granfa
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venerdì 18 settembre 2009
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le facce del cubo
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Il film ha vari livelli di lettura.
Partendo dalla superficie,"The Cube" è senza dubbio un discreto film horror.La psicosi da "animali in trappola" e il decadimento psico-fisico dei protagonisti esaspera in modo crescente i toni, mantenendo un buon livello di suspense per tutto il film.
E' abbastanza chiaro che il film vuole essere una metafora della vita,come risulta evidente nei dialoghi centrali tra Daniel e Quentin.I protagonisti non hanno idea delle ragioni per cui si trovano nel cubo(la vita) e tanto meno capiscono se a capo di tutto c'è un'intelligenza(Dio) o se è frutto del caso(tesi nichilista di Daniel,esplicitata chiaramente nel film).Ogni personaggio vive in maniera diversa l'esperienza nel cubo,così come ognuno nella vita fa le proprie scelte.
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Il film ha vari livelli di lettura.
Partendo dalla superficie,"The Cube" è senza dubbio un discreto film horror.La psicosi da "animali in trappola" e il decadimento psico-fisico dei protagonisti esaspera in modo crescente i toni, mantenendo un buon livello di suspense per tutto il film.
E' abbastanza chiaro che il film vuole essere una metafora della vita,come risulta evidente nei dialoghi centrali tra Daniel e Quentin.I protagonisti non hanno idea delle ragioni per cui si trovano nel cubo(la vita) e tanto meno capiscono se a capo di tutto c'è un'intelligenza(Dio) o se è frutto del caso(tesi nichilista di Daniel,esplicitata chiaramente nel film).Ogni personaggio vive in maniera diversa l'esperienza nel cubo,così come ognuno nella vita fa le proprie scelte.Nonostante l'insieme delle capacità dei protagonisti(l'umanità) fosse potenzialmente in grado di superare le difficoltà e di arrivare all'uscita del cubo,il gruppo si spacca e la maggior parte dei protagonisti fa una brutta fine,solo il ritardato-genio Kazan riesce nell'impresa.
La Ragione dell'uomo(le capacità matematiche di Leaven e Kazan) sono decisive per trovare l'uscita;eppure se i protagonisti avessero rinunciato fin dall'inizio(Daniel di per sè non cercherebbe di uscire),sarebbero giunti comunque allo stesso compartimento(il primo e l'ultimo sono identici).
Come in un'esperienza di pre-morte,Kazan attraversa il ponte avvolto da un'intensa luce bianca.L'uscita può essere vista metaforicamente come la Felicità(per Daniel ,ad esempio, non ne esiste alcuna) o come la soluzione al problema del dopo-vita:c'è qualcosa oltre questa vita(il cubo) e cosa?Il Film volutamente si interrompe lasciando aperta la questione.
"La vita è troppo complicata,la ragione per cui siamo qui ci sfugge totalmente"(David Worth)
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paolo ciarpaglini
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giovedì 1 gennaio 2009
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the cube.
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Film di una genialità dirompente, che trova nei più reconditi anfratti dell'animo umano terreno fertile. Non manca niente, ogni sentimento e sensazione sono presenti e sperimentati dai protagonisti e dallo spettatore (se recepiti). Diretto dall'italo-canadese Natali, e filmato con camere non professionali, è una pietra miliare, una gemma in mezzo a tantissime pietre. Il gruppo rappresenta l'umanità, la struttura ogni possibile livello che sperimentiamo nella vita. Non occorre interrogare migliaia di persone per sapere chi siamo, basta uno sparuto gruppo per dimostrare infine che l'intelligenza è sopravvalutata. E che soprattutto ha un senso solo nel contesto sociale. Il messaggio è forte, ed arriva diritto come un treno.
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Film di una genialità dirompente, che trova nei più reconditi anfratti dell'animo umano terreno fertile. Non manca niente, ogni sentimento e sensazione sono presenti e sperimentati dai protagonisti e dallo spettatore (se recepiti). Diretto dall'italo-canadese Natali, e filmato con camere non professionali, è una pietra miliare, una gemma in mezzo a tantissime pietre. Il gruppo rappresenta l'umanità, la struttura ogni possibile livello che sperimentiamo nella vita. Non occorre interrogare migliaia di persone per sapere chi siamo, basta uno sparuto gruppo per dimostrare infine che l'intelligenza è sopravvalutata. E che soprattutto ha un senso solo nel contesto sociale. Il messaggio è forte, ed arriva diritto come un treno. L'istinto di sopravvivenza conduce ad agire, e l'azione, l'avventurarsi nelle stanze, metterà continuamente a repentaglio la vita di ognuno. Inoltre 'pensare', senza Kazan, non sarebbe servito a niente. "Sarebbe stato sufficente non muoversi mai". Accettare la prigionia porta alla salvezza, cercare la fuga alla sconfitta, allora cosa fare nella vita?. Questo è l'interrogativo finale, coadiuvato dal messaggio che 'tutti' possiamo essere utili allo scopo ultimo; la salvezza.
