filmicus
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lunedì 15 febbraio 2010
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signore,tu hai visto,non tacere (sal 34,22)
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L'uomo che verrà è un'opera di grande valore.La padronanza della tecnica e del linguaggio cinemetografico,anche con capacità innovative, pongono Diritti nel novero dei migliori registi italiani. Con la forza che può scaturire solo da un discorso autentico ripropone alla nostra memoria ed alla nostra coscienza uno dei più tragici fatti della seconda guerra mondiale sul suolo italiano: l'eccidio di Monte Sole,che tutti conosciamo con il nome di Marzabotto.
La riproposizione avviene con una grande intuizione: a raccontare sono gli occhi e non le parole della giovanissima testimone,bimba di sette anni,che da tempo ha perso la capacità di parlare a causa della morte,sotto i suoi occhi, del fratellino.
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L'uomo che verrà è un'opera di grande valore.La padronanza della tecnica e del linguaggio cinemetografico,anche con capacità innovative, pongono Diritti nel novero dei migliori registi italiani. Con la forza che può scaturire solo da un discorso autentico ripropone alla nostra memoria ed alla nostra coscienza uno dei più tragici fatti della seconda guerra mondiale sul suolo italiano: l'eccidio di Monte Sole,che tutti conosciamo con il nome di Marzabotto.
La riproposizione avviene con una grande intuizione: a raccontare sono gli occhi e non le parole della giovanissima testimone,bimba di sette anni,che da tempo ha perso la capacità di parlare a causa della morte,sotto i suoi occhi, del fratellino.Le atrocità della guerra,per una paradossale vicenda dell'animo umano, tolgono forza e suono alle parole e riconferiscono queste facoltà al silenzio ed all'immagine.Perchè il silenzio? Qui l'opera di Diritti va più nel profondo e ricolloca la vicenda di quei casolari dell'appennino tosco-emiliano (stragi analoghe a quella di Marzabotto vi erano già state,poco prima, in Toscana) non in un generico scontro tra nemici, fra uomini di schieramenti opposti in armi, ma nella contrapposizione,assolutamente impari, fra simboli,divise ed armi ed una collettività contadina che non combatte contro uomini ma contro la povertà, le stagioni avverse, il raccolto insufficiente,contro la fatica del vivere quotidiano.Vi è anche lo scontro, e questo va sottolineato con forza, con una comunita impregnata di fede cristiana. I sacerdoti uccisi sull'altare, i bimbi offerti in primo piano per la mitragliatrice,gli stessi che fra pochi giorni sarebbero stati in prima fila per la cerimonia della Prima comunione,gli innocenti radunati nella chiesa nella ingenua speranza che potesse costituire una protezione pongono a tutti noi una domanda che inquieta. Perchè quella croce di una canonica di campagna,che si staglia nel cielo, non riesce a fermare,come pure riuscì in passato, questi Attila del XX secolo? Che cosa si è prodotto nella coscienza degli uomini contemporanei che ha portato alcuni a negare agli altri non solo la vita ma la dignità di uomini sì da ridurli a vittime sacrificali, cioè a quegli animali che si sacrificavano sugli altari pagani? Così l'opera di Diritti ci costringe ancora a riflettere su quel che è stato il nazimo.Invita a non dimenticare e vuole rendere testimonianza in modo corretto di quei fatti: non per riaprire odi e ferite ma nella convinzione che solo il rispetto della verità storica può fondare ed edificare stabilmente la pace di una comunità.
La prima immagine del film è un'edicola campestre con la raffigurazione della Madonna del parto di Pier della Francesca.Qui vi è una indubbia, oggettiva ispirazione religiosa che non può essere tralasciata. L'uomo che verrà è Cristo ed è pure il neonato che il regista, come segno di speranza fa sopravvivere, ma che nella storia reale e stato trucidato alla "età" di quattordici giorni. Così come Cristo che si è fatto uomo "fino alla morte".
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ucciolibero
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sabato 13 febbraio 2010
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la vita contro la stupidità della guerra.
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Il film è fatto molto bene, ben strutturato, con attori "autentici" ma con
facce ed espressioni "tipicamente contadine", che danno all'opera un tratto di
"veridicità" talmente forte da sfiorare, a tratti, il documentario storico.
La protagonista è una bambina con un carattere deciso e ribelle che, a causa
di uno shock, ha perso l'uso della voce, saranno perciò i suoi occhi e le sue
gambe magre a condurre lo spettatore attraverso il film, e così seguiremo il
dialetto (sottotitolato) degli altri protagonisti, ma anche il parlato tedesco
senza traduzione, e ci immergeremo, pian piano, nel suo mondo (muto, appunto,
come siamo noi al cinema).
