alexia62
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domenica 19 settembre 2010
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troppi stereotipi
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Solita commedia all'americana romantica,carina e divertente da guardare con le amiche anche solo per il fascino di Bardem.La Robert è sempre la stessa scontata e prevedibile,mentre sono molto belle le fotografie e le locations.
Non mi è piaciuta invece l'immagine che ne esce dell'Italia. Ma che cosa pensano in America che noi non facciamo altro che mangiare,litigare per bere un caffè e oziare? Durante la sua permanenza a Roma viene sottolineato un pò troppo spesso il " dolce far niente",a Napoli panni stesi,pizza e il tifo da bar...non ci sono un pò troppi stereotipi?Mah.....
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luciano46
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domenica 19 settembre 2010
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molto bello
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Ho letto il libro ed ero dubbioso sull'adattamento cinematografico. Ma mi sono ricreduto: mi è piaciuto molto ed anche molto fedele all'originale. La storia è molto coinvolgente specialmente dopo la lettura del libro. Sono tre film in uno. Ottima la Roberts e Bardem
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calebtrask
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domenica 19 settembre 2010
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lasciate ogni speranza, voi che entrate
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Mangia Prega Ama, una delle più grandi delusioni cinematografiche della stagione, dovrebbe essere preso ad esempio negativo da sceneggiatori e registi in erba poiché costituisce una summa di tutti gli errori immaginabili che si possono commettere nella stesura dei dialoghi, nella distribuzione del ritmo narrativo e in ultima analisi nella comunicazione di significato al pubblico. La disarmante banalità delle battute che l’onnipresente protagonista porge non sempre in modo impeccabile – il che solleva gravi riserve anche sull’interpretazione di Julia Roberts, forse convinta di essere in un improbabile ed inauspicato sequel di Runaway Bride- è resa più atroce dalla assenza di momenti introspettivi.
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Mangia Prega Ama, una delle più grandi delusioni cinematografiche della stagione, dovrebbe essere preso ad esempio negativo da sceneggiatori e registi in erba poiché costituisce una summa di tutti gli errori immaginabili che si possono commettere nella stesura dei dialoghi, nella distribuzione del ritmo narrativo e in ultima analisi nella comunicazione di significato al pubblico. La disarmante banalità delle battute che l’onnipresente protagonista porge non sempre in modo impeccabile – il che solleva gravi riserve anche sull’interpretazione di Julia Roberts, forse convinta di essere in un improbabile ed inauspicato sequel di Runaway Bride- è resa più atroce dalla assenza di momenti introspettivi. Benchè le scene siano sovente giustapposte freneticamente all’interno dei tre grandi capitoli corrispondenti alle locations italiana, indiana e balinese, considerando New York come il luogo di un fugace prologo, e si proceda talvolta per ellissi e sottintesi, l’intreccio risulta tutt’altro che dinamico, dilaniato invece da una ferrea tripartizione. La complessità dei temi appare sopraffatta da una forma più consona all’estetica pubblicitaria di cui condivide, purtroppo, anche la profondità. Vorrei citare come emblematico il momento in cui la protagonista, poco dopo aver compreso in una folgorante epiphany (Joyce ci perdoni) di non amare il marito (non più di 75 secondi dell’intera narrazione dedicati a questo non insignificante noto diegetico che anticiperebbe –in votis- il tema del Pray) si reca a teatro e vede recitare il prossimo oggetto della sua affezione (non userei il termine amore): James Franco. La scena, imperdonabile nella sua goffaggine, è dominata dall’insistita inquadratura di lei di cui spiccano i capelli discutibilmente retro-illuminati più adatta ad una pubblicità di shampoo. Qui un dettaglio incongruo, inutile ai fini narrativi, prende il sopravvento sul resto distraendo lo spettatore, come troppo spesso