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tortilla western
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mercoledì 24 gennaio 2007
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una metafora della vita
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Il cubo, apparentemente un trehiler con un che di fantascientifico...eppure...proviamo ad analizzare a fondo questo film.
Io lo trovo semplicemente una delle più folli metafore della vita mai congegniate.
Del resto anche noi siamo in un cubo...non sappiamo perchè siamo qui, non sappiamo se il cubo di fianco al nostro e un cubo sicuro o una trappola mortale e non dobbiamo chiederci troppo perchè siamo qui, dobbiamo solo tentare di andarcene aguzzando l'ingegno.
Anche il finale è emblematico:non sempre ne escono i migliori (apparentemente).
La cosa strana è pensare che è stato girato con un solo cubo (a sono cambiate rigorosamente le luci) con un budget da fame da attori e registi sconosciuti.
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Il cubo, apparentemente un trehiler con un che di fantascientifico...eppure...proviamo ad analizzare a fondo questo film.
Io lo trovo semplicemente una delle più folli metafore della vita mai congegniate.
Del resto anche noi siamo in un cubo...non sappiamo perchè siamo qui, non sappiamo se il cubo di fianco al nostro e un cubo sicuro o una trappola mortale e non dobbiamo chiederci troppo perchè siamo qui, dobbiamo solo tentare di andarcene aguzzando l'ingegno.
Anche il finale è emblematico:non sempre ne escono i migliori (apparentemente).
La cosa strana è pensare che è stato girato con un solo cubo (a sono cambiate rigorosamente le luci) con un budget da fame da attori e registi sconosciuti.
E poi mi dicono che Eragon è un caplavoro...Delle volte il budget è inversamente proporzionale alla bellezza del film.
Sconsiglio vivamente il sequiel.
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[+] metafora della vita? non esageriamo, dai...
(di fabian t.)
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vic fontaine
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domenica 22 dicembre 2013
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fantastico e geniale
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"Cube" non è un film, è un'esperienza visiva dal significato angosciante e claustrofobico, dove non c'è neppure un'inquadratura del mondo esterno, raffigurato in maniera allegorica sia dal nero (l'affaccio dalla stanza che dà sul lato interno dell'involucro) che dal bianco (il ponte verso l'esterno), entrambi assoluti, privi di contorni, assolutamente accecanti e impenetrabili. Tutto il film è un'allegoria, a cominciare dai sei perfetti estranei i cui nomi, che richiamano quelli di notissimi penitenziari (Quentin - San Quintino, California || Holloway, Londra || Kazan, Tatarstan, Russia || Leaven e Worth - Leavenworth, Kansas, USA || Rennes, Francia || Alderson, West Virginia, USA), preannunciano il loro destino di topi prigionieri in un labirinto, ovvero di cavie da laboratorio (anche se i creatori dell'esperimento non si vedono mai), e lo stesso dicasi del cubo, singolare personificazione della sineddoche (parte e tutto, singola unità e struttura complessiva allo stesso tempo) e delle varie difficoltà che l'essere umano si trova ad affrontare quando sceglie un percorso in luogo di un altro (alcune stanze di forma cubica sono disseminate di trappole mortali).
