novocaine
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giovedì 10 marzo 2005
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uno dei film più belli che...stupendo!
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Nel 1931 il sonoro era già stato introdotto da qualche anno, soprattutto in America, dove c'erano le possibilità economiche. In Europa era una cosa un po' più insolita e pochi avevano capito come farne veramente buon uso (tra cui Hitchcock). Ebbene, Fritz Lang lo utilizza qui per la prima volta e in una maniera del tutto moderna ed espressiva; sa come valorizzarlo e sembra completamente a suo agio (nonostante tutte le scomodità che la nuova tecnica comportava, come la cabina insonorizzata, che non permetteva complessi movimenti di macchina =film statici), come se il sonoro ci fosse sempre stato. Il film sa essere agghiacciante, soprattutto la sequenza iniziale della sparizione della bambina (l'ombra del mostro sul manifesto e la sua voce terrificante; la madre che urla 'elsie!' alla finestra mentre viene inquadrata la tavola apparecchiata e il posto vuoto della bambina che avrebbe già dovuto essere a casa dopo la scuola) e il monologo di Peter Lorre davanti al tribunale dei criminali (Solo quando uccido.
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Nel 1931 il sonoro era già stato introdotto da qualche anno, soprattutto in America, dove c'erano le possibilità economiche. In Europa era una cosa un po' più insolita e pochi avevano capito come farne veramente buon uso (tra cui Hitchcock). Ebbene, Fritz Lang lo utilizza qui per la prima volta e in una maniera del tutto moderna ed espressiva; sa come valorizzarlo e sembra completamente a suo agio (nonostante tutte le scomodità che la nuova tecnica comportava, come la cabina insonorizzata, che non permetteva complessi movimenti di macchina =film statici), come se il sonoro ci fosse sempre stato. Il film sa essere agghiacciante, soprattutto la sequenza iniziale della sparizione della bambina (l'ombra del mostro sul manifesto e la sua voce terrificante; la madre che urla 'elsie!' alla finestra mentre viene inquadrata la tavola apparecchiata e il posto vuoto della bambina che avrebbe già dovuto essere a casa dopo la scuola) e il monologo di Peter Lorre davanti al tribunale dei criminali (Solo quando uccido...solo allora...e poi non ricordo più nulla. chi può sapere come sono fatto dentro, quello che sento urlare nel mio cervello?). Guardatelo se potete. cia o
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yanez
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sabato 26 febbraio 2005
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cult di straordinario spessore artistico.
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Il film è pieno della presenza del "mostro" e quando egli appare nella figura di un ometto all'apparenza innocuo ci si accorge che il ostro è tra noi, potrebbe essere chiunque di noi. Straodinaria interpretazione di Lorre, breghtiano più che mai, innocente con i soi occhioni da fanciullo curioso, deciso quando ammalia la sua vittima fischiettando Grieg. Ma straordinario è tutto il film che, senza colonna sonora, fa vivere i silenzi e i rumori di una città terrorizzata nelle fredde notti che gelano le strade e i cuori.
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il cinefilo
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venerdì 30 aprile 2010
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il manifesto dell'cinema espressionista tedesco
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TRAMA:il film,realizzato nell'1931 da Fritz Lang(e sceneggiato insieme alla moglie)racconta di un misterioso assassino che uccide alcune bambine in giro per la città(Peter Lorre e grandioso)fino a quando non viene catturato dai cittadini e dalla malavita con l'intenzione di "processarlo" e linciarlo...
RECENSIONE:il film di Fritz Lang riesce a fondere le tecniche dell'cinema muto con quelle dell'sonoro(che stava prendendo piede proprio in quegli anni)e costruisce una forma di"perfezione cinematografica" molto rara a vedersi.
Questo film è,molto probabilmente,una vera e propria "summa" nella concezione di cinema che F.Lang ha voluto esprimere attraverso una serie di sequenze particolarmente geniali tra cui spiccano per bravura di stile e di tecnica la sequenza dell'omicidio della piccola Elsie(non viene mai inquadrato ma viene lasciato solo "intuire" e il risultato è doppiamente inquietante)e la sequenza finale in cui l'assassino si ritrova "processato" dalla criminalità organizzata e dai genitori inferociti.
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TRAMA:il film,realizzato nell'1931 da Fritz Lang(e sceneggiato insieme alla moglie)racconta di un misterioso assassino che uccide alcune bambine in giro per la città(Peter Lorre e grandioso)fino a quando non viene catturato dai cittadini e dalla malavita con l'intenzione di "processarlo" e linciarlo...