accade nel corso del film. Una delle impressioni più nette, infatti, è il continuo contrasto tra l’intenzione di significato ed il significato realmente veicolato, tra l’attinenza a temi esistenziali di primaria importanza e la spinta centrifuga all’insignificante contingente. Si procede con un’ancor più avvilente rappresentazione del momento del piacere, ossia Eat del titolo: una serie interminabile di luoghi comuni superati forse già dai tempi di Vacanze romane, offensiva per l’audience italiana. Chi ha mai visto un appartamento fatiscente senza acqua calda corrente nel pieno centro di Roma? Chi conosce le femmine più maschiliste di quelle elogiate nel Ventennio che sono ritratte come italiane tipiche? Chi cade in estasi di fronte alla pasta al pomodoro? Quante Dian anni ’70 circolano per le nostre strade? Una parziale consolazione ci giunge dall’analogo trattamento riservato all’India. Persino il doppiaggio della ragazza autoctona incontrata nella guru-teca si sforza con successo di essere stucchevole: volendo forse riproporre la diversità dell’inglese Indian dialect rispetto allo standard americano si ottiene un eloquio impedito, come da dentiera di carnevale pressoché privo di senso. Infine, apoteosi del prevedibile, l’incontro investimento a Bali con Javier Bardem ricalca in tutto l’incontro tra Russell Crowe e Marion Cotillard di A good Year. Da subito s’intuisce il destino lettereccio che legherà i due eroi ed il finale non penso sia mai stato più agognato da un pubblico sopraffatto dalla noia, in lotta con il sonno.
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calebtrask
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domenica 19 settembre 2010
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lasciate ogni speranza, voi che entrate
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Mangia Prega Ama, una delle più grandi delusioni cinematografiche della stagione, dovrebbe essere preso ad esempio negativo da sceneggiatori e registi in erba poiché costituisce una summa di tutti gli errori immaginabili che si possono commettere nella stesura dei dialoghi, nella distribuzione del ritmo narrativo e in ultima analisi nella comunicazione di significato al pubblico. La disarmante banalità delle battute che l’onnipresente protagonista porge non sempre in modo impeccabile – il che solleva gravi riserve anche sull’interpretazione di Julia Roberts, forse convinta di essere in un improbabile ed inauspicato sequel di Runaway Bride- è resa più atroce dalla assenza di momenti introspettivi.
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Mangia Prega Ama, una delle più grandi delusioni cinematografiche della stagione, dovrebbe essere preso ad esempio negativo da sceneggiatori e registi in erba poiché costituisce una summa di tutti gli errori immaginabili che si possono commettere nella stesura dei dialoghi, nella distribuzione del ritmo narrativo e in ultima analisi nella comunicazione di significato al pubblico. La disarmante banalità delle battute che l’onnipresente protagonista porge non sempre in modo impeccabile – il che solleva gravi riserve anche sull’interpretazione di Julia Roberts, forse convinta di essere in un improbabile ed inauspicato sequel di Runaway Bride- è resa più atroce dalla assenza di momenti introspettivi. Benchè le scene siano sovente giustapposte freneticamente all’interno dei tre grandi capitoli corrispondenti alle locations italiana, indiana e balinese, considerando New York come il luogo di un fugace prologo, e si proceda talvolta per ellissi e sottintesi, l’intreccio risulta tutt’altro che dinamico, dilaniato invece da una ferrea tripartizione. La complessità dei temi appare sopraffatta da una forma più consona all’estetica pubblicitaria di cui condivide, purtroppo, anche la profondità. Vorrei citare come emblematico il momento in cui la protagonista, poco dopo aver compreso in una folgorante epiphany (Joyce ci perdoni) di non amare il marito (non più di 75 secondi dell’intera narrazione dedicati a questo non insignificante noto diegetico che anticiperebbe –in votis- il tema del Pray) si reca a teatro e vede recitare il prossimo oggetto della sua affezione (non userei il termine amore): James Franco. La scena, imperdonabile nella sua goffaggine, è dominata dall’insistita inquadratura di lei di cui