Oshima ritorna. E lo fa in grande stile. L'epoca del film è una delle più affascinanti e interessanti che la storia ricordi: la fine del Giappone feudale e dell'era Tokugawa e l'inizio del Giappone moderno che nel giro di 40 anni sarà in grado di ridurre il gap rispetto ai concorrenti industrializzati. In quel tempo il giappone si trovava diviso tra ottusi isolazionisti, contrari all'apertura del giappone agli scambi internazionali (Perry aveva attaccato nel '53) e coloro che invece vedevano come inevitabile e auspicabile una nuova era. I primi erano formati dall'Imperatore, che non contava nulla ormai da vari secoli e dai Daymio, i signori feudatari, difesi dai samurai, che pensavano di vedere ridimensionato il loro status; i secondi erano cappeggiati da colui che deteneva il controllo del potere al posto dell'imperatore, lo Shogun.
E Oshima ci offre uno sguardo all'interno di un celebre gruppo di samurai, gli Shinsengumi, che mantenevano la sicurezza nella città di Kyoto.
Vi è un'aria funeraria, pesante e grigia per tutto il film, l'atmosfera che si respirava nel Giappone in quell'epoca di fine; tutti hanno l'impressione che ormai la modernità sta per entrare e invadere il loro paese; i samurai stessi lo sanno, sono consapevoli di combattere per una causa inevitabilmene persa e usano la spada non per difendersi dal nemico o attaccare il nemico, ma per difendere loro stessi, il loro onore.
All'interno della scuola Shinsengumi arriva un giovane, un novizio di nome Kano, dalla bellezza efebica e conturbante che sconvolge quell'ambiente, fatto di regole, disciplina, virilità, harakiri. Tutti sono diversamente coinvolti e rimangono investiti da quel nuovo arrivo: chi nel pensiero, con gelosia e diffidenza, chi nei fatti, lasciandosi attrarre da quel giovane dai "capelli lunghi". Tra combattimenti di spade, allenamenti coi bastoni, scenografie stupende, inquadrature affascinanti e anche un pizzico di estetismo che non guasta, il film approda al finale bellissimo e allo stesso tempo non perfettamente comprensibile, che si lascia a più di un'interpretazione: Kitano, che nel film ricopre il ruolo di un samurai di alto grado, recide un bianchissimo mandorlo in fiore con un colpo di spada. E' simbolo della bellezza di Kano che nasconde malvagità e che deve essere eliminata perchè ha distrutto la scuola? E' sinonimo della fine di un'epoca e dell'impotenza dei samurai? E' l'occidente che con la rapidità di un colpo di spada investe il Giappone, paese incontaminato come quel mandorlo? Forse tutto insieme. Consapevoli che lo spettatore occidentale non è in grado di comprendere fino in fondo un'opera così complessa e così diversa dai propri canoni, non si può far altro che ringraziare Oshima per essere tornato. Delizioso.
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