Roberto Nepoti
La Repubblica
In Triple agent, ai tempi del Fronte Popolare francese, l'ex-generale zarista Fiodor e sua moglie Arsinoe vivono a Parigi. Lui, funzionario di un'associazione di russi bianchi, è ferocemente anticomunista; lei inganna la noia dipingendo scene di strada dal salotto di casa, senza osare avventurarsi all'esterno. Ma la vita apparentemente regolata di Fiodor è una messa in scena, una partita a nascondino. Forse l'uomo lavora per i sovietici. O non lo farà, piuttosto, per la Germania nazista?
Difficile immaginare Eric Rohmer, il delicato regista degli amori delle fanciulle in fiore, implicato in una storia di spionaggio. Tuttora più interessato (vedi i "Racconti morali") alle parole che non ai fatti, più che agli eventi alla loro narrazione, Rohmer affronta il tema della politica e delle sue infinite manipolazioni sul terreno che gli è congeniale. Sposta, cioè, il soggetto del dubbio e del tradimento nel campo della politica, ma osservandolo dall'interno della coppia Fiodor-Arsinoe; anche se, nel caso, si tratta di un inganno psicologico piuttosto che carnale.
Il problema (e la delusione) sta nel constatare che Triple agent è un film totalmente chiuso su se stesso, senza contatti con la realtà a cui intende rinviarci. A digiuno di notizie sul controspionaggio russo tra le due guerre mondiali, capiamo ben poco delle allusioni storiche mentre, tra un lungo dialogo e l'altro della coppia (alternati con immagini d'archivio in stile scolastico), sentiamo che l'attenzione ci sta gradualmente abbandonando.
Da La Repubblica, 2 giugno 2005
di Roberto Nepoti, 2 giugno 2005
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