spiccano i capelli discutibilmente retro-illuminati più adatta ad una pubblicità di shampoo. Qui un dettaglio incongruo, inutile ai fini narrativi, prende il sopravvento sul resto distraendo lo spettatore, come troppo spesso accade nel corso del film. Una delle impressioni più nette, infatti, è il continuo contrasto tra l’intenzione di significato ed il significato realmente veicolato, tra l’attinenza a temi esistenziali di primaria importanza e la spinta centrifuga all’insignificante contingente. Si procede con un’ancor più avvilente rappresentazione del momento del piacere, ossia Eat del titolo: una serie interminabile di luoghi comuni superati forse già dai tempi di Vacanze romane, offensiva per l’audience italiana. Chi ha mai visto un appartamento fatiscente senza acqua calda corrente nel pieno centro di Roma? Chi conosce le femmine più maschiliste di quelle elogiate nel Ventennio che sono ritratte come italiane tipiche? Chi cade in estasi di fronte alla pasta al pomodoro? Quante Dian anni ’70 circolano per le nostre strade? Una parziale consolazione ci giunge dall’analogo trattamento riservato all’India. Persino il doppiaggio della ragazza autoctona incontrata nella guru-teca si sforza con successo di essere stucchevole: volendo forse riproporre la diversità dell’inglese Indian dialect rispetto allo standard americano si ottiene un eloquio impedito, come da dentiera di carnevale pressoché privo di senso. Infine, apoteosi del prevedibile, l’incontro investimento a Bali con Javier Bardem ricalca in tutto l’incontro tra Russell Crowe e Marion Cotillard di A good Year. Da subito s’intuisce il destino lettereccio che legherà i due eroi ed il finale non penso sia mai stato più agognato da un pubblico sopraffatto dalla noia, in lotta con il sonno.
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sabry1406
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domenica 19 settembre 2010
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consigliato: mille volte si!!!!!
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Non sono assolutamente d'accordo con la recensione di Marianna Cappi e con il vostro: Non consigliato.
Nel 2010 siamo ormai abituati a vedere film demenziali come l'attuale Mordimi, oppure le immagini futuristiche di Christopher Nolan in Inception...ma dimenticate che c'è una fetta di pubblico al quale manca il cinema d'altri tempi.
Innanzitutto mi sembra alquanto scorretto e anche un pò stupido non consigliare un film che è stato girato anche nella nostra capitale(solo per questo bisognerebbe andare a vederlo).
Il film elogia non solo la cucina italiana, ma la sua storia, la sua filosofia di vita.
E' quasi una dichiarazione d'amore al nostro stile tutto italiano che evidentemente siamo gli unici ad avere!
Per non parlare poi dei contenuti.
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Non sono assolutamente d'accordo con la recensione di Marianna Cappi e con il vostro: Non consigliato.
Nel 2010 siamo ormai abituati a vedere film demenziali come l'attuale Mordimi, oppure le immagini futuristiche di Christopher Nolan in Inception...ma dimenticate che c'è una fetta di pubblico al quale manca il cinema d'altri tempi.
Innanzitutto mi sembra alquanto scorretto e anche un pò stupido non consigliare un film che è stato girato anche nella nostra capitale(solo per questo bisognerebbe andare a vederlo).
Il film elogia non solo la cucina italiana, ma la sua storia, la sua filosofia di vita.
E' quasi una dichiarazione d'amore al nostro stile tutto italiano che evidentemente siamo gli unici ad avere!
Per non parlare poi dei contenuti...la ricerca dell'equilibrio, della felicità e della pace interiore dopo un percorso tutt'altro che facile.
Vi sembra facile assemblare tutto questo?
Io l'ho consigliato a tutti...ovviamente, a tutti coloro che come me non si accontentano del cinema da distrazione ma del cinema di una volta: quello che fa riflettere, che emoziona, che ti aiuta a riflettere sulla tua vita.
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louise.m
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domenica 19 settembre 2010
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un ritratto di roma tra "nine" e "eat,pray,love"
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O BELLA ITALIA QUANTO SOFFRIR DEVI!