Dritti rappresenta la vicenda in modo asciutto, senza cedere alla retorica
della guerra ma neppure a quella del mondo contadino, il mondo che il regista
ci mostra è duro, senza sconti, senza vincitori, e la storia che ci racconta
non vuole essere una storia "epica" ma una storia di guerra.
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Il film è fatto molto bene, ben strutturato, con attori "autentici" ma con
facce ed espressioni "tipicamente contadine", che danno all'opera un tratto di
"veridicità" talmente forte da sfiorare, a tratti, il documentario storico.
La protagonista è una bambina con un carattere deciso e ribelle che, a causa
di uno shock, ha perso l'uso della voce, saranno perciò i suoi occhi e le sue
gambe magre a condurre lo spettatore attraverso il film, e così seguiremo il
dialetto (sottotitolato) degli altri protagonisti, ma anche il parlato tedesco
senza traduzione, e ci immergeremo, pian piano, nel suo mondo (muto, appunto,
come siamo noi al cinema).
Dritti rappresenta la vicenda in modo asciutto, senza cedere alla retorica
della guerra ma neppure a quella del mondo contadino, il mondo che il regista
ci mostra è duro, senza sconti, senza vincitori, e la storia che ci racconta
non vuole essere una storia "epica" ma una storia di guerra.
L'occupazione nazista non è mai angosciante (anche se è sempre presente e
violenta), i partigiani non sono gli eroi buoni senza macchia e senza paura, e
gli accadimenti che si susseguono non hanno un legame definito, cioè non sono
legati necessariamente da un rapporto di causa-effetto.
Dritti prende atto della situazione quasi senza prendere posizione, quasi
senza parteggiare, (di qui alcune aspre critiche) mostrando solo sgomento e
rabbia per la violenza della guerra e la stupidità degli uomini
L'eccidio di Marzabotto viene raccontato senza enfasi, ma senza risparmiare
nulla allo spettatore, e i morti (tutti i morti, anche quelli tedeschi) vengono
vissuti come una ferita che non si rimargina.
Spetterà alla piccola Martina il compito di condurci fuori dalla guerra e
dalle cattiverie degli uomini, sarà lei a salvare l'uomo che verrà e, in
definitiva, a salvare tutti noi.
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domenico a
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martedì 9 febbraio 2010
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l'orrore visto con gli occhi di una bambina
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Sulla scia del miglior Olmi, del migliore dei film dei fratelli Taviani ed è un film che meriterebbe la corsa agli Oscar. l film ci racconta la guerra, l’orrore di un esercito occupante (in questo caso nazista), ma anche la fame contadina, la paura dei bimbi e degli adulti per una violenza incomprensibile e incontrollata; ci racconta di facce pulite e giovani che prive di coscienza e di moralità si possono macchiare di crimini innominabili con la stessa leggerezza di un branco sbandato ma in divisa. Questo modo di raccontare un “piccolo” fatto di cronaca di guerra lo hanno provato a fare in tanti, in pochi riuscendoci veramente, i fratelli Taviani e Montaldo in Italia e Malick, Fuller, Eastwood negli Stati Uniti, Kon Ichikawa e Tanovic per citarne altri.
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Sulla scia del miglior Olmi, del migliore dei film dei fratelli Taviani ed è un film che meriterebbe la corsa agli Oscar. l film ci racconta la guerra, l’orrore di un esercito occupante (in questo caso nazista), ma anche la fame contadina, la paura dei bimbi e degli adulti per una violenza incomprensibile e incontrollata; ci racconta di facce pulite e giovani che prive di coscienza e di moralità si possono macchiare di crimini innominabili con la stessa leggerezza di un branco sbandato ma in divisa. Questo modo di raccontare un “piccolo” fatto di cronaca di guerra lo hanno provato a fare in tanti, in pochi riuscendoci veramente, i fratelli Taviani e Montaldo in Italia e Malick, Fuller, Eastwood negli Stati Uniti, Kon Ichikawa e Tanovic per citarne altri. Adesso lo ha fatto anche Diritti portando al termine un gran bel film realizzato con un budget “ridicolo” di soli tre milioni di euro (pensate ai trenta di Tornatore o ai trecento di qualche film statunitense).
