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sassari
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venerdì 29 maggio 2009
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perplesso
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ma mymovies non era un sito che condannava tutti i film violenti e sanguinosi? ora che avete preso i soldi dal distributore di antichrsist, non potete parlarne male...
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paride86
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venerdì 29 maggio 2009
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un'opera d'autore difficile da giudicare
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Film difficilissimo da giudicare, anche se si tratta di un'opera d'autore.
Il prologo e l'epilogo, girati in un morbidissimo bianco e nero con musica di Handel, sono poesia pura; alcune sequenze affascinano per la spettacolarità macabra e manierista; il problema è il resto. Come leggere gli eventi raccontati?
Il sesso è proposto come una colpa (l'obiettivo che alterna ossessivamente la caduta del figlio con la faccia estatica dei genitori durante l'amplesso)? Ma se il bimbo è l'anticristo non può essere una colpa intesa nel senso negativo del termine!
E ancora: come interpretare le continue contraddizioni della moderna "Eva", a tratti amorevole e poi improvvisamente violenta? E' posseduta totalmente dal maligno o lotta per vincere il male dentro di sè (altrimenti perché infliggersi un'automutilazione)? Dobbiamo assolverla o condannarla?
E poi: Von Trier, identificando nella donna la radice del male, vuole criticare provocatoriamente la genesi cristiana, anch'essa orientata verso la colpevolizzazione di Eva, o più semplicemente esprimere la propria misoginia?
Un'attenta visione e un'accurata riflessione non mi sono bastate a sciogliere i dubbi sulle ambiguità della storia, che dopotutto neanche Von Trier ha voluto approfondire.
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Film difficilissimo da giudicare, anche se si tratta di un'opera d'autore.
Il prologo e l'epilogo, girati in un morbidissimo bianco e nero con musica di Handel, sono poesia pura; alcune sequenze affascinano per la spettacolarità macabra e manierista; il problema è il resto. Come leggere gli eventi raccontati?
Il sesso è proposto come una colpa (l'obiettivo che alterna ossessivamente la caduta del figlio con la faccia estatica dei genitori durante l'amplesso)? Ma se il bimbo è l'anticristo non può essere una colpa intesa nel senso negativo del termine!
E ancora: come interpretare le continue contraddizioni della moderna "Eva", a tratti amorevole e poi improvvisamente violenta? E' posseduta totalmente dal maligno o lotta per vincere il male dentro di sè (altrimenti perché infliggersi un'automutilazione)? Dobbiamo assolverla o condannarla?
E poi: Von Trier, identificando nella donna la radice del male, vuole criticare provocatoriamente la genesi cristiana, anch'essa orientata verso la colpevolizzazione di Eva, o più semplicemente esprimere la propria misoginia?
Un'attenta visione e un'accurata riflessione non mi sono bastate a sciogliere i dubbi sulle ambiguità della storia, che dopotutto neanche Von Trier ha voluto approfondire.
Il film, comunque, non è privo di difetti: ci sono molti punti morti in cui diventa noioso (nonostante la breve durata) e ben poco inquietante; inoltre la regia è piuttosto discontinua: a volte la camera procede ferma, altre volte traballa e in un paio di scene c'è un uso barbaro dello zoom.
Alcune sequenza, poi, sono davvero difficili da guardare e a mio giudizio, pur essendo intrinsecamente legate allo sviluppo narrativo della storia, sono state gratuitamente calcolate per colpire lo spettatore allo stomaco.
Nel dubbio sul giudizio do una sufficienza politica.
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vixens
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giovedì 28 maggio 2009
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critica da minculpop
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esco appena adesso dal cinema...il film è molto bello, non facile, pieno di argomenti e di riferimenti, nei contenuti e visivi. Un film ricco, non direi elegante ma dalle forme estreme e dai colori accesi come una pittura fiamminga. Ho voluto accedere al sito per leggere le recensioni, che immaginavo, soprattutto quelle dei quotidiani di "sinistra", liquidatorie e irridenti. Critici conformisti, di apparato, che non vedono al di là del proprio naso. C'è poco da stare allegri in questo paese: da una parte c'è Berlusconi e la sua cultura-intrattenimento, dall'altra il conformismo cattocomunista, ormai rancido. Ci vuole molta malafede a trattare con sufficienza quest'opera solo perché trascende tematiche sociali o propone una visione delle cose non conforme a un'idea unilateralmente considerata "progressista".
