everlong
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mercoledì 16 febbraio 2011
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una storia da ascoltare
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Un bellissimo film di sceneggiatura. Un film che racconta una parte commovente della recente storia britannica sebbene poco conosciuta e quasi dimenticata. Un film la cui regia si presta alla narrazione silenziosamente, senza artifici e senza manierismi, naturale nel suo essere al servizio della vicenda interiore di Re Giorgio VI e dei travagli causati dalla sua balbuzie. Un film semplice, senza costruzioni scenografiche da colossal, che colpisce per l'aspetto umano che viene scandagliato e approfondito in tutte le sue dinamiche, indugiando sui singoli dettagli e sulle conseguenze di un impedimento difficile da accettare e da affrontare. La delicatezza con cui viene descritto lo stato d'animo del re e il dramma umano che consegue dall'essere sovrano ma con la paura di non poter apparire tale agli occhi dei sudditi sono gli elementi che trovano la loro più tenera espressione nel rapporto tra Giorgio VI e Lionel Logue, un logopedista di origine australiana che si occuperà di aiutare il duca di York ad oltrepassare barriere sedimentatesi nel tempo e apparentemente insormontabili.
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Un bellissimo film di sceneggiatura. Un film che racconta una parte commovente della recente storia britannica sebbene poco conosciuta e quasi dimenticata. Un film la cui regia si presta alla narrazione silenziosamente, senza artifici e senza manierismi, naturale nel suo essere al servizio della vicenda interiore di Re Giorgio VI e dei travagli causati dalla sua balbuzie. Un film semplice, senza costruzioni scenografiche da colossal, che colpisce per l'aspetto umano che viene scandagliato e approfondito in tutte le sue dinamiche, indugiando sui singoli dettagli e sulle conseguenze di un impedimento difficile da accettare e da affrontare. La delicatezza con cui viene descritto lo stato d'animo del re e il dramma umano che consegue dall'essere sovrano ma con la paura di non poter apparire tale agli occhi dei sudditi sono gli elementi che trovano la loro più tenera espressione nel rapporto tra Giorgio VI e Lionel Logue, un logopedista di origine australiana che si occuperà di aiutare il duca di York ad oltrepassare barriere sedimentatesi nel tempo e apparentemente insormontabili. In questo rapporto c'è tutto: c'è fiducia, conflitto, orgoglio, timore, il desiderio di comprendere le manifestazioni di traumi familiari profondi, forse lontani ma così semplici e umani nel loro essere frutto di un'educazione di corte severa, rigida e compromessa da rapporti umani duri. Colpiscono le interpretazioni di Geoffrey Rush e di Colin Firth, davvero impeccabili e affiatati; come colpisce la performance della Bonham Carter, sempre all'altezza delle aspettative, versatile ed espressiva. Viene naturale l'attualizzazione di questa vicenda, in un'epoca in cui la funzione mediatrice delle comunicazioni di massa è diventata un più che consolidato strumento di controllo nonché causa prima delle derive populistiche di certa politica. Per questo appare quasi infantile la figura di Giorgio VI, nella sua ingenuità, nel suo timore di entrare in contatto con gli altri, nel suo pudore ad addentrarsi nelle case altrui anche se soltanto attraverso il suono della sua voce. Il microfono diventa una figura incombente, che copre il volto di un sovrano così debole al suo cospetto. Un ribaltamento quasi inverosimile, verrebbe da dire, ma che, essendo accaduto, induce ad una riflessione profonda sull'attualità politica e sociale.
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samma
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venerdì 11 marzo 2011
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quando le parole sono le migliori armi
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Giorgio VI, il "re balbuziente", paradosso del destino il primo re globale inglese dopo la diffusione della radio.Un re che ebbe il difficile compito di affrontare la 2° guerra mondiale e le riluttanze del suo popolo in seguito all'abdicazione del fratello. E poi c'e l'amicizia: Bertie e Loyd. Duca di York e dottore senza dottorato; l'evoluzione da rapporto professionale fino ad una profonda amicizia continuata dai 2, così diversi quanto determinati a raggiungere il loro scopo.
