domenico argondizzo
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lunedì 17 maggio 2010
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quando ha inizio la violenza?
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La violenza che invade la realtà non riesce ad annullare i sentimenti umani, gli affetti, i desideri, le speranze, l'anelito alla vita, in chi sopravvive, in chi ricorda. E questo vale tanto sui belli Appennini, quanto dentro i lager. La rappresentazione di questo insuccesso della violenza è perfetta come un cristallo. Ma la violenza è anch'essa un prodotto dell'uomo storico. Quindi, ci si può interrogare circa le responsabilità. Anche di tutti i crimini commessi tra il 1943-1945, devono rispondere coloro che favorirono e/o portarono la violenza organizzata nella vita sociale e polica italiana sin dal 1915.
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anna54
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sabato 1 maggio 2010
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buon cinema a tutti
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Ho trovato il film commovente e sobrio, gli attori bravissimi, espressivi e l'ambientazione perfetta. il regista Diritti non sbaglia un colpo, è un genio.
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selvoscura
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venerdì 23 aprile 2010
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tragedia e poesia
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"L'uomo che verrà"... il titolo suona come uno refolo di vento, è il refolo della poesia che mi ha accarezzata in ogni attimo della tragedia e che mi ha permesso di restare aperta, durante tutto il film.
Una delle cose più difficili che l'arte può fare, quando porta alla luce La Ferita, è inscriverla nella poesia, nel mito. Le trappole in cui si può cadere sono moltissime: sensazionalismo, vojerismo, banalizzazione, edulcorazione...
Dritti, senza pantomime, nè sconti nè ammiccamenti di sorta, con grande sobrietà, a volte con crudezza, mi ha mostrato la tragedia e la possibilità d'accoglierla senza giudicarla, grazie agl'occhi di una bimba che non parla, che sospende il giudizio, e in questa sospensione, forse proprio grazie a questa, si salva e salva.
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"L'uomo che verrà"... il titolo suona come uno refolo di vento, è il refolo della poesia che mi ha accarezzata in ogni attimo della tragedia e che mi ha permesso di restare aperta, durante tutto il film.
Una delle cose più difficili che l'arte può fare, quando porta alla luce La Ferita, è inscriverla nella poesia, nel mito. Le trappole in cui si può cadere sono moltissime: sensazionalismo, vojerismo, banalizzazione, edulcorazione...
Dritti, senza pantomime, nè sconti nè ammiccamenti di sorta, con grande sobrietà, a volte con crudezza, mi ha mostrato la tragedia e la possibilità d'accoglierla senza giudicarla, grazie agl'occhi di una bimba che non parla, che sospende il giudizio, e in questa sospensione, forse proprio grazie a questa, si salva e salva.
Grazie Giorgio.
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matteobaldan
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domenica 11 aprile 2010
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realismo dallo sguardo attonito
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La ricostruzione degli Appennini bolognesi e della loro umanità terrigna che si esprime in emiliano stretto e sottotitolato, è ammirevole. A conferma della buona impressione fatta da il vento fa il suo giro, film d’esordio del cinquantenne regista bolognese con un passato in Ipotesi Cinema.
Il senso di realismo è molto importante per Giorgio Diritti. Realismo inteso come realismo dello sguardo di un personaggio. Nell’uomo che verrà sono gli occhi di una bimba, Martina, che guardano senza comprendere la morte e la distruzione che la guerra comporta.
Lo sguardo di Martina è accentuato dal fatto che non parla. Martina, 8 anni, è l’unica figlia di una famiglia di contadini. Ha smesso di parlare da quando, anni prima, ha perso il suo fratellino.
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La ricostruzione degli Appennini bolognesi e della loro umanità terrigna che si esprime in emiliano stretto e sottotitolato, è ammirevole. A conferma della buona impressione fatta da il vento fa il suo giro, film d’esordio del cinquantenne regista bolognese con un passato in Ipotesi Cinema.