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"Cube" non è un film, è un'esperienza visiva dal significato angosciante e claustrofobico, dove non c'è neppure un'inquadratura del mondo esterno, raffigurato in maniera allegorica sia dal nero (l'affaccio dalla stanza che dà sul lato interno dell'involucro) che dal bianco (il ponte verso l'esterno), entrambi assoluti, privi di contorni, assolutamente accecanti e impenetrabili. Tutto il film è un'allegoria, a cominciare dai sei perfetti estranei i cui nomi, che richiamano quelli di notissimi penitenziari (Quentin - San Quintino, California || Holloway, Londra || Kazan, Tatarstan, Russia || Leaven e Worth - Leavenworth, Kansas, USA || Rennes, Francia || Alderson, West Virginia, USA), preannunciano il loro destino di topi prigionieri in un labirinto, ovvero di cavie da laboratorio (anche se i creatori dell'esperimento non si vedono mai), e lo stesso dicasi del cubo, singolare personificazione della sineddoche (parte e tutto, singola unità e struttura complessiva allo stesso tempo) e delle varie difficoltà che l'essere umano si trova ad affrontare quando sceglie un percorso in luogo di un altro (alcune stanze di forma cubica sono disseminate di trappole mortali). Nel film si percepisce a livello subliminale l'esistenza di "qualcuno" che ha creato la struttura, che osserva le successive reazioni dei prigionieri mentre interagiscono e che naturalmente persegue un proprio personalissimo fine, ma una delle trovate più felici del film è proprio quella di non evocarlo mai in modo esplicito, sia perchè la comparsa della solita struttura occulta para-governativa avrebbe ovviamente banalizzato la storia, sia perchè il senso primo e ultimo del film è l'angoscia, lo stato di cattività che pian piano fa regredire l'uomo da essere raziocinante ad animale, il senso di ineluttabilità per l'apparente inesistenza di un'uscita sottilmente camuffato dagli ideatori del cubo (per uscire bastava restare lì dove si erano inizialmente svegliati aspettando che la struttura, semovente nello spazio come un "gioco del 15" tridimensionale, ritornasse al suo assetto di partenza), lo smarrimento e la paranoia che nascono quando la mente umana non riesce a cogliere la visione d'insieme, che forse ci sarà o forse pure no (vd. il bellissimo dialogo centrale tra Worth, Holloway e Quentin). Bellissima sia la regia che le trovate anche scenografiche elaborate dall'italo-canadese Vincenzo Natali (per l'intero film è stata costruita una sola stanza cubica, poi diversamente retroilluminata per simulare la pluralità delle stanze), e bravissimi tutti gli attori, capaci di regalare - pur essendo i loro personaggi dei veri e propri archetipi emotivi - un'insolita varietà di sfumature espressive che danno un valore aggiunto a questo splendido film.
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beppe baiocchi
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giovedì 7 maggio 2015
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interessantissimo
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Una stanza cubica. Sei possibili uscite che porteranno inesorabilmente in un'altra stanza della stessa forma. Una prigione, un labirinto immenso.
Un gruppo di persone capiterà senza che ci siano esposte le ragioni in questo gigantesto labirinto. Il loro obiettivo sarà di uscirne, evitando le molteplici trappole che sono disseminate nelle stanze.
Costato pochissimo (350000 dollari circa) il film girato (e scritto) da Vincenzo Natali è diventato un piccolo film culto per gli amanti dell horror psicologico.Perchè?
Prima di tutto perchè è girato (nonostante il budget limitato) bene, Il film è un eterno stato di tensione e claustrofobia,non sappiamo nulla del perchè sia stata costruita questa struttura, chi l'abbia fatto, perchè proprio quelle persone siano lì e non sappiamo nemmeno se sia davvero possibile uscirne.
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Una stanza cubica. Sei possibili uscite che porteranno inesorabilmente in un'altra stanza della stessa forma. Una prigione, un labirinto immenso.
Un gruppo di persone capiterà senza che ci siano esposte le ragioni in questo gigantesto labirinto. Il loro obiettivo sarà di uscirne, evitando le molteplici trappole che sono disseminate nelle stanze.
Costato pochissimo (350000 dollari circa) il film girato (e scritto) da Vincenzo Natali è diventato un piccolo film culto per gli amanti dell horror psicologico.Perchè?
Prima di tutto perchè è girato (nonostante il budget limitato) bene, Il film è un eterno stato di tensione e claustrofobia,non sappiamo nulla del perchè sia stata costruita questa struttura, chi l'abbia fatto, perchè proprio quelle persone siano lì e non sappiamo nemmeno se sia davvero possibile uscirne. Non raccontandoci nient'altro che quello che vediamo in queste stanze il film si sviluppa tutto sul rapporto dei personaggi, che tolti dalla civiltà dominata da regole e leggi e messi in condizioni estreme mostreranno il loro vero essere. Ed è curioso come il regista ci mostri come le persone che consideriamo in un modo nel mondo reale magari in condizioni estreme risultino l'opposto. A quel punto l'istinto di sopravvivenza, l'essere egoisti (nonostante la cosa più giusta sia collaborare) mostrano la vera indole dell'essere umano. E The Cube è tutto qui. Un dramma sulla natura dell'essere umano che tolto da un contesto normale mostra il suo lato nascosto, più vero.
Uno degli esempi più lampanti che non serve un budget ultramilionario per fare un grande film, ma servono delle buone idee e una buona capacità di girare.