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Giorgio VI, il "re balbuziente", paradosso del destino il primo re globale inglese dopo la diffusione della radio.Un re che ebbe il difficile compito di affrontare la 2° guerra mondiale e le riluttanze del suo popolo in seguito all'abdicazione del fratello. E poi c'e l'amicizia: Bertie e Loyd. Duca di York e dottore senza dottorato; l'evoluzione da rapporto professionale fino ad una profonda amicizia continuata dai 2, così diversi quanto determinati a raggiungere il loro scopo. Il discorso del re è applicazione, superare i proprio limiti, è rigore e nobiltà d'animo, il tutto in una interpretazione quasi teatrale dei personaggi.
DS
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a17540
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martedì 7 giugno 2011
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grandi interpreti sul solco della tradizione
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E’ essenzialmente un film di grandi attori al loro meglio. Colin Firth è straordinario nella parte del Duca di York e futuro re Giorgio VI tormentato da una balbuzie che gli impedisce di assolvere gli impegni che la nascita e la storia gli impongono. Geoffrey Rush non gli è da meno nel ruolo del logopedista di origine australiana che con tenacia, capacità e inventiva riesce a curarlo. Bravi anche Helena Bonham Carter e Guy Pearce rispettivamente moglie e fratello del futuro monarca.
Lo svolgimento del tema da parte del regista Tom Hooper è abile e sostenuto da un buon ritmo narrativo ma resta sul filo della tradizione dei migliori film biografici sui monarchi inglesi.
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E’ essenzialmente un film di grandi attori al loro meglio. Colin Firth è straordinario nella parte del Duca di York e futuro re Giorgio VI tormentato da una balbuzie che gli impedisce di assolvere gli impegni che la nascita e la storia gli impongono. Geoffrey Rush non gli è da meno nel ruolo del logopedista di origine australiana che con tenacia, capacità e inventiva riesce a curarlo. Bravi anche Helena Bonham Carter e Guy Pearce rispettivamente moglie e fratello del futuro monarca.
Lo svolgimento del tema da parte del regista Tom Hooper è abile e sostenuto da un buon ritmo narrativo ma resta sul filo della tradizione dei migliori film biografici sui monarchi inglesi. Di fronte ai grandi consensi ottenuti a livello internazionale e ai molti premi vinti, alla fine della visione resta la sensazione che la pellicola manchi del guizzo di genio che potrebbe essere nelle attese dello spettatore. I molti temi delicati che entrano nella vicenda come il difficile rapporto col padre, l’abdicazione del fratello, il nazismo, la guerra vengono elaborati all’interno di un generale intento celebrativo ed educativo senza che venga mai innestata una dialettica realmente critica.a17540
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leoooo
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domenica 6 febbraio 2011
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elegante, regale, di spessore...tutti bravi..bis!
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A dispetto del problema di balbuzie di Re Giorgio,la forza del film sta nei dialoghi tra il re e Lionel Logue. Per chi ha amato film come Shakespeare in Love o Il Mercante di Venezia, per chi ama in generale respirare l'odore di Inghilterra, per chi ama sentirsi sugli spalti del Globe Theatre questo è il film giusto.L'emblema di questa teatralità anglosassone è senza dubbio Geoffrey Rush che interpreta il logopedista del re. Ha un viso, una gestualità perfetta per il ruolo,da solo vale il prezzo del biglietto, tornerei a rivedere il film solo per tornare ad assistere a questa interpretazione magistrale che spero lo porti all'oscar come migliore attore non protagonista.
Colin Firth (il Re Giorgio) è stato bravo a trasmettere la dignitosa sofferenza del Re per non riuscire ad essere guida del suo popolo.