Il senso di realismo è molto importante per Giorgio Diritti. Realismo inteso come realismo dello sguardo di un personaggio. Nell’uomo che verrà sono gli occhi di una bimba, Martina, che guardano senza comprendere la morte e la distruzione che la guerra comporta.
Lo sguardo di Martina è accentuato dal fatto che non parla. Martina, 8 anni, è l’unica figlia di una famiglia di contadini. Ha smesso di parlare da quando, anni prima, ha perso il suo fratellino.
Nel dicembre del 1943 la mamma rimane nuovamente incinta. Martina vive i 9 mesi di gravidanza nell’attesa del bimbo che verrà, mentre le operazioni di guerra di intensificano e le condizioni di vita degli abitanti di Monte Sole diventano sempre più difficili.
La notte tra il 28 e il 29 settembre 1944 il piccolo viene al mondo. Intanto l’esercito tedesco dà il via a un’operazione militare volta a stroncare la resistenza partigiana infierendo sulla popolazione civile.
All’uomo che verrà va il merito di essere riuscito ad affrontare un tema delicato come la strage di Marzabotto senza cadere nella retorica resistenziale: “Marzabotto preferì ferro, fuoco e distruzioni piuttosto che cadere all’oppressore…”, recita la motivazione per il conferimento della Medaglia d’Oro al valor militare nel 1946.
La focalizzazione attraverso lo sguardo della bimba fa, tuttavia, di Marzabotto un simbolo astorico di tutte le guerre in cui periscono civili inermi e inconsapevoli, senza render conto delle ragioni di quel massacro che gli storici hanno appurato.
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jackdwiggins
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domenica 14 marzo 2010
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diritti è sempre un grandee regista
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Un ottimo film, che ha la caacità di catapultare nella vicenda parlando solamente di piccole cose. Riempie di amarezza il finale, ma il film rimane bellissimo
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kronos
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martedì 9 marzo 2010
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impressioni da seconda visione
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Non m'era mai capitato di vedere una seconda volta in sala un film a poche settimane dalla prima visione, ma per quest'opera ho voluto fare eccezione.
Mi rendo conto d'aver sbagliato il giudizio sintetico nella recensione precedente: "L'uomo che verrà" non è semplicemente un 'ottimo' film ... no, è una definizione che davvero non gli basta.
E' chiara in me la sensazione che quest'opera valga da sola una carriera.
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ciabella
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domenica 7 marzo 2010
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senza respiro
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Un film che lascia senza fiato, che porta alla memoria chi ormai la memoria l'ha persa o fa finta di non voler ricordare.Quando il film è finito nella sala nessuno aveva il coraggio di parlare, occhi rossi facevano da padrona.Questo film riporta le persone alla realtà e smuove coscenze ormai assopite.
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kronos
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lunedì 22 febbraio 2010
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degno erede di olmi
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L'opera seconda di Giorgio Diritti non usurpa le recensioni entusiastiche che buona parte della stampa le ha riservato. Lo stile sobrio, di chiara influenza Olmiana, con cui Diritti filma la vita contadina nei dintorni di Marzabotto ai tempi della guerra, è il preludio necessario alla tragedia che si sviluppa nella seconda parte della pellicola.
Sobrio, antiretorico, puntuale nella ricostruzione storica e sociale, ma anche lirico e profondamente emozionante. Impossibile non commuoversi nel finale. Questo è grande cinema d'autore.
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francesca meneghetti
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domenica 21 febbraio 2010
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la streghetta martina contro la guerra
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Si è parlato di neo-neo realismo. Forse è vero che sia nel cinema italiano sia nella letteratura sta emergendo un gruppo di autori che individuano il senso della loro missione nella riflessione sulla realtà. In tempi dominati dal bisogno di un eterno carnevale, di bellezza fittizia o di forti emozioni, attraverso effetti speciali e situazioni estreme, è una boccata d’aria pura la scelta dell’autenticità. E la storia, fittissimo repertorio di situazioni tragiche ed estreme, specie nei momenti di guerra, offre molti spunti per questo (come sapeva il vecchio Manzoni).