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esco appena adesso dal cinema...il film è molto bello, non facile, pieno di argomenti e di riferimenti, nei contenuti e visivi. Un film ricco, non direi elegante ma dalle forme estreme e dai colori accesi come una pittura fiamminga. Ho voluto accedere al sito per leggere le recensioni, che immaginavo, soprattutto quelle dei quotidiani di "sinistra", liquidatorie e irridenti. Critici conformisti, di apparato, che non vedono al di là del proprio naso. C'è poco da stare allegri in questo paese: da una parte c'è Berlusconi e la sua cultura-intrattenimento, dall'altra il conformismo cattocomunista, ormai rancido. Ci vuole molta malafede a trattare con sufficienza quest'opera solo perché trascende tematiche sociali o propone una visione delle cose non conforme a un'idea unilateralmente considerata "progressista". Credo che la vera arte lavori sempre a favore della trasformazione e del cambiamento, e della critica. Il ciarpame, la maniera e la convenzione, quelli si che sono reazionari.
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cuci85
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mercoledì 27 maggio 2009
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all'inferno, senza ritorno.
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Non un film, un'esperienza. E come tale, difficilmente valutabile.
Il mestiere e la tecnica sono innegabili, bastano pochi minuti in un bianco e nero rallentatissimo (scommettiamo che farà scuola?), o le atmosfere, o i quadri distorti e vibranti. Ma, come detto, non si tratta di un semplice film, e queste cose non sono che un contorno di tecnica che potrebbe sfiorare il manierismo. Poi c'è la Storia, o la Non Storia, a discrezione dello spettatore. Tornano i capitoli (un predecessore su tutti, Dogville), gradini di una ripida scala verso la profondità del male. Ho visto ogni genere di film, anche il più estremo, ma quel pianto nella foresta, quel dolore di Natura che si propaga intorno alla donna, quello è stato qualcosa di mai visto.
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Non un film, un'esperienza. E come tale, difficilmente valutabile.
Il mestiere e la tecnica sono innegabili, bastano pochi minuti in un bianco e nero rallentatissimo (scommettiamo che farà scuola?), o le atmosfere, o i quadri distorti e vibranti. Ma, come detto, non si tratta di un semplice film, e queste cose non sono che un contorno di tecnica che potrebbe sfiorare il manierismo. Poi c'è la Storia, o la Non Storia, a discrezione dello spettatore. Tornano i capitoli (un predecessore su tutti, Dogville), gradini di una ripida scala verso la profondità del male. Ho visto ogni genere di film, anche il più estremo, ma quel pianto nella foresta, quel dolore di Natura che si propaga intorno alla donna, quello è stato qualcosa di mai visto. E la ricerca del sublime o dell'immondo (perché di questo si tratta, a conti fatti) non può e non deve lasciare indifferenti. Personalmente sono stanco di sentir parlare di pornografia. Qui c'è il Mostrato, oltre ogni limite, è vero, ma mai gratuitamente, mai per una mera provocazione. Per questo Von Trier rischia di sfiorare il ridicolo: ci mette davanti a qualcosa di difficilmente affrontabile, in ogni senso e con ogni senso, e in prima fila rifiutiamo con una risatina o un'espressione disgustata quanto ci viene (imposto?) mostrato.
Che coraggio, mi dico. Sì, stiamo parlando di un regista famosissimo, che "può fare quello che vuole", quindi forse coraggio non è il termine giusto... Ma come altro definire questa autopsia di sentimenti, questo sanguinoso scavare nel Mai Detto, in una dimensione che terrorizza perché è quella dei sogni (e degli incubi), in cui il Male respira, gli animali parlano, non esiste Morte, solo dolore.
Mi chiedo come possano aver affrontato una tale prova gli attori. Come calarsi in un tale oblio... ma soprattutto come tirarsene fuori? Che prova straordinaria e assolutamente sottovalutata per entrambi. La verità è che il limite della recitazione è stato spostato un po' oltre, e sono queste le cose che scrivono la Storia del Cinema. Ben vengano le polemiche, il disgusto, e quant'altro. Von Trier è un regista arrogante ed elitario, un Artista decadente a cui non siamo più abituati, un Personaggio, lui stesso, prima dei suoi attori: e mi chiedo quanto ci sia, di lui, in quell'uiltima scena sulla collina, tra le donne senza volto.
Paradossalmente, in un film a tratti puramente simbolista, sono proprio i simboli a funzionare meno, perché troppo insistiti, ripetuti, involontariamente ironici (il corvo nelle tana della volpe). E la Carne, quella straziata, quella penetrata e posseduta e mutilata, quella mischiata alle radici e al muschio, regna. Come il caos.