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A dispetto del problema di balbuzie di Re Giorgio,la forza del film sta nei dialoghi tra il re e Lionel Logue. Per chi ha amato film come Shakespeare in Love o Il Mercante di Venezia, per chi ama in generale respirare l'odore di Inghilterra, per chi ama sentirsi sugli spalti del Globe Theatre questo è il film giusto.L'emblema di questa teatralità anglosassone è senza dubbio Geoffrey Rush che interpreta il logopedista del re. Ha un viso, una gestualità perfetta per il ruolo,da solo vale il prezzo del biglietto, tornerei a rivedere il film solo per tornare ad assistere a questa interpretazione magistrale che spero lo porti all'oscar come migliore attore non protagonista.
Colin Firth (il Re Giorgio) è stato bravo a trasmettere la dignitosa sofferenza del Re per non riuscire ad essere guida del suo popolo.Il momento del discorso non è la parte migliore del film ma la naturale conclusione di una storia che ha il suo cuore centrale nella preparazione al discorso e non nel discorso stesso.A distanza di una settimana resta impressa la fotografia, perfetta sia nelle ambientazioni interne che esterne.
Il discorso del re non è un film ma una bellissima opera, curata in tutti i suoi particolari.
Tornerei a vederlo di corsa....BIS!
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jaky86
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martedì 1 marzo 2011
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la sofferenza di un re
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Un film che descrive il difficile percorso fatto da Giorgio VI, re d'Inghilterra, per superare il problema della balbuzie, inaccettabile per un re, con la seconda guerra mondiale alle porte. La scenografia e gli interni sono fantastici. E l'oscar giustamente vinto da Colin Firth viene ben supportato da una magistrale interpretazione di Geoffrey Rush, nel ruolo del singolare logopedista. Tom Hooper dirige in maniera impeccabile un cast eccezionale, e mette a nudo il re, con le sue fragilità, trovatosi improvvisamente sul trono in uno dei momenti più difficili della storia. La complicità e l'affiatamento che si crea tra i due protagonisti è particolarmente efficace e lascia sbalorditi la loro bravura.
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Un film che descrive il difficile percorso fatto da Giorgio VI, re d'Inghilterra, per superare il problema della balbuzie, inaccettabile per un re, con la seconda guerra mondiale alle porte. La scenografia e gli interni sono fantastici. E l'oscar giustamente vinto da Colin Firth viene ben supportato da una magistrale interpretazione di Geoffrey Rush, nel ruolo del singolare logopedista. Tom Hooper dirige in maniera impeccabile un cast eccezionale, e mette a nudo il re, con le sue fragilità, trovatosi improvvisamente sul trono in uno dei momenti più difficili della storia. La complicità e l'affiatamento che si crea tra i due protagonisti è particolarmente efficace e lascia sbalorditi la loro bravura.
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franco cesario
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mercoledì 2 marzo 2011
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il discorso fila
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Giudico "Il discorso del Re" un gran bel film, con grandi interpretazioni, soprattutto dell'australiano Geoffrey Rush (che interpreta Lionel Logue, un maestro di dizione emigrato dalla colonia oceanica) con una tematica importante affrontata senza facile retorica e vuoto patriottismo.
Nell'opera del regista Tom Hooper si nota un forte ruolo delle donne, al di là dell'adagio che recita "dietro ogni grande uomo c'è sempre una grande donna" e delle reali vicende storiche.
Infatti è Helena Bonham Carter, nei panni della moglie del futuro Re Giorgio VI, Elizabeth, che costringe il riluttante marito a presentarsi al cospetto di un perfetto sconosciuto, senza credenziali, per superare il problema della balbuzie.
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Giudico "Il discorso del Re" un gran bel film, con grandi interpretazioni, soprattutto dell'australiano Geoffrey Rush (che interpreta Lionel Logue, un maestro di dizione emigrato dalla colonia oceanica) con una tematica importante affrontata senza facile retorica e vuoto patriottismo.
Nell'opera del regista Tom Hooper si nota un forte ruolo delle donne, al di là dell'adagio che recita "dietro ogni grande uomo c'è sempre una grande donna" e delle reali vicende storiche.