Diritti ci racconta un anno di vita a Marzabotto, paesino sugli Appennini emiliani e il rastrellamento e l’eccidio che avverrà il 5 Ottobre del 1944. Prima che succeda l’eccidio (splendida la scelta di non indugiare sulla strage, ma di descriverla in modo delicato e privo di gran guignol) c’è l'interno di una comunità agreste dell'Appennino: ci sono la descrizioni del mondo contadino, dal vestirsi al mangiare, dai sogni delle ragazze per l’amore, alle donne anziane che le tengono sotto briglia, dai pretini delicati e gentili ai bambini che stanno a scuola, dai partigiani che vanno e vengono e che compiono azioni militari lontane dal paese al passaggio sempre inquietante delle truppe naziste che a volte prendono solo cibo ed altre minacciano anche stupri. Il tutto è visto attraverso gli occhi di Martina, una bambina di otto anni, incapace di parlare dopo la morte del fratellino appena nato e in attesa che la madre partorisca di nuovo (l’uomo che verrà). La vicenda è ambientata nel 1943 alle pendici del Monte Sole, qui i contadini lavorano intere giornate, tentando in ogni modo di sopravvivere al freddo e alla fame. A questo si aggiungono i rastrellamenti e la richiesta d’aiuti dei partigiani che hanno bisogno di cibo e di assistenza. La famiglia di Martina sopravvive come può sperando che tutto finisca al più presto.
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apache
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lunedì 8 febbraio 2010
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essenzialmente bello
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Fluido, controverso, in linea generale un ottimo film
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roberto simeoni
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martedì 2 febbraio 2010
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un nuovo grande autore del cinema italiano
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I titoli di coda scorrono fino alla fine e tu non ti alzi, stai lì seduto fino a quando le luci della sala si accendono e cominciano ad entrare gli spettatori della proiezione successiva. Quando succede questo vuol dire che il film ti ha catturato completamente. Giorgio Diritti al suo secondo film si rivela autore cinematografico di livello internazionale. Forse non è bello fare paragoni, ma il tema trattato nel film è così difficile, che poche sono le pellicole che ti possono venire in mente: a me "L'uomo che verrà" ha subito ricordato "il pianista" di Polanski. Come in quel film l'orrore era visto attraverso gli occhi del protagonista che alla fine riusciva a salvare se stesso e la sua musica, così nella tragedia di Marzabotto la piccola Martina è testimone ed eroina riuscendo a salvare se stessa e la vita del neonato fratellino.
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I titoli di coda scorrono fino alla fine e tu non ti alzi, stai lì seduto fino a quando le luci della sala si accendono e cominciano ad entrare gli spettatori della proiezione successiva. Quando succede questo vuol dire che il film ti ha catturato completamente. Giorgio Diritti al suo secondo film si rivela autore cinematografico di livello internazionale. Forse non è bello fare paragoni, ma il tema trattato nel film è così difficile, che poche sono le pellicole che ti possono venire in mente: a me "L'uomo che verrà" ha subito ricordato "il pianista" di Polanski. Come in quel film l'orrore era visto attraverso gli occhi del protagonista che alla fine riusciva a salvare se stesso e la sua musica, così nella tragedia di Marzabotto la piccola Martina è testimone ed eroina riuscendo a salvare se stessa e la vita del neonato fratellino. Il tutto senza retorica, ma con una poesia e una ricchezza di invenzioni di regia e di montaggio veramente toccanti. Ne ricordo due in particolare: la scena dei bambini con le mani alzate contro il muro subito dopo la prima perquisizione dei nazisti, con la macchina da presa che poi scopre che gli stessi stanno giocando, e la scena in cui Martina scopre il tedesco che scava una buca, sorride un attimo, poi si accorge che accanto ci sono dei partigiani, ed assiste alla esecuzione del prigioniero e nella scena successiva, la corsa di Martina sconvolta da quello che ha visto, viene resa magistralmente con un piano sequenza accompagnato da un suggestivo coro di bambini. Un fllm che ti resta dentro e che già ti viene voglia di rivedere al più presto.
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angelo48
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martedì 2 febbraio 2010
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un raggio di luce dall'orrore della guerra
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Dopo l'ottima prova de "Il vento fa il suo giro", Diritti conferma in pieno le qualità che lo avvicinano al maestro Ermanno Olmi. La ricostruzione dell'eccidio di Marzabotto tocca il cuore di ogni animo dotato di un minimo di sensibilità, senza mai cadere nella retorica della spettacolarizzazione o di un vuoto sentimentalismo. Diritti bypassa questi ostacoli con grande maestria e firma un'opera capace di far riflettere sulla multiforme natura dell'uomo. Una possibilità di riscatto dalle atrocità subite e quindi di speranza per il futuro è adombrata nella mirabile scena finale in cui la piccola Martina (un volto la cui estatica, semplice, espressiva bellezza non si potrà facilmente dimenticare) riacquista l'uso della parola per intonare una ninna nanna al fratellino ("L'uomo che verrà") strappato all'eccidio.
