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Una donna chiamata Maixabel, cinema civile che racconta il perdono. Da una storia vera, online su MYmovies

Vincitore di 3 Goya e ora in streaming su MYmovies ONE, il film di Icíar Bollaín è ispirato alla storia di Maixabel Lasa, figura simbolica del processo di riconciliazione e memoria collettiva nei Paesi Baschi dopo gli anni di sangue dell’ETA. GUARDA »
di Alberto Libera

venerdì 23 maggio 2025 - mymoviesone

Una donna chiamata Maixabel è un notevole esempio di cinema civile che affronta il tema complesso e universale del perdono. Sobrio e appassionante, il film di Icíar Bollaín è ispirato alla storia vera di Maixabel Lasa, figura simbolica del processo di riconciliazione e memoria collettiva nei Paesi Baschi dopo gli anni di sangue dell’ETA.

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La storia ruota proprio attorno a Maixabel (interpretata da Blanca Portillo), vedova di Juan María Jáuregui, ex governatore civile di Gipuzkoa, assassinato nel 2000 da un commando dell’organizzazione terroristica basca.

A distanza di undici anni da quell’omicidio, Maixabel accetta di incontrare uno degli assassini del marito, Ibon Etxezarreta (Luis Tosar), detenuto nel carcere di Nanclares de la Oca. L’uomo ha reciso ogni legame con l’ETA e intrapreso un percorso di pentimento che lo induce a cercare redenzione.


In foto una scena del film Una donna chiamata Maixabel.

Attraverso una narrazione misurata, costruita su dialoghi serrati e sguardi silenziosi, il film non cede mai al sentimentalismo né al facile moralismo. Al contrario, lavora per sottrazione, lasciando emergere il dolore, la colpa e il peso intollerabile della memoria.

Non cerca la commozione immediata, ma si pone come una riflessione sul significato profondo della giustizia, sulla possibilità – o meno – della riconciliazione e sulla responsabilità individuali e collettive.

Bollaín dirige con mano ferma, è attenta ad ascoltare le ragioni di tutti i personaggi coinvolti ed evita ogni spettacolarizzazione della violenza. Ciò che interessa alla regista non è tanto ricostruire l’atto eversivo quanto indagane le conseguenze: le rovine interiori, i silenzi, i dilemmi morali.

In questo senso, Una donna chiamata Maixabel si colloca nel solco di un cinema della memoria che interroga il presente. Non è solo il racconto di una vittima che sceglie d’incontrare il carnefice ma anche la testimonianza di un’epoca, di una comunità dilaniata e ancora in cerca di pace.


In foto una scena del film Una donna chiamata Maixabel.

Il film si regge sulle magistrali interpretazioni dei due protagonisti. Blanca Portillo restituisce tutta la compostezza e il dolore trattenuto di Maixabel, senza mai indulgere nella retorica della santificazione. Luis Tosar, dal canto suo, tratteggia con rara sensibilità un ex militante devastato dalla consapevolezza del male compiuto e delle sofferenze causate.

Il loro confronto è il cuore pulsante del film, il terreno incerto dove la parola “perdono” smette di essere astratta e si fa carne, tremore, esitazione.

Presentato in anteprima al Festival internazionale del cinema di San Sebastián, Una donna chiamata Maixabel non offre risposte ma osa porre domande assai delicate: che cos’è il perdono? È davvero possibile? E a quale prezzo? Può la giustizia escludere l’ascolto dell’altro? In un’epoca segnata da polarizzazioni e radicalismi, il film sfida lo spettatore a compiere un esercizio difficile: quello dell’empatia e dell’apertura verso il punto di vista altrui.

Non per giustificare, ma per comprendere; non per dimenticare, ma per ricordare meglio.


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