RECENSIONE:il film di Fritz Lang riesce a fondere le tecniche dell'cinema muto con quelle dell'sonoro(che stava prendendo piede proprio in quegli anni)e costruisce una forma di"perfezione cinematografica" molto rara a vedersi.
Questo film è,molto probabilmente,una vera e propria "summa" nella concezione di cinema che F.Lang ha voluto esprimere attraverso una serie di sequenze particolarmente geniali tra cui spiccano per bravura di stile e di tecnica la sequenza dell'omicidio della piccola Elsie(non viene mai inquadrato ma viene lasciato solo "intuire" e il risultato è doppiamente inquietante)e la sequenza finale in cui l'assassino si ritrova "processato" dalla criminalità organizzata e dai genitori inferociti.
P.S:si tratta di un capolavoro assoluto sotto ogni punto di vista.
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skrat
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sabato 19 luglio 2008
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tra silenzi ed espressionismo: lang al suo meglio
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Il film di Lang (rifatto da Losey nel 1951 e citato da Salvatores in "Quo vadis baby?") è abilmente improntato su una lineare organicità narrativa, che, dal principio alla fine, segue una semplicità di linguaggio assolutamente impareggiabile, se confrontata con la profonda indagine psicologica dei personaggi, giocata non sui dialoghi, ma sulle immagini, soprattutto analizzando con precisione certosina la vena rivelatrice degli effetti chiaroscurali. La potenza evocativa delle immagini, le argute espressioni metaforiche raccontate con successioni e sovrapposizioni di forme e figure colpiscono e sbalordiscono per l’estrema raffinatezza stilistica ed il magistrale utilizzo della litote per “dire l’indicibile”, ovvero per sottolineare gli omicidi senza rappresentarli in scena diretta, si impongono ineluttabilmente nella memoria di ogni spettatore.
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Il film di Lang (rifatto da Losey nel 1951 e citato da Salvatores in "Quo vadis baby?") è abilmente improntato su una lineare organicità narrativa, che, dal principio alla fine, segue una semplicità di linguaggio assolutamente impareggiabile, se confrontata con la profonda indagine psicologica dei personaggi, giocata non sui dialoghi, ma sulle immagini, soprattutto analizzando con precisione certosina la vena rivelatrice degli effetti chiaroscurali. La potenza evocativa delle immagini, le argute espressioni metaforiche raccontate con successioni e sovrapposizioni di forme e figure colpiscono e sbalordiscono per l’estrema raffinatezza stilistica ed il magistrale utilizzo della litote per “dire l’indicibile”, ovvero per sottolineare gli omicidi senza rappresentarli in scena diretta, si impongono ineluttabilmente nella memoria di ogni spettatore. Di grande forza narrativa, poi, alcune sequenze, come quella della sedia vuota o quella della scala deserta. In questa eccellente pellicole è innegabilmente riscontrabile una preponderante dose di inquieto realismo, fondato sia sull’oggettiva presentazione della storia nei suoi caratteri fondamentali, sia sulla sua geniale ambientazione nella Germania del 1931 (accorgimenti, entrambi, che amplificano il senso di pragmatismo e concretezza emanato dall’opera). Su uno sfondo di così tangibile consistenza e materialità, però, si innesta una narrazione, che trova la sua magnificenza proprio nell’uso esasperato di una macchina da presa per lo più statica, in cui le repentine variazioni e i cambi di movimento enfatizzano e scandiscono la disperata angoscia delle rappresentazioni, ma, soprattutto, su una sublime fotografia, che, accentuando appositamente i contrasti chiaroscurali e giocando sulle ombre, danzanti sui corpi dei protagonisti, riesce a trascendere la connotazione di pura concretezza della pellicola (in relazione alle vicende narrate), giungendo a trasfigurare la realtà e creando l’incubo.
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evghen950
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mercoledì 18 agosto 2010
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una palla e dei palloncini che volano via....
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Film veramente fatto bene tenendo conto anche e soprattutto del periodo storico.
Storia veramente che fa riflettere, sulla mente umana, come nel monologo alla fine, ma anche su come una città/società possa completamente bloccarsi a causa di un solo individuo non ben identificabile.
Sono presenti molte scene di grande significato come quella che ho anticipato nel titolo, il vero e proprio processo malavitoso, e la famosa scena dell' ombra dell'assassino proiettata sulla sua stessa taglia.
