Le conseguenze dell'amore |
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Un film di Paolo Sorrentino.
Con Toni Servillo, Olivia Magnani, Adriano Giannini, Gianna Paola Scaffidi, Raffaele Pisu.
continua»
Drammatico,
durata 100 min.
- Italia 2004.
MYMONETRO
Le conseguenze dell'amore
valutazione media:
3,97
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Il “tacito tumulto” di Titta di Girolamodi quieromirarFeedback: 1436 | altri commenti e recensioni di quieromirar |
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martedì 28 dicembre 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Imporsi allo sguardo sottraendosi a esso, mostrare dissimulando, condurre su false piste nel momento in cui ci si svela. È costruito su un ossimoro che scompagina i tempi della narrazione allungandoli fino a dissolverli o giocando tra inversioni e sovrapposizioni “Le conseguenze dell’amore”, sofisticato film di Paolo Sorrentino che crea nello spettatore una serie di attese destinate puntualmente a condurre su di un percorso in cui quelle stesse attese non trovano conferma. Il corpo di Toni Servillo, inquadrato da angolazioni differenti come a tentare di scoprire cosa si nasconda dietro quella maschera triste, si offre continuamente alla telecamera e in quell’offrirsi si nega, refrattario a ipotesi e suggestioni, epicentro di una storia che rende riduttivo e fuorviante l’atto di osservare, scrutare, esaminare: il peso della scelta è evidenziato dalla dimensione soggettiva della vicenda, dato che il pubblico scopre man mano il senso degli avvenimenti attraverso gli occhi di Titta. Prende subito piede l’impostazione sostanzialmente beffarda della pellicola: il motore del racconto, colui che indirizza lo sguardo senza lasciarsi attraversare da esso, è uno strumento relegato in un fermo-immagine, un individuo spogliato della propria identità che fa contare i soldi agli impiegati di una banca compiacente e che smaschera un vecchio baro (un Raffaele Pisu che sa comunicare carisma in pochi tratti) per l’effimero bisogno di sentirsi arbitro e non pedina di una partita che ha già sancito la sua sconfitta. Sorrentino lavora su rimandi ed antitesi: il carro funebre all’inizio è immagine della non vita di Titta così come la sua immersione nella calce porta a compimento il suo stato di sepolto vivo, mentre le inquadrature ravvicinate, l’irruzione della musica in netto contrasto con quanto accade, il montaggio che subisce talvolta vertiginose accelerate sembrano squarci in quella porta sprangata che è il comportamento del protagonista, disposto a concedersi riflessioni intrecciate sul libero filo dell’associazione mentale che fanno solo intravedere un tumultuoso mondo si sensazioni nascosto sotto una corazza. La macchina da presa asseconda il silenzio e poi lo smaschera, come nel momento in cui ondeggia dolcemente dalla mano aperta dell’uomo che si è appena drogato alla via sottostante in cui avanza la donna di cui s’innamorerà: quelle dita che si protendono verso il nulla cercano (un miraggio,una promessa di) felicità. Nella più ordinaria delle esistenze –e qui il gioco si fa ancora più crudele- irrompe il più prevedibile degli intoppi: il desiderio per una figura femminile che deve essere inespressiva, perché l’ossessione non conosce i mutamenti a cui la logica è abituata. Nel momento in cui desidera, Titta sa di essere finalmente riconoscibile, il volto può apparire al di sotto della maschera, come mostra un dialogo asettico (“Le piace la mia stanza?” “E’ una stanza” “E’la mia stanza”) che in realtà trabocca erotismo. Varrà allora la pena di infrangere le regole e l’uomo, non tradendo i suoi piani, esisterà paradossalmente nella morte, preferendo un sogno ingannevole a una vita da schiavo.
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