Infatti è Helena Bonham Carter, nei panni della moglie del futuro Re Giorgio VI, Elizabeth, che costringe il riluttante marito a presentarsi al cospetto di un perfetto sconosciuto, senza credenziali, per superare il problema della balbuzie.
E' la moglie di Lionel che, con garbo e stile ma in modo risoluto, spinge il marito ad andare a ricucire il rapporto con il duca di York e futuro Re d'Inghilterra, rovinatosi per reciproche incomprensioni.
E che dire di Wallis Simpson, miliardaria statunitense e pluri divorziata, capace di far abdicare il fratello di Giorgio VI, Re legittimo in quanto primogenito del morituro Giorgio V?
"Il discorso del Re" è un film che merita i tanti premi vinti (non solo oscar ma anche il prestigioso British Indipendent Film Awards, fra gli altri) perchè non è prolisso, ha lampi di sagace ironia, appassiona e commuove, e ci spinge ad essere migliori, superando gli schematismi e gli orpelli impostici dalla società.
In particolare il personaggio di Lionel, che per il suo voler trattare tutti alla pari, viene considerato quasi un bolscevico, è la figura più positiva di tutto il film, in grado, con la sua spontaneità, la sua verve e il suo saper vivere, di coinvolgere e stravolgere la vita di una persona tanto insicura quanto potente e famosa.
Come dire, il discorso fila e ci piace molto. Franco Cesario sinonimomacontrario.splinder.com
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luca.terrinoni
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sabato 23 aprile 2011
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se anche parlassi le lingue degli angeli...
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Alberto, duca di York, sperimenta presto quanto la balbuzie gli impedisca, nell'epoca delle trasmissioni radio, di parlare al popolo. la moglie, la grande Elisabetta, lo convince a farsi aiutare da un logopedista. non ha ancora risolto il suo problema (che anzi non risolverà mai) quando il fratello maggiore preferirà un'ambigua signora agli oneri ed onori del regnare e, balbuzie o meno, gli toccherà fare il re e persino comunicare al mondo intero (una fortuna, per l'Inghilterra ed il mondo civile, che le solite anime belle preferiscono intendere come un sublime trionfo dell'amore...). meraviglioso teatro, grazie ai formidabili Geoffrey Rush (il logopedista), Colin Firth (Alberto, poi re Giorgio VI) e Helena Bonham Carter (Elisabetta, finalmente alleggerita nelle sopracciglia che tanto piacciono Tim Burton); meraviglioso teatro che si traduce in splendido cinema, grazie ad un ottima regia (la rivelazione Tom Hopper, che aveva fin qui realizzato essenzialmente lavori per la tv) e un cast tecnico di assoluta affidabilità.
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Alberto, duca di York, sperimenta presto quanto la balbuzie gli impedisca, nell'epoca delle trasmissioni radio, di parlare al popolo. la moglie, la grande Elisabetta, lo convince a farsi aiutare da un logopedista. non ha ancora risolto il suo problema (che anzi non risolverà mai) quando il fratello maggiore preferirà un'ambigua signora agli oneri ed onori del regnare e, balbuzie o meno, gli toccherà fare il re e persino comunicare al mondo intero (una fortuna, per l'Inghilterra ed il mondo civile, che le solite anime belle preferiscono intendere come un sublime trionfo dell'amore...). meraviglioso teatro, grazie ai formidabili Geoffrey Rush (il logopedista), Colin Firth (Alberto, poi re Giorgio VI) e Helena Bonham Carter (Elisabetta, finalmente alleggerita nelle sopracciglia che tanto piacciono Tim Burton); meraviglioso teatro che si traduce in splendido cinema, grazie ad un ottima regia (la rivelazione Tom Hopper, che aveva fin qui realizzato essenzialmente lavori per la tv) e un cast tecnico di assoluta affidabilità. due o tre i colpetti bassi per tirare su il tasso emotivo, ma di gusto accettabile (ad es. il prevedibile ascolto dell'incisione che dimostra che il maestro "sa" come far parlare il duca) e, perdonate la pignoleria, una curiosità irrisolta: ma se ascoltando la musica in cuffia, Alberto/Giorgio era in grado di recitare con passione Shakespeare senza intoppi, perché - almeno per i discorsi radiofonici - non venne usato questo espediente? c'è