laulilla
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domenica 18 aprile 2010
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i ragazzi di teheran.
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Un gruppo di giovani (fra loro anche una ragazza) di Teheran, dalla faccia pulita e dai mille sogni in tasca, vorrebbe cantare, suonare e ascoltare la musica rock di cui ciascuno di loro è appassionato, come milioni di loro coetanei in altri paesi del mondo. Purtroppo a Teheran, il regime instaurato dalla repubblica islamica, soprattutto dopo i contestatissimi risultati delle ultime elezioni, allarga senza tregua e con crescente ottusità il numero dei nemici da reprimere: non solo gli oppositori politici, ma gli intellettuali, i giovani che amano la musica non tradizionale, persino i cagnolini da compagnia, probabilmente anche i gatti, che però, prediligendo le pareti domestiche per loro natura, se la passano un po' meglio e non vengono sequestrati per strada.
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Un gruppo di giovani (fra loro anche una ragazza) di Teheran, dalla faccia pulita e dai mille sogni in tasca, vorrebbe cantare, suonare e ascoltare la musica rock di cui ciascuno di loro è appassionato, come milioni di loro coetanei in altri paesi del mondo. Purtroppo a Teheran, il regime instaurato dalla repubblica islamica, soprattutto dopo i contestatissimi risultati delle ultime elezioni, allarga senza tregua e con crescente ottusità il numero dei nemici da reprimere: non solo gli oppositori politici, ma gli intellettuali, i giovani che amano la musica non tradizionale, persino i cagnolini da compagnia, probabilmente anche i gatti, che però, prediligendo le pareti domestiche per loro natura, se la passano un po' meglio e non vengono sequestrati per strada. In questo quadro, i nostri giovanotti, ritenendo di non avere spazio alcuno per sviluppare il loro talento in patria, decidono di investire i magri risparmi familiari per espatriare. Londra, da sempre amata dagli esuli perseguitati, è l'obiettivo della loro fuga, ma è un difficilissimo traguardo, perché, naturalmente, nessuno può allontanarsi dal paese senza rischiare, a meno di ottenere, dalle autorità pubbliche, un passaporto non contraffatto. Purtroppo, per questi giovani avere un passaporto regolare è impossibile, avendo ciascuno di essi già conosciuto il carcere, senza altra colpa, se non quella di amare la musica. Un quadro davvero impressionante, quello che emerge da questo terribile film, che denuncia la ferocia repressiva di un regime incapace di offrire una speranza a quei giovani che pur amano profondamente il loro paese e non vorrebbero proprio abbandonarlo, solo che venisse offerta loro qualche chanche. Il mondo immobile dell'Iran contemporaneo non è solo quello delle danze delle spade e delle nenie immutabili, ma quello dell'ignoranza diffusa, della sporcizia e del degrado urbano della capitale, dello smog asfissiante, di un traffico caotico e rumorosissimo, sovrastato continuamente dalle sirene sinistre delle auto della polizia.
Tutto questo ci viene narrato con un ritmo veloce e incalzante, che segue il continuo fuggire dei giovani dagli spazi aperti, dove potrebbero essere visti, alla ricerca di luoghi bui, insonorizzati, catacombali, dove la loro passione per il rock possa esprimersi senza troppi problemi. Film molto bello, da vedere e meditare, costato l'esilio al regista, che non è tornato in patria dopo averlo presentato a Cannes.
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olgadik
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martedì 20 aprile 2010
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perseguitati pure cani e gatti
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Underground di nome e di fatto per i giovani musicisti iraniani che, non potendo liberamente suonare con le loro band perché troppo rivoluzionarie, vivono la loro passione letteralmente sottoterra. La città di Teheran nasconde sotto di sé un inimmaginabile percorso fatto di cantine, ambienti in degrado, corridoi, stradine, veri e propri nascondigli dove pareti rozzamente insonorizzate accolgono le note del rock, del rap, suonate da giovani sperimentatori in fuga dalle maglie dell’oppressione e delle censure. Di questo, come di altre realtà del Medio Oriente, si conosce da noi sempre troppo poco e ben venga quindi questo tipo di informazioni. Il film, per questo motivo, è prima di tutto un atto di coraggio e racconta soprattutto l’energia materialmente sottesa a quello che si vede in superficie, ma che cammina ovunque: sui tetti, nelle stanze nascoste, addirittura nelle stalle in campagna.