Un po’ per caso, l’altra sera mi è capitato di affittare il sopracitato film di Marshall, ad esser sincera soprattutto attratta, dal cast hollywoodiano di prima scelta: Nicole Kidman, Sophia Loren, Marillon Cotillard, July Dench, Kate Hudson, Penelope Cruz e la comunque talentuosa Fergie, cantante dei Black eyed peas. Ho apprezzato moltissimo questa pellicola, basata su un omonimo musical di Broadway che a sua volta celebra uno dei capolavori di Fellini, “ 8 ½” . La trama, tratta in breve della caduta di un regista italiano Guido Contini, il quale dopo i primi successi prodotti, che lo hanno portato all’apice del successo e dopo invece alcuni lavori di scarso livello, si ritrova davanti a quella che per un artista è la prova più difficile: confermare il proprio talento.
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O BELLA ITALIA QUANTO SOFFRIR DEVI!
Un po’ per caso, l’altra sera mi è capitato di affittare il sopracitato film di Marshall, ad esser sincera soprattutto attratta, dal cast hollywoodiano di prima scelta: Nicole Kidman, Sophia Loren, Marillon Cotillard, July Dench, Kate Hudson, Penelope Cruz e la comunque talentuosa Fergie, cantante dei Black eyed peas. Ho apprezzato moltissimo questa pellicola, basata su un omonimo musical di Broadway che a sua volta celebra uno dei capolavori di Fellini, “ 8 ½” . La trama, tratta in breve della caduta di un regista italiano Guido Contini, il quale dopo i primi successi prodotti, che lo hanno portato all’apice del successo e dopo invece alcuni lavori di scarso livello, si ritrova davanti a quella che per un artista è la prova più difficile: confermare il proprio talento. La sfida è resa ancora più ardua dal fatto che il regista deve cimentarsi in un’impresa molto complicata e, aggiungerei, delicata, cioè quella di raccontare l’ Italia, il suo paese che egli stesso ha reso celebre all’estero come la patria del glamour e del bello. Le riprese stanno per iniziare ed egli si ritrova ancora senza un copione tra le mani, a rendere poi più complicata la sua vita è il difficile rapporto con le “sue” donne: la moglie, l’amante, la musa ispiratrice, l’amica sarta, la madre, la giornalista di Vogue e la prostituta grazie alla quale, da bambino, ha scoperto il sesso, il tutto si svolge tra sogno e follia, in un’atmosfera surreale ma al tempo stesso vera per i sentimenti e lo stress che vivono all’interno dell’animo del protagonista, trasformando, di fronte ai nostri occhi il divo del cinema in un uomo più sensibile e meditativo. “Nine”, essendo un musical in tutto e per tutto, è delicatamente farcito da canzoni e danze briose, alcune di stampo burlésque, altre che invece hanno uno stile glitterato e brillante e tutte vorticosamente alludenti al piacere e al lusso. Leggendo alcune recensioni non ne ho trovata neppure una positiva, tutti i detrattori si scagliano contro gli scarsi incassi per un’opera che è costata 80 milioni di dollari (che a mio dire non sono investiti solo nelle stars da red carpet ma anche nella sceneggiatura e negli sfavillanti costumi) e contro la pazzia di Marshall che ha tentato di confrontarsi con uno dei giganti del cinema nostrano. Infatti i critici più permalosi sono proprio i nostri conterranei convinti che la pellicola cada nel kitsh nella rappresentazione dell’Italia, che aimé all’estero viene dipinta con la solita triade che fa tremare gli intelletti “pizza, pasta e mandolino” (a volte affiancata dalla parola mafia), che, con tutto il rispetto per questi tre simboli però in alcun modo ci può rappresentare a pieno. A mio dire invece il film è divertente, ammetto che non ci troviamo di fronte ad un futuro premio oscar, però è sicuramente piacevole, le musiche molto orecchiabili mettono addosso un gran voglia di ballare, gli attori tutti di grandissimo livello, la fine delicata e per nulla drammatica o amara, introspettivo ma al tempo stesso molto “sparkling” in stile tipicamente americano. “Nine” non offende l’Italia e Roma, anzi ne celebra un periodo d’oro e produttivo, quello degli anni ’60, dello splendore di Via Veneto e dei fasti di Cinecittà, un periodo in cui il mondo invidiava l’italian way of living.