Molto inquitante il motivetto che si sente fischiettare ogni tanto....
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fedeleto
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domenica 5 settembre 2010
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il mostro senza anima
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Sicuramente Lang ha sempre girato pellicole di grandissima importanza(metropolis,nibelunghi,dottor mabuse),e in esse ha sempre trovato il modo di stupire lo spettatore,questo film ne e' una conferma del suo inimitabile talento.M-IL MOSTRO DI DUSSELDORF,racconta un episodio tragico ,in cui un uomo uccide bambini e terrorizza una citta',catturato dalla malavita,vorra' giustificarsi,seppur ogni scusa sara' decisamente sempre di piu' un passo falso.Film di grande impatto,non solo per la tematica ,ma per le scene di profonda tensione(la scena in cui scompare elsie e la madre si affaccia alle scale urlando il suo nome e' forse una delle piu' memorabili),non manca sicuramente una morale finale,ovvero la vita del mostro andrebbe cancellata,seppur tale gesto sia indubbiamente un omicidio,ma necessario per poter purificare il male fatto da un essere che non ha piu' anima(nel suo discorso finale non traspare sentimento e non escono parole che suscitano emozioni come la paura ecc.
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Sicuramente Lang ha sempre girato pellicole di grandissima importanza(metropolis,nibelunghi,dottor mabuse),e in esse ha sempre trovato il modo di stupire lo spettatore,questo film ne e' una conferma del suo inimitabile talento.M-IL MOSTRO DI DUSSELDORF,racconta un episodio tragico ,in cui un uomo uccide bambini e terrorizza una citta',catturato dalla malavita,vorra' giustificarsi,seppur ogni scusa sara' decisamente sempre di piu' un passo falso.Film di grande impatto,non solo per la tematica ,ma per le scene di profonda tensione(la scena in cui scompare elsie e la madre si affaccia alle scale urlando il suo nome e' forse una delle piu' memorabili),non manca sicuramente una morale finale,ovvero la vita del mostro andrebbe cancellata,seppur tale gesto sia indubbiamente un omicidio,ma necessario per poter purificare il male fatto da un essere che non ha piu' anima(nel suo discorso finale non traspare sentimento e non escono parole che suscitano emozioni come la paura ecc..),e parla accusando gli altri di criticarlo poiche' essi non sanno lui chi sia e cosa sia in realta',non sanno lui cosa abbia realmente(ed infatti la causa non risulta del tutto chiara),e' solo un essere che vaga alla ricerca di qualcosa che plachi quel suo istinto omicida che per allentare le cattive voci su di lui deve mietere vittime quasi esse ammortizzassero il suo animo,ma lui in realta' non lo possiede,e questa sua doppia identita' e' decisamente un problema che tormenta l'uomo.Un ottimo film che porta a riflettere sulle tesi del male insito nell'uomo,e nel giudicare il suo operato,e come probabilmente molti pensano non ci puo' essere giustificazione per persone di questo tipo.
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il cinefilo
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venerdì 10 giugno 2011
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franz becker:il maniaco per definizione
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"Quando cammino per le strade ho la sensazione che qualcuno mi stia inseguendo...ma sono io che inseguo me stesso...voglio andare via,correre...ma con me corrono i fantasmi delle madri e dei bambini...sono sempre la...e solo quando uccido,solo allora...chi è che può sapere come sono fatto dentro,cos'è che sento urlare dentro al mio cervello..."con queste parole(ho brevemente accorciato l'intero monologo)si presenta all'impetuosa e vendicativa giuria il maniaco omicida Franz Becker/Peter Lorre ponendosi definitivamente come il primo vero psicopatico della storia del cinema tedesco e di quello in generale.
L'anno era il 1931 e,da allora,ne è passata di acqua sotto i ponti nel senso che le caratterizzazioni dei folli psicopatici sono state ripetute svriate volte(è possibile che il film di Lang possa essere considerato la"miccia"di questo genere di"thriller"?non so darmi una risposta.
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"Quando cammino per le strade ho la sensazione che qualcuno mi stia inseguendo...ma sono io che inseguo me stesso...voglio andare via,correre...ma con me corrono i fantasmi delle madri e dei bambini...sono sempre la...e solo quando uccido,solo allora...chi è che può sapere come sono fatto dentro,cos'è che sento urlare dentro al mio cervello..."con queste parole(ho brevemente accorciato l'intero monologo)si presenta all'impetuosa e vendicativa giuria il maniaco omicida Franz Becker/Peter Lorre ponendosi definitivamente come il primo vero psicopatico della storia del cinema tedesco e di quello in generale.
