Ha Ha Ha

Moon-kyung è un regista donnaiolo, o forse solo uno che si fa credere tale. Con l'amico critico Joong-sik rievoca il loro incontro di anni prima. Ma i due non sanno quanto quel giorno abbia cambiato le loro vite.

La cittadina di Tongyeong si affaccia sul mare, a chilometri di distanza dal caos di Seoul. Un luogo liminare, dove fuggire per smarrire se stessi o forse ritrovarsi.

Ideale per una storia di Hong Sang-soo, specie se la guida turistica che introduce alle imprese dell'Ammiraglio Yi (il biopic su di lui, The Admiral: Roaring Currents, è il maggiore incasso di sempre del cinema sudcoreano) ha il grazioso portamento di Moon So-ri, qui impreziosita da un look che rimanda ad Anna Karina e alle muse della Nouvelle Vague. È con Hahaha infatti - "Ha" sta per "estate", ma l'ambiguità del titolo internazionale, che sembra alludere a una risata, indubbiamente funziona - che Hong diviene il beniamino della critica francese, fino ad aggiudicarsi un sorprendente primo premio nella sezione di Cannes Un Certain Regard.
Tocca quindi a Moon So-ri, contesa tra due cascamorti, dar voce all'identità sudcoreana, ironicamente smitizzata attraverso il fantasma dell'Ammiraglio. Uno dei due pretendenti è - come immancabilmente in Hong - un regista cinematografico. L'altro è un critico: ad accomunarli la medesima immaturità, che li rende anime gemelle ben oltre la loro consapevolezza.

Ma con Hong Sang-soo non è mai una questione di "cosa", ma piuttosto di "come". Gli intrecci delle sue storie, le situazioni scatenanti appaiono poco più che variazioni sul tema, espedienti per mettere in scena stralci di commedia umana. A interessare al regista è l'eterna giostra su cui salgono uomini e donne per inseguirsi, afferrarsi e lasciarsi, senza mai essersi compresi fino in fondo. Qualcuno ne soffrirà, qualcun altro imparerà dai propri errori.
In Hahaha il regista introduce frammenti di bianco e nero e usa lo zoom come un maglio, per entrare nell'intimità dei suoi personaggi. In fondo non è una boutade né un'eresia considerare Hong l'inevitabile punto di arrivo di un percorso cinefilo transitato dal Truffaut di La calda amante e dall'Ozu "liberato" di Tarda primavera. L'impoverimento dell'essere umano e la crescente chiusura narcisistica dell'artista nei confronti del mondo conducono qui, al tavolino di un bar e a una serie interminabile di bottiglie di soju. Vuote, naturalmente. 