Onore al merito di riuscire a scuotere un pubblico, oggi. E non solo con il facile potere dello scandalo. Con la ricerca, la sperimentazione. Il dolore: quello interpretato e quello reale, di cui l'opera è parto legittimo.
Ancora, per favore.
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meddows
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mercoledì 27 maggio 2009
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chi è l'anticristo? a pensarci bene... è lars!
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L'Anticristo di Lars è un'opera intensa e molto formale, che fa della narrazione piuttosto che del narrato il suo punto di forza. Il prologo che apre il film è la dichiarazione d'intenti dell'autore: l'attenzione è tutta sulla forma, sulla scelte di regia che se da una parte rimandano al primo von Trier, dall'altra sembrano rinnegare tutto ciò che il regista danese ha realizzato negli ultimi tempi. La fotografia livida e ricercatissima, le riprese a rallentatore, la scelta di precisissimi dettagli piuttosto che la (solo apparente) scarna casualità del Dogma, tutto questo sparisce davanti ad una ricercatissima scelta di stile che è anche un atto d'amore ad un certo cinema europeo (il film è dedicato a Tarkovsky).
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L'Anticristo di Lars è un'opera intensa e molto formale, che fa della narrazione piuttosto che del narrato il suo punto di forza. Il prologo che apre il film è la dichiarazione d'intenti dell'autore: l'attenzione è tutta sulla forma, sulla scelte di regia che se da una parte rimandano al primo von Trier, dall'altra sembrano rinnegare tutto ciò che il regista danese ha realizzato negli ultimi tempi. La fotografia livida e ricercatissima, le riprese a rallentatore, la scelta di precisissimi dettagli piuttosto che la (solo apparente) scarna casualità del Dogma, tutto questo sparisce davanti ad una ricercatissima scelta di stile che è anche un atto d'amore ad un certo cinema europeo (il film è dedicato a Tarkovsky). Fra l'altro non è neanche il caso di banalizzare la trama che ai più è sembrato solo un pretesto: alla storia, invece, proprio perché infrange una costante di von Trier (la donna succube e martire è qui ritratta spietata e colpevole) bisogna dedicare più di una riflessione, perché se è vero che il complesso impianto teorico sembra non risolversi del tutto, è altrettanto vero che al termine Anticristo che fa da titolo bisognerà pur trovare un senso. Se al pubblico di Cannes è saltato in testa l'immediata risposta religiosa e provocatoria della pellicola (se il creato è frutto di Dio ed è il creato a proporsi come incarnazione del male, ne consegue che la natura perversa mostrata nel film è l'Anticristo e dunque il male nasce in nuce nel bene), a me piace pensare che von Trier abbia voluto ancora una volta giocare con la sua smisurata ego e se è vero che è difficoltoso riconoscere in questo film la cifra stilistica a cui l'autore ci aveva abituati, mi vien da pensare che l'Anticristo sia il film stesso nel porsi come anti-von Trier, cioè come negazione, glorificazione ma soprattutto superamento di una carriera, un atto coraggioso e necessario per un uomo travolto dalla depressione e bisognoso di nuovo slancio. Alla fine, l'estrema formalità, l'uso del digitale, gli effetti speciali, l'astrazione totale dal mondo (i protagonisti non hanno nome e si muovono per lo più in un bosco chiamato Eden!) sono tutti segnali che qualcosa è cambiato, che l'antiLars si è manifestato.
Se il nuovo percorso è irreversibile ce lo dirà solo il tempo. Nel frattempo, vale assolutamente la pena vedere questo film che potrebbe essere un nuovo modo di fare horror, atipico e classico insieme (gli espedienti del genere ci sono tutti), affermazione e negazione al tempo stesso. Proprio come la definizione Anticristo: positivo e negativo insieme. Una favola, certo, ma non dimentichiamoci con quale regista abbiamo a che fare.
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[+] dalla parte dei mendicanti
(di arielmusico)
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giulia_mb
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mercoledì 27 maggio 2009
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capolavoro registico ma significato complesso
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"Antichrist" è uno di quei film su cui uno punta diverse aspettative, quindi se non va come ti aspetti ci rimani particolarmente di sasso. Innanzitutto non è un horror, ma uno psico-thriller dalla connotazione un po' mattonesca (io pongo una sostanziale differenza tra horror e thriller e questo, nonostante alcune scene scabrose, non è un horror).