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frz94
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lunedì 29 novembre 2010
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cube
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6 persone. Un cubo arcano composto da 17576 stanze semoventi e intercomunicanti, alla deriva in uno spazio e tempo indeterminato. Migliaia di trappole mortali disseminate in determinate stanze. La disperata ricerca di una via di uscita: questi gli ingredienti del film low - budget di Natali. Una pellicola onirica, visionaria, cervellotica e affascinante. Cosa rappresenti il cubo e cosa significhi davvero il finale “metafisico” è nelle mani del perplesso spettatore, il quale si trova immerso in un grande sogno fatto di giochi di luci, incastri, problemi matematici, fili e trappole (non si può non pensare per un istante al cubo di Hellraiser che spalanca le porte dell’inferno).
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6 persone. Un cubo arcano composto da 17576 stanze semoventi e intercomunicanti, alla deriva in uno spazio e tempo indeterminato. Migliaia di trappole mortali disseminate in determinate stanze. La disperata ricerca di una via di uscita: questi gli ingredienti del film low - budget di Natali. Una pellicola onirica, visionaria, cervellotica e affascinante. Cosa rappresenti il cubo e cosa significhi davvero il finale “metafisico” è nelle mani del perplesso spettatore, il quale si trova immerso in un grande sogno fatto di giochi di luci, incastri, problemi matematici, fili e trappole (non si può non pensare per un istante al cubo di Hellraiser che spalanca le porte dell’inferno). L’inferno dove sono proiettati invece i sei protagonisti è un inferno freddo, multicolore, mobile e tagliente che scinde i corpi e anche i rapporti fra di loro tanto che finiranno a scontrarsi e a uccidersi a vicenda. Un film originalissimo e leggibile e interpretabile a vari livelli, che si radica nella mente dello spettatore. Un viaggio nell’assurdo e nei meandri dell’animo umano, una metafora intelligente e raffinata. Da vedere e da rifletterci.
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taniamarina
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venerdì 24 aprile 2009
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elogio a franz kafka
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Si poteva pensare di tutto e di più sul cubo di Rubick, tranne che avrebbe potuto ispirare un film del genere. Non c'è via d'uscita nella maligna progettazione ingegneristica di un uomo sadico, e i personaggi che attraversano le inquietanti sale rotanti, non sono affatto a caso. Anche il matematico non riuscirà a comprendere appieno la logica di un sistema senza senso, ma ci riuscirà un demente, quasi a voler dire che soltanto chi ha una mente semplice e ritardata, può ancora trovare del bello in una vita moderna scandita da cinismo e sadismo. Si può affermare che Kafka è ancora tra noi.
Bel film.
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forackone
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martedì 31 dicembre 2013
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non per tutti
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Cube - Il cubo
5 persone si incontrano all'interno di una stanza cubica, con 6 portelloni, uno su ogni lato, che danno su altre stanze cubiche, del tutto identiche alla prima.
Nessuno conosce direttamente nessuno degli altri 4.
Nessuno ha idea di come sia finito lì e di dove sia e, cosa più importante, di come se ne possa uscire.
Scopriranno ben presto di essere in un labirinto, pieno di trappole mortali, ed ogni nuova stanza in cui entrano potrebbe rivelarsi fatale. Inoltre, senza cibo e acqua, iniziano a deperire, fisicamente e psicologicamente, il gruppo si sfalda e si creano rivalità pericolose. Intanto una dei 5, studentessa di matematica, inizia a capire il funzionamento di quello che scoprono essere un enorme cubo, contenente un'infinità di stanze cubiche che si muovone le une rispetto alle altre.
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Cube - Il cubo
5 persone si incontrano all'interno di una stanza cubica, con 6 portelloni, uno su ogni lato, che danno su altre stanze cubiche, del tutto identiche alla prima.
Nessuno conosce direttamente nessuno degli altri 4.
Nessuno ha idea di come sia finito lì e di dove sia e, cosa più importante, di come se ne possa uscire.