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Underground di nome e di fatto per i giovani musicisti iraniani che, non potendo liberamente suonare con le loro band perché troppo rivoluzionarie, vivono la loro passione letteralmente sottoterra. La città di Teheran nasconde sotto di sé un inimmaginabile percorso fatto di cantine, ambienti in degrado, corridoi, stradine, veri e propri nascondigli dove pareti rozzamente insonorizzate accolgono le note del rock, del rap, suonate da giovani sperimentatori in fuga dalle maglie dell’oppressione e delle censure. Di questo, come di altre realtà del Medio Oriente, si conosce da noi sempre troppo poco e ben venga quindi questo tipo di informazioni. Il film, per questo motivo, è prima di tutto un atto di coraggio e racconta soprattutto l’energia materialmente sottesa a quello che si vede in superficie, ma che cammina ovunque: sui tetti, nelle stanze nascoste, addirittura nelle stalle in campagna. Questa specie di documentario che mette in scena anche la storia di due personaggi è però a mio parere interessante soprattutto come testimonianza della realtà iraniana, essendo la storia debolina, gli attori un po’ inespressivi (salvo il pirotecnico e comico Hamed Behdad), il mezzo quasi da cinema amatoriale, girato com’è con una piccola camera da ripresa digitale. Ciò avviene perché il materiale da 35 mm. è di proprietà privata dello stato che “seleziona” i registi a cui darlo. Nel nostro caso l’autore è il curdo-iraniano Barman Ghobadi, conosciuto da noi solo per Il tempo dei cavalli ubriachi e malvisto dal potere del suo paese. Accanto a lui come sceneggiatrice e fidanzata Roxana Saberi, processata in Iran per un supposto spionaggio a favore degli Usa e poi assolta. Se si aggiunge che Gohbadi è noto a casa sua solo attraverso dvd che circolano di nascosto, è chiaro il quadro della situazione. E veniamo al film. Dopo un piccolo prologo entrano in scena i giovani protagonisti, Ashkan e la sua ragazza Negar, che hanno deciso di andar via dall’Iran per poter liberamente coltivare i loro sogni e la loro musica. Due i problemi rilevanti: procurarsi dei passaporti falsi e individuare altri musicisti appassionati della musica nuova con cui formare una band esportabile in Occidente. Ad aiutarli nella soluzione di entrambi spunta Nader, ineffabile factotum traffichino e fanfarone, che conosce tutti i segreti del mondo sotterraneo e di quelli che lo fiancheggiano, fornendo locali, informazioni e passaporti falsi. Con lui i due ragazzi girano per la città superore e inferiore e tramite i loro giri noi conosciamo le varie realtà sociali che compongono quel paese con luci nascoste e ombre evidenti, nel degrado, nella miseria, nell’atmosfera opprimente di un regime che ce l’ha anche con i cani e i gatti, considerati impuri e da confinare nelle case. Come questi animali, si vorrebbe imprigionare la musica, salvando solo quella tradizionale, come se le note e l’espressione artistica potessero essere gestite dall’alto senza respirare aria i libertà. Invece il film vuole proprio documentare come ogni società tenda ad esprimere energie giovani, le quali, pur soffocate, sanno farsi strada accettando pure drammi e difficoltà, perché dove c’è da creare c’è anche lo spazio per un sorriso. Pur non ignorando le contraddizioni dei sistemi politici d’altro tipo e gli appiattimenti di un mondo globalizzato, la ricerca dei due giovani si nutre di impegno e speranza, due disposizioni d’anima che fioriscono anche tra paure e underground.
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