L'anno era il 1931 e,da allora,ne è passata di acqua sotto i ponti nel senso che le caratterizzazioni dei folli psicopatici sono state ripetute svriate volte(è possibile che il film di Lang possa essere considerato la"miccia"di questo genere di"thriller"?non so darmi una risposta...)e,tra le più celebri,non si può non ricordare quella di Norman Bates in PSYCO di Alfred Hitchcock(beninteso che ci si trova,in quel caso,su un piano cinematografico molto diverso) a sua volta ispirato al vero serial killer americano Ed Gein.
Nel ruolo di Lorre ogni particolare fisico(lo sguardo,i più piccoli movimenti del viso e l'espressione disperata nel finale)riesce a rendere ancora più abominevole il suo personaggio...ma la cui pazzia riesce quasi ad essere eguagliata da un altro tipo di"follia"che è quello della furia dei cittadini che,in barba alla legge,vogliono giustiziarlo loro stessi ma il principio che emerge nel finale,comunque,è che NESSUNO ha il diritto di farsi giustizia da solo.
"Questo non ci restituirà i nostri figli"dice,nell'ultima immagine,una delle madri delle piccole vittime e questo sta a indicare,inquadrato dalla parte opposta e cioè dei"vendicatori",come nemmeno la giustizia ufficiale potrà risarcire completamente il lutto per dei crimini così atroci...conclusione:lo reputo il miglior film del regista tedesco.
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m.raffaele92
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mercoledì 16 ottobre 2013
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il buio nell'anima e il miracolo del sonoro
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Il capolavoro di Fritz Lang comincia con un’ombra (la prima “apparizione” del killer), quindi prosegue con un’assenza, la rappresentazione della quale è una magistrale lezione di cinema: l’inquadratura sulla spirale della scala (vuota), sull’orologio (il tempo che scorre inesorabile), lo sguardo della madre (preoccupazione, angoscia, disperazione), quindi inquadratura sul piatto e sulla sedia (vuoti). A questa assenza segue la morte della bambina, magnificamente mostrata attraverso un palloncino gonfiabile che rimane impigliato tra i fili del telegrafo.
Il film narra di un assassino (Hans Beckert) pedofilo che si aggira per la città di Düsseldorf,la cui rappresentazione merita una parentesi: è qui che emergono i tratti dell’espressionismo (corrente dominante del decennio precedente, ma che nei primi anni 30 lascia ancora la propria impronta nel cinema, non solo tedesco).
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Il capolavoro di Fritz Lang comincia con un’ombra (la prima “apparizione” del killer), quindi prosegue con un’assenza, la rappresentazione della quale è una magistrale lezione di cinema: l’inquadratura sulla spirale della scala (vuota), sull’orologio (il tempo che scorre inesorabile), lo sguardo della madre (preoccupazione, angoscia, disperazione), quindi inquadratura sul piatto e sulla sedia (vuoti). A questa assenza segue la morte della bambina, magnificamente mostrata attraverso un palloncino gonfiabile che rimane impigliato tra i fili del telegrafo.
Il film narra di un assassino (Hans Beckert) pedofilo che si aggira per la città di Düsseldorf,la cui rappresentazione merita una parentesi: è qui che emergono i tratti dell’espressionismo (corrente dominante del decennio precedente, ma che nei primi anni 30 lascia ancora la propria impronta nel cinema, non solo tedesco). Essa viene rappresentata da ombre profonde squarciate da tratti violenti di luce, e ciò che ne esce è lo specchio deformato dell’anima dell’assassino.
Proseguiamo oltre: il regista mostra (accusa) una polizia inefficiente, totalmente incapace di catturare l’assassino o di organizzarsi a tal scopo. Poiché l'allarme generale e la mobilitazione della polizia disturbano le attività dei ladri della città, questi decidono di organizzarsi a modo loro, rivelandosi di fatto più efficienti della polizia stessa.
È curioso notare come le “riunioni” di questi criminali per spartirsi i compiti sembrino delle operazioni di guerra: la rigidità organizzativa, le nuvole di fumo che sorvolano le tavolate volte a riflettere la ponderosità della situazione, la diligenza con la quale ogni individuo viene assegnato a una zona precisa, ecc.