Ieri sera invece mi sono recata al cinema Eden per prendere parte alla visione del nuovo film di Julia Roberts “Mangia, Prega, Ama” diretto da Sean Murphy. In questo caso non voglio dilungarmi sulla trama o sui temi trattati nella pellicola ma più semplicemente vorrei confrontare la Roma sfavillante descritta da Marshall con quella in cui si reca (per mangiare ed emozionarsi) la scrittrice interpretata dall’attrice più pagata al mondo. Il regista, in questo secondo caso, si basa su luoghi comuni e immagini stereotipate, dipinge la nostra capitale come una città bigotta, ferma nel passato in maniera irreale e quasi offensiva. Anzitutto la Roberts affitta un delizioso appartamentino (con terrazza mozzafiato) da una vecchia siciliana, che ovviamente si esprime in dialetto ed è l’emblema più calzante della mentalità provinciale. La donna poi mostra all’ americana la vasca da bagno rotta e le insegna come adoperarla per lavare “solo le parti più importanti”. Poi interessante è l’incontro con la guida turistica (interpretata da Luca Argentero) che le insegna a parlare con le mani e ad essere una vera romana dilettandosi nel dolce far niente, attività in cui, a loro dire, saremmo degli esperti, degli specialisti. Le banali inquadrature da cartolina poi fanno da sfondo ad immagini che vorrebbero sembrare pittoresche ma non sono affatto originali, anzi ricordano quelle dei film del dopoguerra: una vecchia vestita da contadinotta che va a prendere l’acqua ad un nasone (come se in Italia non fossimo forniti di impianti idraulici e tra l’altro l’idraulica era una delle specialità degli antichi romani), le auto d’epoca, le cinquecento e i maggioloni, che secondo Murphy riempiono ancora le nostre anguste strade etc. Le due scene che però mi hanno lasciato maggiormente perplessa sono le seguenti: la prima è quella in cui Argentero porta la protagonista a vedere la partita della Roma, mostrandole “la tipica domenica italiana descritta dalle due C, Chiesa e Calcio” , (quando ho sentito pronunciare questa frase mi sono venuti i brividi). Per non parlare poi dell’incontro con Ruffina, ovvero con la madre delle guida turistica che mal sopporta la Roberts perché “una donna non è un uomo e non dovrebbe girare il mondo, dovrebbe strare a casa con la sua famiglia”. La pellicola che nel complesso ho trovato piacevole e ricca di spunti di riflessione però mi ha dato per l’ennesima volta la spiacevole conferma di quanto appaia bizzarro e farsesco il mio paese agli occhi del mondo e adesso sarei curiosa di leggere cosa scriveranno quei giornalisti che giudicavano offensivo “Nine” a proposito di “Eat, Pray, Love” .
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assunta1980
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domenica 19 settembre 2010
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un film che non rappresenta l'italia
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Il film è lento, lentissimo nonchè più che scontato. Se per superare la crisi una donna deve concedersi 1 anno di pausa in giro per il mondo non trovo che questa sia una soluzione vicina e concreta alle possibilità che ognuna di noi può avere per superare un problema vero. Non ho letto il libro - e non credo di leggerlo visto che ormai ho visto il film che tratta il tema con estrema superficialità e banalità - e non so se l'Italia venga rappresentata nel romanzo in modo adeguato: posso però esprimere il mio giudizio sulla pellicola dove viene rappresentato solo una parte del territorio italiano (tralasciando la Toscana il cui paesaggio viene invece mostrato in una scena ma dove non si capisce se siamo nei dintorni di Roma o in quale altra regione italiana, quindi ne viene sfruttata la potenzialità attrattiva della Toscana senza menzionarla) e dove si promuove solo un'immagine dell'Italia rappresentata da Roma capitale.