Registicamente devo dire che è girato in modo magistrale. La sequenza del "Prologo" è da manuale, rare volte ho visto un'attenzione all'estetica così curata e particolareggiata. Splendida! In ogni caso, tutto il film presenta peculiarità tecniche notevoli.
Quello che mi ha delusa è stata un po' la trama, semmai. Dato che il film si regge esclusivamente sull'interpretazione, dall'inizio alla fine, di due soli attori, e dato che è quasi totalmente privo di commento musicale, il rischio che diventasse una noia era bello alto e in parte è successo.
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"Antichrist" è uno di quei film su cui uno punta diverse aspettative, quindi se non va come ti aspetti ci rimani particolarmente di sasso. Innanzitutto non è un horror, ma uno psico-thriller dalla connotazione un po' mattonesca (io pongo una sostanziale differenza tra horror e thriller e questo, nonostante alcune scene scabrose, non è un horror).
Registicamente devo dire che è girato in modo magistrale. La sequenza del "Prologo" è da manuale, rare volte ho visto un'attenzione all'estetica così curata e particolareggiata. Splendida! In ogni caso, tutto il film presenta peculiarità tecniche notevoli.
Quello che mi ha delusa è stata un po' la trama, semmai. Dato che il film si regge esclusivamente sull'interpretazione, dall'inizio alla fine, di due soli attori, e dato che è quasi totalmente privo di commento musicale, il rischio che diventasse una noia era bello alto e in parte è successo. Per 3/4 di film ci si aspetta che debba accadere chissà cosa, e lo spettatore inizia a collezionare un numero notevole di domande, per le quali, spera, ci sarà una risposta. All'ultimo quarto del film le carte in tavola cambiano, ma io ho avuto l'impressione di trovarmi in una commistione di: "Misery non deve morire", "La guerra dei Roses", "The Blair Witch Project 2" e diverse altre pellicole. Le domande cui accennato poco sopra? Eh, rimangono irrisolte. Quali non ve le dico, altrimenti vi rovinerei la sorpresa. Insomma sono uscita dalla sala con quell'amarezza in bocca tipica di quando una pellicola non viene colta o semplicemente è troppo cervellotica per essere capita al primo colpo. ebbene si, stavolta lo dichiaro: non l'ho capito!
Se qualcuno mi illustra gentilmente il significato recondito di questo film... e soprattutto degli animali che compaiono (perchè la volpe ha una campana al collo?).
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(di giulia_mb)
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deleuze
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mercoledì 27 maggio 2009
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raffinata metafora escatologica
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Il film è molto forte, certo, ma si tratta di un esperimento di valore immenso perchè nessuno (forse solo abel ferrara) fino ad oggi aveva osato una commistione così raffinata ed elegante tra i toni cupi dello splatter, l'etica e l'elaborazione del lutto. Un'indagine incredibilmente scientifica dei sintomi di panico, ansia, dolore, col senso di un rito di iniziazione (pensiamo alla foresta e alla conclusione): una straordinaria catarsi, paradossalmente assai realistica , poichè in questo film non accade nulla di paranormale dal momento che le metafore e i segni sono naturalmente riconducibili al meccanismo psichico della 'sostituzione'.
Un uomo e una donna si rifugiano in un bosco, simobolo delle paure oniriche che soffocano la donna alla presa coi sensi di colpa per la morte accidentale del loro bambino durante un amplesso.
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Il film è molto forte, certo, ma si tratta di un esperimento di valore immenso perchè nessuno (forse solo abel ferrara) fino ad oggi aveva osato una commistione così raffinata ed elegante tra i toni cupi dello splatter, l'etica e l'elaborazione del lutto. Un'indagine incredibilmente scientifica dei sintomi di panico, ansia, dolore, col senso di un rito di iniziazione (pensiamo alla foresta e alla conclusione): una straordinaria catarsi, paradossalmente assai realistica , poichè in questo film non accade nulla di paranormale dal momento che le metafore e i segni sono naturalmente riconducibili al meccanismo psichico della 'sostituzione'.
Un uomo e una donna si rifugiano in un bosco, simobolo delle paure oniriche che soffocano la donna alla presa coi sensi di colpa per la morte accidentale del loro bambino durante un amplesso. L'uomo sembra rifugiarsi in una posizione estranea al lutto in quanto si trasforma nel terapeuta di lei. Fino a che non scopre le agghiaccainti ragioni della schizofrenia della sua compagna.
Ingiudicabili le affermazioni di chi lo giudica un film misogino.