Tutto il film è poi realizzato attraverso uno stile documentaristico e scarno, dove la colonna sonora è assente. E qui arriviamo al nodo cruciale, poiché paradossalmente all’assenza di una qualsiasi traccia musicale, Lang compie un lavoro sperimentale, audace e rivoluzionario inerente proprio al sonoro.
Questo è ufficialmente comparso 4 anni prima, ma i film muti realizzati fino ai primi anni 30 erano ancora molti.
In questo film, l’assassino viene identificato poiché udito fischiare da un cieco (si badi bene,da un cieco: dall’unico che a differenza degli altri non è in grado di vedere); viene poi effettivamente catturato poiché un inseguitore, origliando attraverso la porta dietro la quale Hans è nascosto, lo sente battere un’asticella di ferro che gli possa permettere di aprire la serratura e quindi fuggire. Quindi, ancora una volta, grazie a un suono. Attraverso questi espedienti, Fritz Lang ha compiuto il miracolo di elevare il sonoro a fondamentale e determinante elemento narrativo. È quindi con “M – Il mostro di Düsseldorf” che il sonoro ha fatto il suo vero e proprio ingresso nel cinema.
Il colpo di genio finale è l’idea del tribunale della malavita, simbolo (audacissimo per l’epoca) della relatività della giustizia, tema che tornerà in molti film di Lang. Il regista non manca di mostrare una folla incline ad un entusiasmo omicida, contrapponendo a tale furia vendicativa un certo dubbio inerente alla pena di morte (Hans viene riconosciuto dal suo “avvocato difensore” come malato di mente, quindi non padrone delle proprie azioni).
Da annotare poi l’interpretazione di Peter Lorre, capace di racchiudere nelle proprie espressioni un’angoscia esistenziale e un tormento dell’anima profondi, che esploderanno poi nella “confessione” finale.
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great steven
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giovedì 27 ottobre 2016
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un assassino pedofilo dietro un uomo comunissimo.
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M – IL MOSTRO DI DüSSELDORF (GERM, 1931) diretto da FRITZ LANG. Interpretato da PETER LORRE, OTTO WERNICKE, GUSTAV GRUNDGENS, THEO LINGEN
Negli anni ’30 la città di Düsseldorf è sconvolta dalla presenza misteriosa di un assassino psicopatico, di cui nessuno conosce l’identità, che ha già seviziato e ucciso otto bambine.
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M – IL MOSTRO DI DüSSELDORF (GERM, 1931) diretto da FRITZ LANG. Interpretato da PETER LORRE, OTTO WERNICKE, GUSTAV GRUNDGENS, THEO LINGEN
Negli anni ’30 la città di Düsseldorf è sconvolta dalla presenza misteriosa di un assassino psicopatico, di cui nessuno conosce l’identità, che ha già seviziato e ucciso otto bambine. Non si sa null’altro di lui, a parte il metodo che utilizza per attirare in trappola le sue vittime: le convince a seguirlo regalando loro un palloncino, un dolciume o un giocattolo per poi condurle in luoghi appartati e commettere lì gli omicidi. Ciò che più spaventa l’opinione pubblica quanto le stesse forze dell’ordine è l’apparente "normalità" del serial killer in questione, un uomo tranquillo e comune che sembra condurre, al di fuori degli assassinii, una vita grigia e assolutamente avvolta dalla quotidianità. La polizia ispeziona palmo a palmo ogni singolo angolo della metropoli e anche il bosco che la circonda, ma senza risultato: l’omicida sembra introvabile. Ma a scovarlo e coglierlo in flagrante prima che cada vittima della sua follia un’ulteriore bambina ci pensa il popolo, e per la precisione un gruppo di mendicanti. La fascia povera della popolazione di Dusseldorf, in particolar modo prostitute, baristi, ladri, delinquenti comuni, accattoni, senzatetto e venditori ambulanti, è ormai stufa delle continue retate della polizia nelle bettole, nei bordelli e negli ostelli più sconci, in quanto sottraggono clientela, fanno andare a rotoli gli affari e non permettono in generale un’esistenza serena. Ma quando i mendicanti sopracitati riescono ad identificare lo psicopatico pluriomicida in Hans Beckert grazie allo stratagemma di uno di loro (una mano di gesso bianco sulla sua giacca), l’uomo viene arrestato e condotto davanti a un tribunale. Confessa le uccisioni commesse e si difende ponendo a pretesto le sue gravi turbe psichiche, ma non viene ascoltato: la condanna a morte è definitiva e irremovibile. Lo salva l’intervento tempestivo e inatteso della