Scopriranno ben presto di essere in un labirinto, pieno di trappole mortali, ed ogni nuova stanza in cui entrano potrebbe rivelarsi fatale. Inoltre, senza cibo e acqua, iniziano a deperire, fisicamente e psicologicamente, il gruppo si sfalda e si creano rivalità pericolose. Intanto una dei 5, studentessa di matematica, inizia a capire il funzionamento di quello che scoprono essere un enorme cubo, contenente un'infinità di stanze cubiche che si muovone le une rispetto alle altre. Ma nemmeno la studentessa di matematica riuscirebbe, senza l'aiuto di un ritardato che incontrano nel labirinto, ad effettuare i calcoli necessari per trovare l'uscita. Visto così, a caldo, è un buon horror, crea suspence, l'atmosfera è claustrofobica al massimo e la tensione è tanta, ma il concetto nascosto dietro la metafora del cubo è molto più elaborato, e la tensione e la paura diventano dunque solo dei mezzi per tenere lo spettatore attaccato allo schermo e a non fargli perdere nemmeno un particolare, per arrivare così a svelargli ciò che è veramente il cubo, ossia la metafora della nostra vita, dove ogni stanza, che stanno a rappresentare le nostre scelte consapevoli, le nostre azioni, può essere un passo in più verso il traguardo o una trappola fatale, e per quanto uno si applichi di calcolare, di studiarne il funzionamento, i calcoli sono talmente grossi da risultare impossibili, come la stessa matematica afferma riferendosi ai numeri delle stanze. Allo stesso modo è significativa la domanda 'chi ha costruito il Cubo?', posta direttamente da uno dei personaggi e alla quale le risposte sono molteplici, ognuno ha la sua opinione, e per quanto si confrontino nessuno è disposto a cambiarla. Con questo pretesto vengono presentate le varie teorie del complotto, degli alieni, di un Dio e della assenza di qualsiasi intelligenza superiore, che riportano a concetti filosofici molto più alti di quanto possa sembrare ad una prima visione. Il simbolismo continua e ogni cosa dentro il cubo rappresenta una parte concreta della nostra esistenza, e il tutto viene concluso da un finale che lascia l'amaro in bocca, ma risulta forse il più giusto. Film dunque dalla sceneggiatura praticamente perfetta, senza buchi e forzature evidenti (giusto una nel finale, ma serviva per chiudere il film senza scene banali), il tutto reso ancora più incredibile da un ottima interpretazione di tutti gli attori e dall'idea che tutto sia stato girato in una sola stanza, riproposta all'infinito con luci e colori diversi. L'unica pecca rimane solo la non immediatezza del film, un prezzo che era però probabilmente impossibile non pagare per costruire una metafora così completa e perfetta come risulta invece alla fine il cubo.
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mydavies
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giovedì 29 maggio 2014
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no
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Il film narra di un gruppetto di sfortunati individui che, un bel giorno, si risvegliano dentro una stanza cubica di 25 metri quadri, dotata di un portello per ogni lato che conduce ad altri cubi della medesima grandezza. Alcuni di essi celano terribili trappole mortali, a causa delle quali, ogni tanto, qualcuno ci lascia le penne. Lo scopo dei malcapitati consiste dunque nel tentativo di uscire da questa orrenda prigione, interrogandosi nel frattempo oziosamente sul perché qualcuno (il governo? Un riccone psicopatico?? Gli alieni???) li abbia rinchiusi lì dentro. La pellicola si propone fra l'altro, in modo tutt'altro che implicito, come una metafora dell'esistenza, un'indagine sul perché viviamo, lavoriamo e facciamo quello che facciamo: “c'è una ragione, un senso, o siamo attorniati dal nulla più assoluto?”, sembrano domandarsi gli insopportabili personaggi attraverso inverosimili chiacchierate intervallate da mobilitazioni da una stanza all'altra e spappolamenti vari.
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Il film narra di un gruppetto di sfortunati individui che, un bel giorno, si risvegliano dentro una stanza cubica di 25 metri quadri, dotata di un portello per ogni lato che conduce ad altri cubi della medesima grandezza. Alcuni di essi celano terribili trappole mortali, a causa delle quali, ogni tanto, qualcuno ci lascia le penne. Lo scopo dei malcapitati consiste dunque nel tentativo di uscire da questa orrenda prigione, interrogandosi nel frattempo oziosamente sul perché qualcuno (il governo? Un riccone psicopatico?? Gli alieni???) li abbia rinchiusi lì dentro. La pellicola si propone fra l'altro, in modo tutt'altro che implicito, come una metafora dell'esistenza, un'indagine sul perché viviamo, lavoriamo e facciamo quello che facciamo: “c'è una ragione, un senso, o siamo attorniati dal nulla più assoluto?”, sembrano domandarsi gli insopportabili personaggi attraverso inverosimili chiacchierate intervallate da mobilitazioni da una stanza all'altra e spappolamenti vari. “Boh?” pare la convincente risposta dell'abile team di sceneggiatori, che scelgono in conclusione di far svanire il tizio autistico abile coi calcoli, l'unico che riesce a guadagnare la via d'uscita, in un muro abbagliante di luce bianca, al di là del quale forse c'è il mondo esterno, forse un negozio di lampade abbronzanti, o magari una squadra di omini verdi in camici bianchi intenti a trafficare con monitor e provette. Ops, spero di non aver rovinato a nessuno il finale.
