Cous Cous

Tra fiction e documentario il cinema racconta il mondo

Quando il cinema decide di riflettere sulla complessità del mondo e sulle sue realtà, e vuole non solo comunicare emozioni e pensieri, ma anche distogliere dalle menzogne o idee preconcette che ci sommergono, è meglio che scelga la forma del documentario o quella della storia a soggetto? Abdellatif Kechiche, giovane attore franco-tunisino di nobile aspetto, regista del multipremiato "La schivata" e qui in concorso con La graine et le mulet, ha preferito la fiction, proprio per evitare ogni sospetto documentale. «Volevo far emergere la quotidianità, la vitalità, di una delle tante comunità franco-maghrebine contro i tanti luoghi comuni che marchiano i sei milioni di arabi che vivono in Francia».
I maghrebini di Kechiche vivono nella città portuale di Sète, vicino a Marsiglia, tra sfruttamento e disoccupazione, e il sessantenne operaio Slimane, del resto lentissimo, perde il posto: lui si deprime, ma la vasta famiglia, quando si riunisce attorno a un tavolo con figli e nipotini, è rumorosa e allegra. Dalla moglie ha divorziato, vive in un alberghetto la cui padrona, lui renitente, lo vuole nel suo letto. Protagonisti il cous cous e il ristorante che il licenziato diventato intraprendente tenta di aprire su una vecchia carcassa di nave. Accenni di flautato razzismo tra le autorità che dovrebbero rilasciare i permessi agli arabi, ragazze molto belle, che se le lasci aprir bocca non la smettono di chiacchierare e urlare, attorno al costo eccessivo dei pannolini infantili e al nido per terrorizzare i padroni spilorci. Donne molto più positive, intraprendenti e inventive degli uomini, piuttosto vili e pigri, discorsi salaci tra coppie, mogli di nessun conto extracomunitarie, cioè russe, gelose dei loro mariti mori arabo-francesi che le cornificano con le francesi bionde, un po' di malocchio e nessun accenno all'Islam.
La graine et le mulet ("Il grano e il muggine", cioè il cous cous di pesce) è il primo film cui si attribuisce, forse esagerando, un eventuale Leone d'Oro. Geniale la danzatrice del ventre piuttosto panciona, che fa alla madre una stupefacente interminabile scenata, tra lacrime e naso che cola, per convincerla che la sua rivale è un'orribile odiosa cicciona malvestita stracciona ridicola spettinata... Si chiama Hafsia Herze, è un'esordiente ventenne dal viso bellissimo, parigina di madre algerina e padre tunisino, finora, come attrice, la più brava.
Da La Repubblica, 4 settembre 2007

di Natalia Aspesi, 4 settembre 2007