In sostanza 'antichrist' può certamente essere visto esclusivamente sotto il lato provocatorio, ma agli occhi di uno spettatore acerbo, o presuntuoso, e comunque poco disposto a riflettere sulla simbologia del film tutt'altro che astrusa.
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stefano montecchi
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martedì 26 maggio 2009
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allucinazione lucida, analisi perversa
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Il film è il risultato di una sofferta fuga dalla depressione che Von Trier ha attraversato negli ultimi 2 anni.
Sporco nella sua apparente eleganza, depravato nella sua messa in scena, ANTICHRIST ha in se' il germe del dolore (che è anche il titolo di uno dei capitoli di cui il film è suddiviso), e per tutto il primo tempo si ha l'impressione che il regista abbia riversato nel film gli insegnamenti del suo analista.
Storia semplice: marito e moglie (bravissimi gli interpreti) fanno l'amore mentre il piccolo figlio cade dalla finestra e muore. Il marito (un terapista) decide di curare i sensi di colpa della moglie nella loro casetta nel bosco (denominato EDEN).
Le belle immagini al rallentatore sono a volte interrotte, già dall'inizio, da pesanti primi piani di genitali atti a mostrare la carnalità della presenza umana in un film che vede, come contraltare ai due protagonisti, la "natura".
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Il film è il risultato di una sofferta fuga dalla depressione che Von Trier ha attraversato negli ultimi 2 anni.
Sporco nella sua apparente eleganza, depravato nella sua messa in scena, ANTICHRIST ha in se' il germe del dolore (che è anche il titolo di uno dei capitoli di cui il film è suddiviso), e per tutto il primo tempo si ha l'impressione che il regista abbia riversato nel film gli insegnamenti del suo analista.
Storia semplice: marito e moglie (bravissimi gli interpreti) fanno l'amore mentre il piccolo figlio cade dalla finestra e muore. Il marito (un terapista) decide di curare i sensi di colpa della moglie nella loro casetta nel bosco (denominato EDEN).
Le belle immagini al rallentatore sono a volte interrotte, già dall'inizio, da pesanti primi piani di genitali atti a mostrare la carnalità della presenza umana in un film che vede, come contraltare ai due protagonisti, la "natura".
L'horror è un pretesto per raccontare una morale originale: l'essere umano, che fa parte dalla natura, a causa della propria razionalità se è discostato fino a non comprenderla più, per arrivare, dopo secoli di incomprensioni, ad attribuirle significati che sfociano nella superstizione e in una cattiva analisi di essa e della sua presenza. "La natura è Satana", dice la moglie a metà film.
Ed ecco che il film cambia: marito e moglie riavvicinati nel dolore della perdita del figlio, si dimostrano infine antitetici. Lui, razionale, si ritrova amico della natura (al punto da essere paragonato ad una quercia morente che distribuisce ghiande come fosse sperma per un innato senso di immortalità della propria specie). Lei, che si scoprirà avere usato la casa nel bosco come rifugio per studi satanici che l'hanno completamente assorbita, diventa un'eretica che "usa" la natura in modo distorto per dare un senso a un'esistenza che, come direbbe Vasco Rossi, un senso non ce l'ha. La donna si masturba e si fa amare dal marito su una catasta di legna che nasconde cadaveri del passato, gestisce la sua vita in base a una geografia astronomica apocrifa, subisce il fascino di animali (corvo, volpe e cerbiatto) ai quali attribuisce oscuri significati, si scopre avere volontariamente recato danno al frutto del suo corpo, il figlio.
Tra cadute di stile (la volpe che parla, ad esempio) e ritmi che si lasciano scappare d mano il grande pubblico, il film arriva a un finale simile a quello dell'horror asiatico AUDITION. La moglie si trasforma in strega, infligge al marito torture ai genitali, e stessa cosa fa a se' stessa. A questo punto anche il sesso, che è "natura", diventa depravazione ed insulto.
L'eretico del film è proprio Von Trier, che distrugge il simbolismo e ogni tipo di superstizione per ritrovare una visione laica del mondo attorno a noi, una visione oggettiva della natura che ci circonda e di noi che ne facciamo parte (il finale che non spiegherò parla chiaro in questo senso).
Tre stelle per l'impegno, per l'originalità, per il genio di un folle che ha però l'arroganza di portare lo spettatore a visioni estreme (rimarrà impressa nella mente la scena del clitoride così come fece quella dell'occhio di Bunuel), in un mondo che poteva essere raccontato in tanti modi fuorchè questo, il mondo di Von Trier. Come accade nel film alla moglie, Von Trier è il nemico di se' stesso. E la violenza che fa verso se' stesso per liberarsi dai suoi mostri interiori diventa uno schiaffo dato in faccia al pubblico.