una sequenza fondamentale, presentata con infinita discrezione: re Giorgio VI, in lotta perenne con l'umiliante incapacità di parlare in pubblico, assiste ai cinegiornali che mostrano altri leader impegnati in trascinanti comizi. tra questi, Hitler. uno dei presenti alla proiezione commenta "che mostro!", in risposta il re mormora "però sa parlare". quando toccherà a lui, re Giorgio saprà ridare coraggio e dignità ad un popolo spaventato, assegnando alla nazione un compito senza spazio e senza tempo: respingere l'idea che la ragione sia del più forte. come dire: rendere la giustizia più forte della violenza. e questo è meno che "parlare"? o non è forse l'unico "parlare" che conta? chi saprebbe entusiasmarsi, oggi, ai discorsi di Hitler? forse qualche rasato al colmo dell'ebbrezza alcolica, al massimo qualche sindaco dalla memoria corta... quei tipi, insomma, che Woody Allen consigliava di trattare con "mazze da baseball e palle di cacca di cavallo". provate invece a riascoltare, prescindendo dal film, il testo del "discorso del re", quello che annuncia l'entrata in guerra dell'Inghilterra contro la Germania nazista dopo l'invasione della Polonia. sentirete nel vostro cuore l'eco delle parole di Pericle, riportate da Tucidide ("Qui ad Atene noi facciamo così..."), di Martin Luther King ("I have a dream..."), di J.F.Kennedy ("Ich bin ein Berliner!").
"Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l'amore, sarei come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e l'amore".
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[+] espedienti...
(di hollyver07)
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poldino
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sabato 5 marzo 2011
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senza ... parole
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Il film affronta il problema della balbuzie del futuro re Giorgio sesto, con competenza e veemenza. Sicuramente, sono da premiare la recitazione appassionata degli attori e la ricercatezza formale delle immagini, ma dopo un buon primo tempo, la seconda ora mostra alcuni cedimenti narrativi, che sfociano nella ripetitività e nella ricerca affannosa di una linearità nello script. Forse, se la pellicola fosse durata un po' meno ne avrebbero giovato la scorrevolezza totale e la fluidità del racconto. Non che il film sia brutto, anzi è da annoverare tra le pellicole di buon livello, ma non può certo definirsi un capolavoro.
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levo95
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martedì 9 agosto 2011
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un film biografico coi fiocchi
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10 anni nella vita di Giorgio V, principe balbuziente, che si trovò a fare le veci di Re durante la seconda guerra mondiale. Fresco, divertente, commovente, anche un po' ruffianello, adattamento cinematografico della biografia del Re balbuziente, che si concentra sulla ricerca della propria voce come bisogno umano. Viene approfondito in più il rapporto di amicizia tra Lionel e Bertie. A trattenerci attaccati allo schermo sono l'ennesimo personaggio stile Rain Man, interpretato magistralmente da Colin Firth, ma anche la prova di Geoffrey Rush non scherza e la Carter si difende pure.
Definirlo un capolavoro lo ritengo eccessivo, in quanto la pellicola non sia di abbastanza spessore, ma si può meglio avvicinare ad un piccolo cult del cinema inglese, per la sua freschezza e originalità nel trattare un periodo storico così difficile.
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10 anni nella vita di Giorgio V, principe balbuziente, che si trovò a fare le veci di Re durante la seconda guerra mondiale. Fresco, divertente, commovente, anche un po' ruffianello, adattamento cinematografico della biografia del Re balbuziente, che si concentra sulla ricerca della propria voce come bisogno umano. Viene approfondito in più il rapporto di amicizia tra Lionel e Bertie. A trattenerci attaccati allo schermo sono l'ennesimo personaggio stile Rain Man, interpretato magistralmente da Colin Firth, ma anche la prova di Geoffrey Rush non scherza e la Carter si difende pure.