Uno dei punti più deboli della storia riguarda secondo me, si sarà capito, i dialoghi. Un film ambientato in una sola stanza (ovviamente gli scenografi non hanno costruito migliaia di cubi, ma uno solo illuminato di volta in volta con colori diversi) richiede una costruzione impeccabile dei personaggi e delle dinamiche psicologiche, il che si esprime necessariamente, dato che i prigionieri non fanno sesso fra di loro (e non possono nemmeno picchiarsi per tutto il tempo), per l'appunto attraverso l'uso della parola. Ora, proviamo a fare una panoramica delle figure che affollano la claustrofobica scena.
Il leader inizialmente indiscusso è Quentin, un “americanissimo” poliziotto di colore. Diciamo pure nero. Un grande e grosso nero che ha cuore unicamente i suoi tre figli e vuole a tutti i costi uscire dall'infernale cubo per poterli riabbracciare. Muscoloso, motivato, maschio. Non sa fare niente se non spronare gli altri in modo più o meno gentile, e per questo gli tocca, per buona parte del film, la qualifica di “capo”. A un certo punto, forse per una crisi d'astinenza da steroidi, dà di matto, uccide una compagna (nella sua situazione l'avrei fatto anch'io) e picchia un ingegnere nichilista, tirando finalmente fuori le palle, e per questo venendo bandito dal gruppetto di noiosi.
Sua alleata in un primo momento, vittima in un secondo (l'imprevedibilità della vita!) è invece la pallida Holloway, medico generico in preda ad estenuanti paranoie complottiste. È lei a chiedersi più spesso chi sia stato l'artefice del cubo, perché abbia fatto quel che ha fatto (qualunque cosa sia), perché abbia scelto proprio loro, perché perché perché. Domande senza risposta, che servono solo a sciorinare a buon mercato i pomposi interrogativi esistenziali degli autori e a far montare la rabbia di Quentin, che infatti alla fine la ammazza, facendola precipitare in un interstizio oscuro che si apre fra la parete di cubicoli ed il rivestimento metallico del “grande Cubo”. Se là fuori esiste un Dio, questa svolta dimostra che è Giusto.
Veniamo a Rennes. Su di lui non c'è molto da dire, perché muore quasi subito. È un vecchio pluri-evaso che insegna alla congrega di esauriti come accertarsi che nell'altra stanza non vi siano trappole: lanciandovi una scarpa tenuta legata al laccio, così da poterla riprendere. Unico personaggio interessante (infatti il regista lo leva presto di mezzo), cade vittima di uno schizzo di acido corrosivo dopo aver pronunciato la sua ultima, epica, battuta: “il vostro vero nemico è dentro di voi” e poi “merde!” (è francese).
Worth, che all'inizio si spaccia per semplice impiegato ma che invece si scoprirà (… colpo di scena!) aver partecipato alla progettazione del rivestimento esterno del Cubo, è un depresso che ha in tasca la grande risposta, quella che la smunta Holloway va ossessivamente cercando. Lui sa tutto (il che lo rende triste), perché passa le giornate a svolgere noiosi incarichi d'ufficio su commissione e le serate a guardare dvd porno, cioè conduce un'esistenza assolutamente banale, come il male di Hannah Arendt (mi si perdoni per averla scomodata in questa sede); da questa postazione privilegiata di “omino ordinario”, l'inconsolabile Worth ha afferrato, tramite un processo di dolorosa autocoscienza, la tragica verità, e cioè che, in fondo in fondo (indovina un po'?), nulla ha senso: qualcuno commissiona ad altri un lavoro, questi lo sbriga, il lavoro magari fa del male ad altri, magari no, chi se ne frega, a ognuno interessa solo la propria sopravvivenza; la realtà è troppo complicata, non c'è modo di capire altro. Nichilismo e individualismo sono le sue armi concettuali più affilate, con le quali sgomina in qualche battuta le ingenue pretese del medico e del poliziotto che una risposta ci sia. Non si suicida e non si sa perché (il buon Quentin glielo fa notare) ma è noto che il nichilismo casca spesso in questa contraddizione, dalla notte dei tempi. Fortuna ch'è arrivato Cube, nel 1998, a ricordarcelo.
Leaven è la gnocca del gruppo, che non poteva mancare. Non è in realtà tanto gnocca, ma ha quel fascino minuto e gentile, leggermente intellettualoide e candidamente malandrino. È anche una studentessa di matematica. Coi suoi occhiali rotti decifra infatti i numeri di serie dei cubicoli, guidando i tesissimi compagni in un percorso circolare che li riporta al punto di partenza, per poi scoprire che esistono chiavi di lettura più efficaci. Cioè, all'inizio sembra che si debbano evitare le stanze i cui codici annoverano numeri primi, poi pare che questi numeri indichino anche delle coordinate cartesiane, infine si scopre che c'entrano addirittura le permutazioni. Sinceramente non ci ho capito niente, ma non importa. Tanto cercare di comprendere non ha senso, come dice Worth.
