M - Il mostro di Düsseldorf |
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Un film di Fritz Lang.
Con Peter Lorre, Gustaf Gründgens, Rudolf Blummer, Ellen Widman.
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Titolo originale M.
Drammatico,
b/n
durata 117 min.
- Germania 1931.
MYMONETRO
M - Il mostro di Düsseldorf
valutazione media:
4,84
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Tra silenzi ed espressionismo: Lang al suo megliodi SkratFeedback: 0 |
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sabato 19 luglio 2008 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il film di Lang (rifatto da Losey nel 1951 e citato da Salvatores in "Quo vadis baby?") è abilmente improntato su una lineare organicità narrativa, che, dal principio alla fine, segue una semplicità di linguaggio assolutamente impareggiabile, se confrontata con la profonda indagine psicologica dei personaggi, giocata non sui dialoghi, ma sulle immagini, soprattutto analizzando con precisione certosina la vena rivelatrice degli effetti chiaroscurali. La potenza evocativa delle immagini, le argute espressioni metaforiche raccontate con successioni e sovrapposizioni di forme e figure colpiscono e sbalordiscono per l’estrema raffinatezza stilistica ed il magistrale utilizzo della litote per “dire l’indicibile”, ovvero per sottolineare gli omicidi senza rappresentarli in scena diretta, si impongono ineluttabilmente nella memoria di ogni spettatore. Di grande forza narrativa, poi, alcune sequenze, come quella della sedia vuota o quella della scala deserta. In questa eccellente pellicole è innegabilmente riscontrabile una preponderante dose di inquieto realismo, fondato sia sull’oggettiva presentazione della storia nei suoi caratteri fondamentali, sia sulla sua geniale ambientazione nella Germania del 1931 (accorgimenti, entrambi, che amplificano il senso di pragmatismo e concretezza emanato dall’opera). Su uno sfondo di così tangibile consistenza e materialità, però, si innesta una narrazione, che trova la sua magnificenza proprio nell’uso esasperato di una macchina da presa per lo più statica, in cui le repentine variazioni e i cambi di movimento enfatizzano e scandiscono la disperata angoscia delle rappresentazioni, ma, soprattutto, su una sublime fotografia, che, accentuando appositamente i contrasti chiaroscurali e giocando sulle ombre, danzanti sui corpi dei protagonisti, riesce a trascendere la connotazione di pura concretezza della pellicola (in relazione alle vicende narrate), giungendo a trasfigurare la realtà e creando l’incubo.
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