Definirlo un capolavoro lo ritengo eccessivo, in quanto la pellicola non sia di abbastanza spessore, ma si può meglio avvicinare ad un piccolo cult del cinema inglese, per la sua freschezza e originalità nel trattare un periodo storico così difficile. Insomma 4 Oscar (Miglior film, attore protagonista, sceneggiatura originale, regia) che non significano nulla, quando film ben più interessanti non sono stati nemmeno presi in considerazione: come "Kick-Ass", "Blood Story", "Scott Pilgrim Vs. The World", "The Runaways" e "Somewhere". Ciò non vuol dire che il film non sia bello, perchè tutti gli altri film nominati sono veramente molto belli. Questo strano british movie di questo Tom Hooper (da non confondere con il più famoso Tobe Hooper) è davvero molto interessante, ma si regge perlopiù sulle due egregie interpretazioni principali (Firth e Rush).
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giu.ramires
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mercoledì 22 febbraio 2012
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dimentica il resto e dillo solo a me!
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Il regista Tom Hooper ha studiato e analizzato direi clinicamente le reazioni psicologiche e i sintomi tipici del balbuziente ed è stato aiutato da un pezzo da novanta come Colin Firth, d’altronde i comportamentisono anche da riferirsi all’uso di strategie di astensione nei confronti della pronuncia di specifiche parole o dell’incontro di persone o di situazioni che il soggetto che balbetta ritiene pericolose. Come nel caso del principe; quel pubblico ispettore è un muro insormontabile, e il regista vuol dimostrare che la sensibilità e la fragilità, sono di chiunque indipendentemente dal ceto al quale appartiene, che sia duca, re, artigiano o falegname.
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Il regista Tom Hooper ha studiato e analizzato direi clinicamente le reazioni psicologiche e i sintomi tipici del balbuziente ed è stato aiutato da un pezzo da novanta come Colin Firth, d’altronde i comportamentisono anche da riferirsi all’uso di strategie di astensione nei confronti della pronuncia di specifiche parole o dell’incontro di persone o di situazioni che il soggetto che balbetta ritiene pericolose. Come nel caso del principe; quel pubblico ispettore è un muro insormontabile, e il regista vuol dimostrare che la sensibilità e la fragilità, sono di chiunque indipendentemente dal ceto al quale appartiene, che sia duca, re, artigiano o falegname. Invece tendiamo ad attribuire robustezza e vigore a delle semplici vesti di nobile, dimenticando che sotto tali vesti si nasconde un uomo intimorito, disarmato, e quell’angosciante pubblico potrebbe rappresentare lo specchio della vita, ingrata,e difficile. Joseph Sheehan, un importante ricercatore nel campo, ha paragonato la balbuzie a un iceberg, con gli aspetti evidenti di quest’ultime posizionati sopra il livello dell’acqua e la più larga massa di emozioni negative non visibili sotto il livello dell’acqua. Si potrebbe dire che l’atteggiamento iracondo del duca di York è la ribellione al suo stato.
E l’iceberg delle balbuzie, grazie al lavoro intenso e al supporto di Lionel Logue (Geoffrey Rush) , si scioglie, lasciando salire in superficie la “larga massa di emozioni negative’’ che pian piano si tramutano in grinta e forza di volontà.
Quel “dimentica il resto e dillo solo a me’’ (le parole di Lionel Logue al momento del discorso), equivale a un: dimentica l’odioso pubblico, dimentica le critiche, dimentica le difficoltà e osserva gli occhi di un vero amico. Tom Hooper si limita ad enfatizzare solo il pubblico vorace, il resto come il rapporto di amicizia o la drammatica esperienza del protagonista è lasciato a libera interpretazione. Noi siamo la giuria e il nostro compito è intuire le sottigliezze della storia e intenderle come le percepiamo.
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