leonardo granatiero
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giovedì 10 agosto 2006
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"la parigi di marx e della coca-cola"
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Un film paradigmatico, che spiega a tutto tondo il Novecento. Godard mette a nudo la fragilità dell'esistenza umana fra consumismo e comunismo. Il cinema si propone per ciò che è: una selezione di scene montate: una scelta. E Marine Vlady/ Juliette Benson ci svela la natura del tempo in cui vive.
Pensa alle sorti della guerra vietnamita; si sente confortata dal tepore d'una costosa pelliccia; e definisce la sua condizione esistenziale: la felicità arrivata improvvisa come la luce filtrata dalle fronde degli alberi e la triste solitudine di non aver niente e nessuno al mondo per cui valga la pena di versare lacrime.
leonardo granatiero
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blondlucrezia
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martedì 20 ottobre 2009
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godard e lei.....
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Immaginate che la verita' esista ma noi non la vediamo per via della nostra troppa routine della vita di citta' piena di svaghi,eccessi,e per certi aspetti monotonie illusorie che servono solo a depradare un nostro lato interiore.Se non riuscite abche solo lontanamente ad immaginare tali situazioni questo film forse puo' aprirvi una porta per riflettere sulla vita come non l'avete forse mai vista da questa prospettiva.
Colui che ci guida in questa avventura e' un regista magistrale ovvero JEAN-LUC GODARD,che dopo averci regalato pellicole come questa e' la mia vita,il disprezzo,il maschio e la femmina,ancora una volta ci porta a riflettere su questioni interessanti e reali come la societa'(che sarebbe la lei del film)e l'uomo che vive in essa.
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Immaginate che la verita' esista ma noi non la vediamo per via della nostra troppa routine della vita di citta' piena di svaghi,eccessi,e per certi aspetti monotonie illusorie che servono solo a depradare un nostro lato interiore.Se non riuscite abche solo lontanamente ad immaginare tali situazioni questo film forse puo' aprirvi una porta per riflettere sulla vita come non l'avete forse mai vista da questa prospettiva.
Colui che ci guida in questa avventura e' un regista magistrale ovvero JEAN-LUC GODARD,che dopo averci regalato pellicole come questa e' la mia vita,il disprezzo,il maschio e la femmina,ancora una volta ci porta a riflettere su questioni interessanti e reali come la societa'(che sarebbe la lei del film)e l'uomo che vive in essa.Lo scopo principale del film e' capire non come si possa cambiare la societa' ma come si possa convivere con essa.Non mancano gli inseganmenti e i messaggi che godard manda come ad esempio la lezione di filosofia che discute sull'essere e sull'ontologia piu' profonda,e quest'abisso viene raffigurato con un caffe' che gira su ste stesso come un vortice che gira su ste stesso (cosi infatti sono i pensieri che non riescono a giugere ad una conclusione arrovellandosi su ste stessi poiche' noon trovano una via d'uscita).La protagonista del film come si e' detto sopra e' la societa'e non l'attrice marina vlady(che in un certo senso e' parte di quella societa' errata ma si differenzia poiche' prende parte interattiva con la voce fuori campo di godard) ed essa vista in un certo modo non e' nient'altro che cemento e di umano c'e' ben poco.Non mancano nel film anche altri pensieri di godard come l'inutilita0 delle parole che non riesce a descivere sempr cio' che si pensa (forse questo e' anche un modo per esprimere la propria difficolta' a descrivere ogni singola cosa ) .A volte dunque basterebbe una parola per concludere una recensione ed e' capolavoro.Consigliato in particolar modo a chi vuol riflettere.
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howlingfantod
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martedì 19 dicembre 2017
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due o tre cose sul cinema (e sul capitalismo)
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Con questo film del 1967, in piena epoca contestataria, alle scaturigini dell’incendio del 68, con la guerra del Vietnam che imperava anche nelle varie consorterie politico-culturali occidentali e di cui si odono gli echi nel film, Godard inizia l’opera di rottura del mezzo cinematografico interrogandosi al tempo stesso sulle sue possibilità di essere portatore di senso e significati. La risposta che Godard fornisce da qui in avanti, in ogni caso coerente con tutta la sua parabola artistica, fino agli ultimi indecifrabili esiti di “Adieu au langage” e “Film socialisme”, è quella dell’impossibilità stessa dell’immagine, sporcata come è dal linguaggio della società dei consumi, del suo vuoto predominio sulla parola, della sua onnipresenza filmica fin dietro la macchina da presa.
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Con questo film del 1967, in piena epoca contestataria, alle scaturigini dell’incendio del 68, con la guerra del Vietnam che imperava anche nelle varie consorterie politico-culturali occidentali e di cui si odono gli echi nel film, Godard inizia l’opera di rottura del mezzo cinematografico interrogandosi al tempo stesso sulle sue possibilità di essere portatore di senso e significati. La risposta che Godard fornisce da qui in avanti, in ogni caso coerente con tutta la sua parabola artistica, fino agli ultimi indecifrabili esiti di “Adieu au langage” e “Film socialisme”, è quella dell’impossibilità stessa dell’immagine, sporcata come è dal linguaggio della società dei consumi, del suo vuoto predominio sulla parola, della sua onnipresenza filmica fin dietro la macchina da presa. L’immagine è tutto e ha pervaso tutto. I collage, gli strappi di ripresa, le panoramiche come in “Due o tre cose che so di lei” per dirci che l’immagine si da prima del suo stesso filmarla (interrogandosi quindi sullo stesso cinema come mezzo espressivo), nei grandi palazzi bidimensionali delle periferie di parigine, un mondo piatto, come le pareti di quei colossi dove l’individuo annega. Al di là di queste innovazioni formali del genio, del misantropo, del dissacratore, del demolitore , del rivoluzionario, soprattutto nelle tecniche di ripresa e nella sua visione estetica applicata al cinema, Godard usa qui il pretesto del saggio- inchiesta per raccontarci la società dei consumi come era quaranta anni fa, ma non così diversa da quella attuale, un bordello ipertrofizzato di immagini e oggetti. Lo fa interpellando alcune donne che vivono in anonimi agglomerati urbani alle periferie di Parigi e che vengono intervistate in fumosi bar con vetrate a ridosso di strade sempre trafficate. Queste donne, madri di famiglia, impiegate, parrucchiere si spostano verso il centro città per prostituirsi. Il pretesto del saggio inchiesta su una tematica evidentemente presente nella società parigina di quegli anni e che Godard scandaglia con finto piglio giornalistico, serve all’autore per parlare su più larga scala del bordello generalizzato della società dei consumi che già in pieno boom economico mostra le sue crepe. Un tema sempre attuale trattato da un grande rivoluzionario della storia del cinema purtroppo da sempre, soprattutto in Italia, considerato un reperto per cinefili.
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