Il pianista

Uno dei capolavori del cinema contemporaneo, “Il pianista” di Roman Polanski è certamente uno degli affreschi più nitidi e crudi della tragedia dell’Olocausto.
Diversamente dal solito, però, la vicenda non si svolge in un campo di concentramento, ma narra le vicissitudini degli ebrei polacchi, in particolare di Friderick Spielzman, noto pianista polacco, e della sua famiglia, costretta nel celebre ghetto di Varsavia a patire i soprusi tedeschi, la malnutrizione e tutte le restrizioni a cui la popolazione ebraica fu costretta dopo l’invasione tedesca della Polonia il 1° settembre del 1939.
Le scene dipinte da Polanski, si basano in realtà sul vissuto dello stesso regista, i cui eventi biografici si mescolano con quelli di Spielzman.
Di fatto, parallelamente alla vicenda ebraica, il film si snoda attraverso i principali eventi della seconda guerra mondiale. Ogni ‘capitolo’ del film è identificato da una data in sovrimpressione, in cui un avvenimento scuote la vicenda del protagonista.
Ma la storia non è che un sottofondo, utile a strutturare le sequenze narrative.
Il film è prima di tutto una vicenda personale, la triste vicenda realmente accaduta a Spielzman, pianista polacco di chiara fama, costretto dagli eventi ad abbandonare la sua passione, per cercare invece di sopravvivere in balìa degli eventi.  
In questo senso il film descrive efficacemente la guerra come annientamento dell’io, ridotto ai suoi bisogni fisici primari, in cui la dignità è condizione rara. Esemplificativa è una scena del film, in cui nel ghetto, durante la giornaliera distribuzione di zuppa, una donna viene depredata della sua gavetta da un vecchio affamato. La gavetta si rovescia a terra, e l’anziano, completamente fuori di sé, si avventa a mangiare per terra, come un animale, mentre la donna piange disperata.
La fame è certamente il leit motiv del film. Il continuo bisogno di cibo è sempre più incessante, e man mano rende il protagonista sempre più schiavo e alienato dalla realtà. Sembra quasi di rivivere le vicende del romanzo del norvegese Knut Hamsun, Fame, capolavoro della letteratura novecentesca.
 
Oscar meritato all’eccezionale interpretazione di Adien Brody, che dà prova di un istrionismo ed un’immedesimazione nel personaggio rari nel cinema contemporaneo: ciò che ci colpisce di più del film è proprio l’umanità sofferta e drammatica del protagonista, le cui vicissitudini servono al regista per un più ampio giudizio sulle persecuzioni razziali nella Polonia sottomessa dall’esercito tedesco e dal suo terrificante isolamento internazionale.