Chi è rimasto? Ah già, Kazan, il Rain man dei poveri. Salta fuori in un certo momento da una stanza blu. Ha una qualche turba psicologica non meglio definita (“credo sia un ritardato mentale”, è la competente diagnosi della dottoressa), non gli piace il colore verde e ha un culo incredibile. Col suo simpatico tic alla mano e le sue adorabili frasi sconnesse, intenerisce subito l'animo da crocerossina di Holloway, che lo prende sotto la sua ala protettiva difendendolo dal rude Quentin, che tenta di abbandonarlo ad ogni piè sospinto. Si svelerà un genio della matematica, in quanto dimostrerà di essere l'unico in grado di calcolare a mente le permutazioni (nonché il solo, a parte Leaven, a capire che cavolo siano).
La squadra è al completo. Non ho menzionato Alderson, il primo poveretto a (s)comparire, del quale viene fra l'altro inquadrato in dettaglio, appena dopo i titoli di testa, un emblematico disegno reticolare impresso sulla retina... del resto viene fatto a fette da una griglia metallica al minuto 2.50, quindi pazienza.
Parlavamo dei dialoghi. Di come un film ambientato in una stanza sia molto difficile da scrivere, a meno di non avere la penna di Tarantino. Mi piacerebbe riportarne uno, a mo' di esempio, giusto per rendere l'idea:
Fra parentesi, Mymovies cita “un'ora dura quanto dico io”; poteva essere pronunciata da Chuck Norris dopo aver disinnescato una bomba a forza di cazzotti, e invece la spara Quentin. Effettivamente è la battuta migliore del film.
Quentin: «chi è che ricorda com'è finito qui dentro?»
Holloway: «peperoni! Stavo cenando. Peperoni, formaggio e patate, volevo altro formaggio, sono andata al frigorifero e... non so altro.»
Quentin: «tu? Leaven!»
Leaven: «mi ero messa a letto, e...»
Quentin: «e tu, invece?»
Worth: «mi sono svegliato qui...»
Holloway: «sì, a notte fonda. Come in Cile, arrivano sempre in piena notte.»
Leaven: «chi?»
Holloway: «solo chi governa può costruire una cosa tanto orrenda.»
Quentin: «chi governa non c'entra.»
Holloway: «e allora chi?»
Quentin: «non lo so...»
Holloway: «... alieni...»
L'ultima parola viene pronunciata in un sussurro spaurito. Non si capisce se a mancare d'ingegno siano il personaggio oppure gli sceneggiatori, che vorrebbero magari realmente insinuare il sospetto che gli invisibili cattivi della storia possano essere gli alieni. Trovata che risulta ridicola in ogni caso: se si tratta solo della convinzione del personaggio, è davvero credibile che la prima cosa che un medico ritrovatosi imprigionato in una stanza pensi sia, nel giro di pochi secondi, di essere vittima del governo e poi di essere stata rapita dagli alieni? Le due deduzioni paiono illogiche e in contrasto, non contando il fatto che un simile complottismo paranoico non si addice molto a una donna dotata di un livello culturale e intellettivo (non dimentichiamoci che si tratta di un medico) suppostamente pari al suo. Se invece la battuta è semplicemente servita agli scrittori per esprimere una loro idea, di che idea si tratta? Si vuole far riflettere sul fatto che la nostra quotidianità potrebbe essere sul serio influenzata dalle manovre aliene? Oppure gli alieni sono una metafora, o meglio una metafora di una metafora? Il film è metafora della vita e gli alieni, all'interno di questa metafora, rappresentano magari qualcos'altro. Ma cosa? Forse la pura e semplice mancanza di idee.
Si potrebbero riportare molti altri esempi. Il problema fondamentale, al di là delle perplessità tematiche, è l'incapacità di far trapelare i sentimenti, le emozioni e i pensieri dei personaggi in modo implicito anziché esplicito. Ognuno resta incollato al proprio ruolo e dice cose che sono semplicemente “maschie, incazzate e motivanti” nel caso del poliziotto, “mediche e complottiste” per il medico, “matematiche o impaurite” per la studentessa, “senza senso” per il ritardato, “nichiliste” per l'impiegato. Nessuno è in grado di scollarsi la sua etichetta, tutti dicono ciò si ci sia aspetta sia detto da loro.