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Dopo l'ottima prova de "Il vento fa il suo giro", Diritti conferma in pieno le qualità che lo avvicinano al maestro Ermanno Olmi. La ricostruzione dell'eccidio di Marzabotto tocca il cuore di ogni animo dotato di un minimo di sensibilità, senza mai cadere nella retorica della spettacolarizzazione o di un vuoto sentimentalismo. Diritti bypassa questi ostacoli con grande maestria e firma un'opera capace di far riflettere sulla multiforme natura dell'uomo. Una possibilità di riscatto dalle atrocità subite e quindi di speranza per il futuro è adombrata nella mirabile scena finale in cui la piccola Martina (un volto la cui estatica, semplice, espressiva bellezza non si potrà facilmente dimenticare) riacquista l'uso della parola per intonare una ninna nanna al fratellino ("L'uomo che verrà") strappato all'eccidio.
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michi1959
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martedì 2 febbraio 2010
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straordinario
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La cosa più geniale di questo film è il filo di speranza legato alla vita tenuto dalla bambina (di una bravura commovente), in contrapposizione alla bestialità e alla morte.
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catia p.
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lunedì 1 febbraio 2010
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per non dimenticare
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Questo film, particolarmente bello, parla della Storia, quella che pochi di noi conoscono davvero, mentre i più ne hanno a malapena un vago ricordo o ne hanno solo sentito parlare.
La Storia di un'Italia in cui affondiamo le radici senza neanche saperlo.
La Storia che non si può cambiare.
La Storia che si può e si deve raccontare, ma su cui piangere sarà inutile, perché la Storia quella è e quella rimane.
Attoniti spettatori la staremo a guardare, in buona parte attraverso gli occhi di una bambina (straordinaria e meravigliosa l'esordiente Greta Zuccheri Montanari) che per scelta resta muta di fronte alle tragedie della vita.
Ce l'hanno insegnato i nostri nonni (o bisnonni), per chi ha avuto la fortuna di starli a sentire, che stare al mondo è anche fatica e dolore, ma non serve sprecarci sopra tante parole, serve solo continuare a vivere.
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Questo film, particolarmente bello, parla della Storia, quella che pochi di noi conoscono davvero, mentre i più ne hanno a malapena un vago ricordo o ne hanno solo sentito parlare.
La Storia di un'Italia in cui affondiamo le radici senza neanche saperlo.
La Storia che non si può cambiare.
La Storia che si può e si deve raccontare, ma su cui piangere sarà inutile, perché la Storia quella è e quella rimane.
Attoniti spettatori la staremo a guardare, in buona parte attraverso gli occhi di una bambina (straordinaria e meravigliosa l'esordiente Greta Zuccheri Montanari) che per scelta resta muta di fronte alle tragedie della vita.
Ce l'hanno insegnato i nostri nonni (o bisnonni), per chi ha avuto la fortuna di starli a sentire, che stare al mondo è anche fatica e dolore, ma non serve sprecarci sopra tante parole, serve solo continuare a vivere.
E' con questo spirito, asciutto e parsimonioso, senza gli sprechi tipici di certo cinema melodrammatico, che Giorgio Diritti, poeta del grande schermo, ci racconta microcosmo e macrocosmo della campagna emiliana del 1944 alle soglie di un eccidio realmente avvenuto.
Il microcosmo è quello inventato, ma ricostruito minuziosamente e fedelmente nei dettagli quotidiani, di una famiglia che fa da filo conduttore. Prima ci ricorda com'eravamo e da dove veniamo, perché se siamo vivi lo dobbiamo alla terra e ai contadini che l'hanno lavorata e per essa sono morti.
Poi ci traghetta verso una tragedia annunciata, frutto di un'infausta stagione, e quella non è per niente inventata: la stagione della guerra. Se l'uomo decide di farla, non importa da che parte starà perché diventerà per forza ingiusto, spietato e crudele.
