanza di famigliari e amici: la sorella di Becca che sta per diventare mamma, la saggia e disincantata madre delle due donne (alle quali è mancato, all’età di trent’anni, un fratello tossicodipendente), l’amica asiatica di Howie (col quale ha un’esperienza ravvicinata col fumo di erba). E Jason, il ragazzo che guidava l’automobile il giorno che Danny giocava in strada col cane. Il ragazzo che l’ha investito guidando ad una velocità spropositata, che inizia un rapporto di avvicinamento con Becca parlando con lei dell’accaduto, conquistandone una timida simpatia e regalandone anche un libro a fumetti da lui stesso disegnato ("The Rabbit Hole", la tana del coniglio, da cui proviene il titolo del film). Alla fine, i coniugi opteranno per vendere la casa, al solo scopo di allontanare dalla loro vita ogni ricordo, immateriale e fisico, del bambino così tragicamente perduto, e discorreranno di un barbecue da allestire in giardino, prima della cessione dell’abitazione, con pochi intimi, ai quali parlare della vita che conducono insieme ai loro spensierati pargoletti. Film profondamente intimista e dunque affidato più ai silenzi e alle cose non dette che a quelle esplicitamente pronunciate (in una qualsivoglia accezione, comunque la si interpreti), ma dotato di una carica emotiva che, pur abbracciando un pessimismo scevro di sentimentalismo, evita di scivolare in smancerie e punta invece al cuore dello spettatore che, malgrado qualche ricatto di troppo, finisce per condividerne l’intima essenza di racconto di formazione. Una formazione che due adulti, ormai distanziatisi da tempo e diretti su binari opposti, sono costretti ad affrontare per elaborare un lutto al quale non sanno arrendersi e del quale non sanno inventarsi alcuna ragione, se mai ci fosse una ragione da inventare per quanto riguarda la perdita irrimediabile di un figlio. A nulla servono i tentativi di Howie di riallacciare almeno il benessere sessuale: un sostituto di Danny non compenserà un vuoto che né il tempo né un’ulteriore gravidanza potranno colmare. Le scene più intense sono quelle in cui la Kidman (candidata all’Oscar come miglior attrice protagonista) ed Eckhart (sempre più confermato e attendibile in ruoli sentimentali) intrallazzano e interagiscono col savoir-faire di due interpreti abituati alle folli scenate e ai cambiamenti d’umore necessari in un amore litigarello ma pur sempre appoggiato su fondamenta robuste, mentre i momenti di poesia vengono raggiunti in almeno due occasioni: l’incontro fra Becca e Jason ai parchi (dove lui le mostra la sua opera artistica, arrivando a svelarle anche l’ispirazione e citando un discorso sugli universi paralleli che, onestamente, si può perdere, in quanto pleonastico) e il contatto introverso fra Howie e la donna che, tra una fumata e l’altra, gli racconta la propria vita amorosa. Qualche ingolfamento verso il finale, indebolito in particolar modo da una tendenza troppo autocompiacente e inefficace per un intimismo troppo introspettivo, il che rallenta il ritmo scorrevole e fluido del film con un eccesso di colonna sonora zoppicante e dissolvenze infruttuose. Ma tutto il resto è calcolato per risultare di ampia appetibilità per un pubblico che abbia voglia di vedere una storia già nota, ma rivisitata con gusto psicoanalitico e senza la ricerca ossessiva di un moralismo, ma bensì di una morale. È anche un’opera che non alimenta false speranze, ma tiene comunque aperto per il futuro uno sguardo che produce e fomenta aspettative più rosee di quel che sembrano. Regia discreta, con un taglio che privilegia le interpretazioni degli attori e ne fa il punto di forza di una pellicola che non ha la pretesa di assurgere a capolavoro, né di raggranellare premi a destra e a manca in vari festival, ma che senza dubbio si pone l’obiettivo (pienamente raggiunto, infatti) di raccontare in modo diverso dal solito il dolore. Quello che può colpire in qualsiasi momento e distruggere programmi pensati e magari messi anche in atto da tempo immemorabile. Funzionale fotografia che lascia poca illuminazione e contribuisce alla finalità sopracitata. Un po’ in disparte G. Esposito, marito della sorella della protagonista, musicista eccentrico che opera di notte: un personaggio che meritava di essere meglio approfondito, e non relegato così tanto nei bassifondi.
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