Due o tre cose che so di lei

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Un film di Jean-Luc Godard. Con Anny Duperey, Marina Vlady, Roger Montsoret, Jean Narboni Titolo originale Deux ou trois choses que je sais d'elle. Documentario, Ratings: Kids+13, durata 95 min. - Francia 1966. MYMONETRO Due o tre cose che so di lei * * * * - valutazione media: 4,00 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Due o tre cose sul cinema (e sul capitalismo)

di Howlingfantod


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martedì 19 dicembre 2017

Con questo film del 1967, in piena epoca contestataria, alle scaturigini dell’incendio del 68, con la guerra del Vietnam che imperava anche nelle varie consorterie politico-culturali occidentali e di cui si odono gli echi nel film, Godard inizia l’opera di rottura del mezzo cinematografico interrogandosi al tempo stesso sulle sue possibilità di essere portatore di senso e significati. La risposta che Godard fornisce da qui in avanti, in ogni caso coerente con tutta la sua parabola artistica, fino agli ultimi indecifrabili esiti di “Adieu au langage” e “Film socialisme”, è quella dell’impossibilità stessa dell’immagine, sporcata come è dal linguaggio della società dei consumi, del suo vuoto predominio sulla parola, della sua onnipresenza filmica fin dietro la macchina da presa. L’immagine è tutto e ha pervaso tutto. I collage, gli strappi di ripresa, le panoramiche come in “Due o tre cose che so di lei” per dirci che l’immagine si da prima del suo stesso filmarla (interrogandosi quindi sullo stesso cinema come mezzo espressivo), nei grandi palazzi bidimensionali delle periferie di parigine, un mondo piatto, come le pareti di quei colossi dove l’individuo annega. Al di là di queste innovazioni formali del genio, del misantropo, del dissacratore, del demolitore , del rivoluzionario, soprattutto nelle tecniche di ripresa e nella sua visione estetica applicata al cinema, Godard usa qui il pretesto del saggio- inchiesta per raccontarci la società dei consumi come era quaranta anni fa, ma non così diversa da quella attuale, un bordello ipertrofizzato di immagini e oggetti. Lo fa interpellando alcune donne che vivono in anonimi agglomerati urbani alle periferie di Parigi e che vengono intervistate in fumosi bar con vetrate a ridosso di strade sempre trafficate. Queste donne, madri di famiglia, impiegate, parrucchiere si spostano verso il centro città per prostituirsi. Il pretesto del saggio inchiesta su una tematica evidentemente presente nella società parigina di quegli anni e che Godard scandaglia con finto piglio giornalistico, serve all’autore per parlare su più larga scala del bordello generalizzato della società dei consumi che già in pieno boom economico mostra le sue crepe. Un tema sempre attuale trattato da un grande rivoluzionario della storia del cinema purtroppo da sempre, soprattutto in Italia, considerato un reperto per cinefili.

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