Spietato e crudele è anche lo stile che sceglie il regista nella presentazione ultima dei fatti: la sua innata maestria - perfetti movimenti di macchina ad altezza bambino, perfetta e nitida fotografia, perfetta resa degli attori e della presa diretta del dialetto locale...- è senza compiacimenti, ma è una perfezione che non ci consola.
Come per i 770 morti della strage di Monte Sole non vi è stata possibilità di appello, così pure lo spettatore non troverà un attimo di tregua nel montaggio serrato che non vuole regalarci dissolvenze romantiche nel drammatico susseguirsi degli eventi. Spesso invece si spezza, rapido e brusco, come rapidamente e bruscamente si spezzano le vite di quegli innocenti.
L'Uomo Che Verrà è una stupenda pellicola che all'emozione tipica del buon cinema unisce il valore di un reperto storico: la sua visione ci arricchisce. Un'occasione da non perdere.
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chiarialessandro
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lunedì 1 febbraio 2010
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“diritti” di nome e di fatto .......
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i suoi film vanno “diritti” al cuore, al punto da scatenare un amore viscerale ed incontrollabile; forse quello stesso amore che pervade buona parte della pellicola, che fa da elegiaco contraltare all’odio con cui i partigiani si comportavano talvolta con i tedeschi e a quello con cui i tedeschi si comportavano quasi sempre con tutti, che ammanta la natura di un’aria fatata e misteriosa (quasi come se facesse parte della stessa essenza umana), che avviluppa i rapporti interpersonali di una famiglia talmente grande da accettare di aiutare anche gli estranei, che ci accompagna verso un tenerissimo finale in cui (se mai ce ne fosse stato bisogno) si esplicita inequivocabilmente il significato del titolo ed esplodono la meraviglia del futuro, della speranza e della rinascita, che potrebbe portarci a comprendere la magica alchimia grazie alla quale il regista è riuscito a far “parlare” con degli splendidi ed intensi primi piani non solo i volti degli attori professionisti ma (andando controcorrente) anche quelli presi dai campi e dalle strade.
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i suoi film vanno “diritti” al cuore, al punto da scatenare un amore viscerale ed incontrollabile; forse quello stesso amore che pervade buona parte della pellicola, che fa da elegiaco contraltare all’odio con cui i partigiani si comportavano talvolta con i tedeschi e a quello con cui i tedeschi si comportavano quasi sempre con tutti, che ammanta la natura di un’aria fatata e misteriosa (quasi come se facesse parte della stessa essenza umana), che avviluppa i rapporti interpersonali di una famiglia talmente grande da accettare di aiutare anche gli estranei, che ci accompagna verso un tenerissimo finale in cui (se mai ce ne fosse stato bisogno) si esplicita inequivocabilmente il significato del titolo ed esplodono la meraviglia del futuro, della speranza e della rinascita, che potrebbe portarci a comprendere la magica alchimia grazie alla quale il regista è riuscito a far “parlare” con degli splendidi ed intensi primi piani non solo i volti degli attori professionisti ma (andando controcorrente) anche quelli presi dai campi e dalle strade. Controcorrente (ma altrettanto valida) la scelta del dialetto, che contribuisce a far immergere ancora più profondamente lo spettatore all’interno di quel mondo rurale in cui era difficile che le parole venissero sprecate (le scene prive di dialogo sono varie e guai a chi volesse sostenere che rendono il lavoro lento o noioso!). Fedele ricostruzione storica di un periodo in cui molti, pur nella semplicità dello stato sociale a cui appartenevano, si ponevano domande fondamentali per la loro vita (e la loro morte) come il chiedersi da quale parte era giusto stare e quale domani ognuno voleva cercare di costruire per i figli; ad imperituro ricordo del fatto che la guerra significa immancabilmente disprezzo per la vita. Sceneggiatura credibile e realistica, priva degli effetti a tinte cupe che si potrebbero ipotizzare per un argomento tanto crudo e crudele; scenografia accurata e convincente; colonna sonora che accompagna lo spettatore in modo dolce, evocativo e non invasivo. Film fortemente raccomandato a tutti coloro i quali intendono il cinema non come luogo in cui scordare per due ore le preoccupazioni quotidiane bensì come quello in cui nasce il momento della riflessione e dell’approfondimento.
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jordan
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domenica 31 gennaio 2010
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che bel film!
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Un magnifico film,una pellicola stupenda che fa sorridere,piangere e meditare lo spettatore,trattando di questa strage realmente accaduta sulle colline bolognesi con grande maestria ed intelligenza....il cinema italiano è vivo!Consiglio a tutti di andarlo a vedere.
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