Che fatica amare un regista che ama essere odiato.
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altrove
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martedì 26 maggio 2009
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altrove
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Mai mi ero trovato davanti ad una rappresentazione della depressione e del senso di colpa cosi' " reale".
Probabilmente l'esperienza vissuta da Lars Von Trier a riguardo deve essere stata un'incubo ....portato poi sullo schermo.
Vi consiglio questo film ( domani sera torno a vederlo ) e a ridere di chi ride....
Andrea
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rerum
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martedì 26 maggio 2009
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qual'è il vostro male personale?
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Una coppia e un bimbo che muore. Un bosco. Tre strani animali. La depressione. La follia. La paura. Una terapia per sconfiggerla.
Ma il dolore e la disperazione sono ancora più terribili.
Lars stava molto male, ha fatto il film più importante della sua carriera.
Un film autobiografico, non bisogna dimenticarlo. Generato dal buio. Dal male oscuro che offusca la mante e ti ruba la gioia e la serenità. Le radici vanno forse cercate nell'infanzia. Genitori libertini. Il bisogno urgente di un padre. Di una disciplina.
Lars Von Trier aveva l'inferno dentro. Ha vomitato su pellicola le nostre più grandi paure, le ha simbolizzate in tanti simboli. Simbologia a gogo, che chissà quante cose non comprenderete.
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Una coppia e un bimbo che muore. Un bosco. Tre strani animali. La depressione. La follia. La paura. Una terapia per sconfiggerla.
Ma il dolore e la disperazione sono ancora più terribili.
Lars stava molto male, ha fatto il film più importante della sua carriera.
Un film autobiografico, non bisogna dimenticarlo. Generato dal buio. Dal male oscuro che offusca la mante e ti ruba la gioia e la serenità. Le radici vanno forse cercate nell'infanzia. Genitori libertini. Il bisogno urgente di un padre. Di una disciplina.
Lars Von Trier aveva l'inferno dentro. Ha vomitato su pellicola le nostre più grandi paure, le ha simbolizzate in tanti simboli. Simbologia a gogo, che chissà quante cose non comprenderete. Ma vi chiederete il significato, eccome, e se questo non è già un pregio non so cosa posso esserlo.
Poi la sua paura per le donne. O per una donna, una sola? Una che le fatto male, molto male. Forse una. Tutti i volti offuscati.
Nel film possiamo vedere in faccia solo i protagonisti.
La Natura. Femmina. Donna. Madre. Regno di Satana.
Forse quando parlerà la volpe riderete. Forse sarà solo una risata liberatoria.
Poi la macelleria si apre. Orrori penici e clitoridei. Il bimbo ha le scarpe al contrario. La madre degenere, il padre arrogante. Misogino.
Fino alla ricongiunzione con se stessi. Con la Natura. Con il Mondo. Con la luce. Chè il prezzo da pagare è alto.
Chè uccidere non è mai stato così terribile.
Chè bisognava auto infliggersi una punizione, Eliminare il piacere. Il sesso. Che qui ha la forma dell'ossessione e non sai mai dov'è l'amore. Sembra una cura. E la malattia è tanta.
Attacchi di panico, vertigini, tragicità ineluttabile. Il tutto reso con una camera mai fissa. Giochi fotografici. Composizioni pittoresche d'immagini non-sense.
E un omaggio al cinema classico, quello d'altri tempi. Che non si accontentava di pacchetti. Montaggi eizensteniani. Sequenza d'apertura e sequenza di chiusura su tutte. E una dedica finale, alla memoria di Tarkowski.
A qualcuno non piacerà. Qualcuno resterà in sala fino all'ultimo titolo di coda. A leggere di ricerche. Prima su tutte "Ricerche sulla MISOGINIA affidate a...". Ma in conclusione un mare di donne, belle semplici, stupende. La luce ora è tornata. La Natura non è più matrigna.
Qualcuno rispolvererà la moda di cercare un significato, o meglio un senso, a qualcosa che affascina e non sai perchè.
Lars è malato, ripeto. Tenetelo presente. Sempre.
Chiave di lettura, i versi di Handel, cantati, all'inizio e alla fine:
"Lascia ch'io pianga/ mia cruda sorte/ e che sospiri la libertà".
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