La forza del film sta dunque nella trama, che effettivamente cattura. Nonostante si sia continuamente sbalzati fuori dalla pellicola per il fastidioso modo di esprimersi delle macchiette, viene voglia di scoprire come va a finire la storia. Cosa c'è fuori dal cubo? Gli interrogativi dei personaggi, nonostante siano espressi male, si trasmettono in effetti anche all'osservatore: chi ha preparato questa enorme trappola? Perché? Il che riporta banalmente alle grandi domande archetipiche che dal principio aleggiano nella storia della filosofia. In buona sostanza, lo spettatore è disposto, alla fin fine, a soffrire un po', seguendo le gesta di personaggi antipatici e a tratti improbabili, ma spera tuttavia di riuscire a capire qualcosa, qualunque cosa, intorno al senso di ciò che vede.
Ovviamente non c'è risposta. Come non c'era intelligenza nella costruzione delle dinamiche psicologiche, c'era da aspettarsi che ve ne fosse ancor meno nell'allestimento generale della narrazione, che si riduce al vagolare di cinque spiantati all'interno di enorme cubo. Tutto qui. Cosa c'è fuori? Uno spazio bianco, un mare di luce, insomma nulla, nulla di nulla.
Ogni opera artistica sfuma nel nulla. L'ultima pagina bianca di un romanzo, la dissolvenza a nero di un film, la cornice di un quadro, i limiti della pagina di un fumetto. Ogni lavoro creativo (ma non solo) è un ritaglio di un pezzetto di realtà disordinata e caotica, un tentativo di fare ordine, di offrire un senso, o magari anche di generare un nuovo disordine, purché sia diverso, originale. Quando si sceglie di rappresentare il nulla stesso, l'assenza di senso, deve esserci una valida ragione. Non si può rappresentare un concetto astratto come quello di “confine” o di “mancanza” senza una forte padronanza intellettuale e, soprattutto, una notevole sensibilità e delicatezza. E gli autori del film non dimostrano né l'una né l'altra. Un principio fondamentale della semiotica è che il cervello tende sempre, di fronte a una massa di dati disgregati, ad unirli in un unicum dotato di senso. Si potrebbe essere tentati di leggere qualcosa in quella luce bianca in cui, alla fine, s'immerge Kazan.
Ma, se si resiste anche solo per un secondo a questa tentazione, si può osservare il Cubo scoppiare silenziosamente, come un'immensa bolla di sapone.
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ciclope strabico
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venerdì 24 febbraio 2006
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interessante
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Interessante ed affascinante l'idea, dalla quale si poteva forse trarre qualcosa di meglio, ma il film è comunque apprezzabile e piuttosto ben diretto. Certo piuttosto ridicolo e magari banale (non lo è nel complesso) in alcuni punti, non del tutto gradevole il finale; il Cubo si lascia a diverse interpretazioni, ma l'argomento di base sembra essere la 'metafora della scelta', che meglio ancora si nota nel seguente film, l'Ipercubo, (dove una scelta diversa porta allintersecarsi di dimensioni parallele). Il cubo potrebbe essere il Mondo, i possibili passaggi da una stanza all'altra sono le strade, le decisione che ciascuno deve scegliere sul cammino, ponendo attenzione a non inoltrarsi in una via sbagliata, poichè in tal caso gli spetterebbe una 'trappola'.
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Interessante ed affascinante l'idea, dalla quale si poteva forse trarre qualcosa di meglio, ma il film è comunque apprezzabile e piuttosto ben diretto. Certo piuttosto ridicolo e magari banale (non lo è nel complesso) in alcuni punti, non del tutto gradevole il finale; il Cubo si lascia a diverse interpretazioni, ma l'argomento di base sembra essere la 'metafora della scelta', che meglio ancora si nota nel seguente film, l'Ipercubo, (dove una scelta diversa porta allintersecarsi di dimensioni parallele). Il cubo potrebbe essere il Mondo, i possibili passaggi da una stanza all'altra sono le strade, le decisione che ciascuno deve scegliere sul cammino, ponendo attenzione a non inoltrarsi in una via sbagliata, poichè in tal caso gli spetterebbe una 'trappola'. Contemporaneamente, il film è impregnato di quella confusione, di quel disagio, di quella claustrofobia e senso di nausea giustificati da una siffatta situazione (espressa al meglio dalla metafora del Cubo), nonchè dell'inaffidabilità, dell'ipocrisia e della stoltezza dei rapporti umani. E il ponte di uscita cosa rappresenta? Il finale non lo svela, ovviamente, dando una libera interpretazione, per non cadere in una scelta stupida, e questa, a mio parere, in mancanza di un 'colpo di genio', dovrebbe essere stata una saggia decisione.
Saluti.
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