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Il film è lento, lentissimo nonchè più che scontato. Se per superare la crisi una donna deve concedersi 1 anno di pausa in giro per il mondo non trovo che questa sia una soluzione vicina e concreta alle possibilità che ognuna di noi può avere per superare un problema vero. Non ho letto il libro - e non credo di leggerlo visto che ormai ho visto il film che tratta il tema con estrema superficialità e banalità - e non so se l'Italia venga rappresentata nel romanzo in modo adeguato: posso però esprimere il mio giudizio sulla pellicola dove viene rappresentato solo una parte del territorio italiano (tralasciando la Toscana il cui paesaggio viene invece mostrato in una scena ma dove non si capisce se siamo nei dintorni di Roma o in quale altra regione italiana, quindi ne viene sfruttata la potenzialità attrattiva della Toscana senza menzionarla) e dove si promuove solo un'immagine dell'Italia rappresentata da Roma capitale. In più, in tutte le scene della prima parte del suo viaggio in Italia, l'unica cosa che sanno fare gli italiani dalla mattina alla sera è "il dolce fa niente", mangiare, trascurare gli edifici ed essere maleducati e dove la famiglia italiana viene stereotipata in un modello cattolico, poco moderno e poco aperto alle novità. Altra nota dolente: non si promuovono turisticamente altre città quali Firenze nè Venezia nè le nostre coste, non vi è alcun riferimento (escluso Roma) al patrimonio artistico italiano, al nostro made in italy, alla nostra piccola realtà imprenditoriale ed alle straordinarie capacità del popolo italiano che è la vera forza del nostro paese. In "Mangia, prega e ama" l'italiano medio bivacca, vive per il calcio e non sa fare altro. Sono dispiaciuta per il modo in cui viene rappresentata l'Italia del Sud nel mondo: a Napoli il massimo che ti aspetta all'arrivo è un dito medio di una dodicenne e panni del bucato stesi all'aria aperta.
Ancor più dispiaciuta che una delle mie attrici preferite - premio oscar per aver rappresentato il valore della giustizia in Erin Brockovich (probabilmente valore presente solo nel Suo paese) - abbia contribuito invece - per fama e per soldi - a dare un'immagine distorta del Nostro paese arrettrato e popolato da fannulloni.
Voto: 5
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sa_bonanni
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domenica 19 settembre 2010
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non cascateci !!!
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Mai visto un film più NOIOSO !!!
Ancora una volta si constata quanto la critica sia DISTANTE dal gusto del pubblico o, peggio, interessata !!!
Vive delle espressioni del viso di JULIA ROBERTS.
Non è divertente, non è commovente, non ti dà nessun messaggio da recepire.
Non ha (praticamente) una trama salvo il viaggio, non ha una bella fotografia.
JULIA ROBERTS è una brava attrice ma un attore/attrice serio/a dovrebbe rifiutarsi di promuovere, con la sua immagine, film del genere.
INSOMMA UNA BUFALA COLOSSALE
GLI SPETTATORI DORMONO IN ATTESA DELLA FINE SPERANDO IN QUALCHE MOMENTO
CHE DIA UN SENSO AL FILM
EVITATELO !!!
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zrtstr
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domenica 19 settembre 2010
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film squallido e supponente ...senza speranza!
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.... un cumulo insopportabile di stereotipi , banalità, luoghi comuni, fesserie.... il tutto scandito da una sceneggiatura ridicola, squallida, farraginosa e pure supponente. Probabilmente a qualche fan della monnezza mediatica che ci viene propinata quotidianamente ... piacerà! Ma io mi chiedo , se uno deve andare a vedere delle stronzate , tanto vale vedersi e pagare quelle di casa nostra.
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gialla54
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sabato 18 settembre 2010
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uno dei peggiori film degli ultimi anni.
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Decisamente questa pellicola non vale i soldi del biglietto. Non conosco il romanzo da cui è tratto, ma il film, inutilmente lungo, è caratterizzato da dialoghi ridicoli e riprese cartolina banali ed irritanti.
Più di 130 minuti in attesa dell'inevitabile happy end a bordo della barchetta verso l'isoletta della felicità.
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