polizia. Il primo film sonoro di F. Lang coincide col termine della parabola artistica del cinema espressionista tedesco, cui lo stesso regista aveva comunque aderito con la partecipazione al movimento del capolavoro di fantascienza Metropolis (1927). M, thriller ad altissima tensione drammatica e con un lavoro di rifinitura della sceneggiatura davvero imponente e considerevole, mette in campo non il protagonista, che fa la sua comparsa soltanto dopo molti minuti dall’inizio della proiezione, ma i comprimari della vicenda, che le fanno da sottofondo ma le cui azioni risaltano con un fervore potente e agghiacciante fin dalle prime scene: a quei tempi, non era frequente che il personaggio principale di un film rimanesse coperto dall’ombra e dall’anonimato per un tempo così lungo, e che le figure, apparentemente di secondo piano, ne prendessero il posto nella storia per costruirne l’identikit, intavolarne le motivazioni e costruirgli intorno l’aura di suspense che riesce ad edificare questo straordinario miscuglio di pathos, attesa snervante ma pur sempre utilissima, emozioni sagaci, lentezza nel procedere degli eventi, misteri che si infittiscono man mano e con crescente angoscia, luci e riflessi luminosi che contribuiscono al suo carattere intimista e raggelante e, ultime solo in questo elenco, le musiche incalzanti e diaboliche che accompagnano la ricerca dell’inafferrabile assassino mentre questi è libero di circolare e agire secondo la sua volontà, compreso il memorabile fischio di un motivo inquietante che l’uccisore pedofilo esegue mentre passeggia indisturbato per le vie di Düsseldorf. Richiami a capolavori letterari come Jekyll & Hyde o a figure storiche di assassini realmente vissuti, ma rimasti sempre avvolti dal mistero (come Jack lo Squartatore), son considerazioni da cinefili raffinati e non contribuiscono grandemente alla valutazione critica finale in senso strettamente filmico, ma arricchiscono l’opera cinematografica di un alone magico e di una superba fantasia creativa che di sicuro male non gli fanno, casomai ne aumentano lo spessore artistico facendone un esempio di comunicazione efficace fra la settima arte e le arti che, cronologicamente, la precedettero. Un P. Lorre alle prime armi, ma già dotato del suo fascino stilistico, della sua precisione recitativa e delle sue espressioni di smarrimento emotivo, elementi che acconsentirono alla sua affermazione di divo del cinema teutonico agli occhi della critica europea, mentre Lang, dirigendolo e facendogli compiere evoluzioni espressive mirabolanti, si consacrò come autore di spicco di thriller psicologici (come il successivo Sono innocente!, 1938, con Henry Fonda protagonista) capaci tanto di tenere sul filo del rasoio un pubblico pagante sempre più ammutolito e impressionante, quanto di narrare storie avvincenti, sempre originali e maestre nell’apprendimento di quei dettami non poi così stringenti e oppressivi di altri geni del giallo che, prima ancora della nascita del cinema, seppero fornire ai lettori di romanzi e racconti spunti per vivere sensazioni forti, pulsanti e indimenticabili. Uscito di recente nella versione integrale, in quanto il regista fu costretto a tagliarlo e rimontarlo più volte a causa di vicende giudiziarie e cavilli burocratici poco simpatici.
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figliounico
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venerdì 5 aprile 2024
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la repubblica di weimar
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Il primo film sonoro di Lang. Un capolavoro assoluto sul quale è già stato detto tutto, sarebbe superfluo ogni commento tecnico. A prescindere dalla drammaticità del plot ispirato notoriamente ad un fatto di cronaca nera e dalla straordinaria perfomance attoriale di Peter Lorre, è impressionante per lo spettatore moderno la rappresentazione cruda e quasi documentaristica che Lang fa della società tedesca dell’epoca e della miseria generalizzata in cui era sprofondato il Paese in seguito alle sanzioni inflitte alla Repubblica di Weimar con il trattato di Versailles. Non si riesce a comprendere come sia stato possibile per quel popolo di poveracci risollevarsi nel giro di pochi anni dalle terribili condizioni economiche in cui versava e far tremare le potenze vincitrici della prima guerra mondiale mettendo a ferro e fuoco l’Europa intera.
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