Giorgio Diritti è su questa linea e gli fa onore l’impegno civile che trasferisce nel cinema, specie in tempi in cui le tendenze revisioniste tendono a cancellare il passato.
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Si è parlato di neo-neo realismo. Forse è vero che sia nel cinema italiano sia nella letteratura sta emergendo un gruppo di autori che individuano il senso della loro missione nella riflessione sulla realtà. In tempi dominati dal bisogno di un eterno carnevale, di bellezza fittizia o di forti emozioni, attraverso effetti speciali e situazioni estreme, è una boccata d’aria pura la scelta dell’autenticità. E la storia, fittissimo repertorio di situazioni tragiche ed estreme, specie nei momenti di guerra, offre molti spunti per questo (come sapeva il vecchio Manzoni).
Giorgio Diritti è su questa linea e gli fa onore l’impegno civile che trasferisce nel cinema, specie in tempi in cui le tendenze revisioniste tendono a cancellare il passato. Ha voluto raccontare uno degli episodi più brutali della seconda guerra: l’eccidio di Monte Sole (Marzabotto). Scelta molto impegnativa. Comporta il rischio di essere prevedibili nella narrazione della brutalità, o di imitare strategie narrative già collaudate in passato. Il regista si rivela un ottimo allievo: non solo di Olmi e dei fratelli Taviani (con La notte di San Lorenzo), come è stato detto, ma anche di Bertolucci, con il suo Novecento, e di Rossellini con Roma Città Aperta (e alle Fosse Ardeatine). Ne rinnova però il linguaggio, con inquadrature originali, a volte magistrali, un’inquietante fotografia dai toni freddi che rende le atmosfere crepuscolari, e un ottimo sonoro, così da aggiungere una cifra personale alla tradizione.
Quanto all’idea di raccontare la vicenda da un punto di vista infantile, non è una novità assoluta, nemmeno per il cinema (v. i fratelli Taviani): anche Italo Calvino, nel Sentiero dei nidi di ragno si cala nel punto di vista di Pin, che scruta la guerra con sguardo bambino. Ma qui, e la scelta si è rivelata felicissima, si tratta di una bambina colpita da diverse forme di violenza: quella insita in una guerra totale, come è stato il secondo conflitto mondiale, che si accanisce per la prima volta contro inermi civili; ma anche quella dei maschi, che la esercitano con adescamenti sessuali, se adulti. Se coetanei, giocano ai soldati (terribile la scena della finta fucilazione delle bambine) o riproducono ataviche forme di aggressività verso “le streghe” di sempre. E Martina (Greta nella realtà) è una bellissima e selvaggia streghetta, muta come Lisa, la protagonista della favola di Andersen, costretta a tessere tuniche di ortiche per liberare i fratelli, tramutati in cigni, dall’incantesimo. Ma, in quanto donna, è anche custode della vita: sarà lei, con grande istinto di sopravvivenza, a salvare l’uomo che verrà. Per ora è solo un neonato che ha bisogno di una ninna nanna: e Martina, sapendolo, scioglierà per lui il suo mutismo.
Questa storia è bellissima. Ma il film ha, tra tanti meriti, un difetto di focalizzazione: non si poteva certo isolare la vicenda della bambina da quella della sua famiglia e dal suo ambiente. Ma forse la cura antropologica con cui è ricostruito tutto il mondo contadino di Monte Sole poteva entrare in un altro film: qui si poteva e forse di doveva alleggerire la materia per far risaltare la favola bella di Martina. Senza per ciò compromettere l’impegno civile e l’autenticità.
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lucamazzei
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martedì 16 febbraio 2010
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emozione e stordimento
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mi ha lasciato fisso sulla poltroncina, come per il resto, tutto il cinema.
delle volte si spera siano storie completamente di fantasia, pero' purtoppo i film come questo servono a non farci dimenticare.
storia a parte, molto ben fatto per quanto riguarda i colori, le atmosfere, e la lingua originale che ti cala letteralmente dentro al film.
la storia appassiona, le immagini coinvolgono, peccato che non sia stato adeguatamente pubblicizzato
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