alesya
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domenica 27 giugno 2010
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she walks in beauty, like the night
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She walks in beauty, like the night/Of cloudless climes and starry skies;/And all that’s best of dark and bright/Meet in her aspect and her eyes:/Thus mellow’d to that tender light/Which heaven to gaudy day denies. (Byron – Vanity fair opening )
A volte il titolo di un film può lasciarci perplessi e sembrarci inadatto al soggetto , ma in questo caso mai titolo è stato più appropriato : ” la fiera della vanità ” è senza ombra di dubbio una pellicola vanitosa in ogni senso nelle sue pretese narrative e nella possente resa visiva : tratto da un romanzo di William Makepeace Thackeray (col quale il cinema ha già avuto modo di familiarizzare grazie a ” Barry Lyndon ” ) il film segue la scalata alla buona società della bella Becky Sharp ( una raggiante Reese Witherspoon al massimo della forma ) , umile figlia di un pittore in miseria e di una ballerina , che dopo una giovinezza trascorsa in una scuola per signorine come domestica all’ombra dell’agiata amica Amelia Sedley (una giovane Romola Garai qui all’inizio della sua carriera ) , riesce proprio con lei a lasciare l ‘ istituto per lavorare come governante presso la famiglia Crawley ; per la ragazza l’occasione di evitare l’angusta occupazione si presenta immediatamente nel ricco e poco avvenente fratello dell’amica , che viene però presto persuaso dalla malalingua di George Osborne (un Jonathan Rhys - Meyers antipatico al punto giusto ) giovane soldato promesso ad Amelia , a ritirare le proprie attenzioni : Becky non si arrende e preparato nuovamente il bagaglio con le sue iniziali inizia una nuova tappa della sua scalata che sembra cambiare definitivamente la sua sorte : dopo essere stata governante presso il bizzarro sir Pitt Crowley , la giovane riuscirà a sposare Rawdon (un James Purefoy eccessivamente paralizzato dalla divisa che indossa ) , affascinante rampollo della famiglia apparente dotato di una solida situazione economica , e con lui si prepara a iniziare una nuova vita di splendori ; ma la battaglia di Waterloo (nella quale Rawdon combatterà e George perderà la vita ) e l’esclusione dal testamento della ricca zia patronessa di Rawdon portano la coppia di nuovo sull’orlo della povertà e spingono Becky verso l’ambiguo appoggio del marchese di Steyne (affascinante e perfetto come sempre Gabryel Byrne ) , che chiederà in cambio del suo appoggio un prezzo troppo alto ; anche quando perderà tutto nuovamente , la giovane troverà comunque la forza di rifare i bagagli e andare avanti .
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She walks in beauty, like the night/Of cloudless climes and starry skies;/And all that’s best of dark and bright/Meet in her aspect and her eyes:/Thus mellow’d to that tender light/Which heaven to gaudy day denies. (Byron – Vanity fair opening )
A volte il titolo di un film può lasciarci perplessi e sembrarci inadatto al soggetto , ma in questo caso mai titolo è stato più appropriato : ” la fiera della vanità ” è senza ombra di dubbio una pellicola vanitosa in ogni senso nelle sue pretese narrative e nella possente resa visiva : tratto da un romanzo di William Makepeace Thackeray (col quale il cinema ha già avuto modo di familiarizzare grazie a ” Barry Lyndon ” ) il film segue la scalata alla buona società della bella Becky Sharp ( una raggiante Reese Witherspoon al massimo della forma ) , umile figlia di un pittore in miseria e di una ballerina , che dopo una giovinezza trascorsa in una scuola per signorine come domestica all’ombra dell’agiata amica Amelia Sedley (una giovane Romola Garai qui all’inizio della sua carriera ) , riesce proprio con lei a lasciare l ‘ istituto per lavorare come governante presso la famiglia Crawley ; per la ragazza l’occasione di evitare l’angusta occupazione si presenta immediatamente nel ricco e poco avvenente fratello dell’amica , che viene però presto persuaso dalla malalingua di George Osborne (un Jonathan Rhys - Meyers antipatico al punto giusto ) giovane soldato promesso ad Amelia , a ritirare le proprie attenzioni : Becky non si arrende e preparato nuovamente il bagaglio con le sue iniziali inizia una nuova tappa della sua scalata che sembra cambiare definitivamente la sua sorte : dopo essere stata governante presso il bizzarro sir Pitt Crowley , la giovane riuscirà a sposare Rawdon (un James Purefoy eccessivamente paralizzato dalla divisa che indossa ) , affascinante rampollo della famiglia apparente dotato di una solida situazione economica , e con lui si prepara a iniziare una nuova vita di splendori ; ma la battaglia di Waterloo (nella quale Rawdon combatterà e George perderà la vita ) e l’esclusione dal testamento della ricca zia patronessa di Rawdon portano la coppia di nuovo sull’orlo della povertà e spingono Becky verso l’ambiguo appoggio del marchese di Steyne (affascinante e perfetto come sempre Gabryel Byrne ) , che chiederà in cambio del suo appoggio un prezzo troppo alto ; anche quando perderà tutto nuovamente , la giovane troverà comunque la forza di rifare i bagagli e andare avanti . Diverso è invece il percorso dell ‘amica Amelia , che da nobile di buona famiglia diventa povera e miserabile , innamorata di un uomo che la sposa solo per onorare la sua promessa ma che in realtà la disprezza , senza capire per lungo tempo chi sia in realtà il suo vero grande amore . La regista Mira Nair si presta al cinema in costume di stampo tipicamente britannico senza mai dimenticare le sue origini ( che curiosamente coincidono con quelle di Tackeray essendo lui nato a Calcutta ) : l’India è presente attraverso una ricca messa in scena quasi maniacale nella perfezione dei dettagli , colorata di tinte calde e sfarzose sfumature di rosso e arancio , fra sfavillanti costumi , vertiginose acconciature e fastose scenografie , per non parlare poi delle danze appassionate dei lussureggianti festeggiamenti che richiamano in modo esplicito le atmosfere coloniali (dalla esotica festa organizzata dal fratello di Amelia alla sensuale danza di Becky in onore del sovrano ) , rivelando tutta la passione e la naturale propensione della regista per la sua terra natìa . La sceneggiatura di Julian Fellowes azzarda alla modifica dell’ impianto originale del romanzo per adattarlo al gusto meno impietoso e più partecipe del pubblico del ventunesimo secolo : è palese la sua preferenza per la vicenda di Becky rispetto a quella della dolce Amelia , che veniva invece da Tackeray narrata in modo altrettanto preminente per fungere da controaltare alla ” immorale ” vicenda della sua amica : ma per noi , la storia della remissiva Amelia Sedley è molto meno interessante della passionale e impetuosa creatura interpretata con fervore da Reese Witherspoon oltre ad essere inevitabile fonte di insofferenza proprio per la sua perfetta ingenuità : Becky è invece una fanciulla come tante oggi se ne potrebbero incontrare che cerca in ogni modo di cambiare il suo destino per quella posizione che per nascita le era stata negata , disposta a tutto pur di farsi accettare dalla maledetta buona società che con grande difficolà lascia entrare nuovi membri al suo interno . Forse l’intento satirico e morale di Tackeray si smarrisce un po’ lungo la strada per favorire la luminosa stella di Reese Witherspoon e del suo umano ed empatico personaggio , ma la nuova strada intrapresa dalla regista indiana risplende di una luce propria e originale , fatta di sentimenti e passioni , ricche stoffe e drappi colorati , variopinti e vanitosi come le piume di un pavone , lo stesso che compare nella sequenza d ‘ apertura sulle parole musicate di una nota poesia di Byron .
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topkarol88
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giovedì 29 gennaio 2009
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una perfetta eplosione di colori
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“ Vanità, decisamente il mio peccato preferito!” . Prenderò in prestito le parole di Al Pacino per cercare di spiegare come a volte la vanità, il più insidioso dei sette peccati capitali, riesca facilmente a manipolare le vite delle persone.
Rebecca Sharp, interpretata dalla bellissima Reese Witherspoon, rimasta troppo presto orfana di entrambi i genitori e senza un posto dove vivere, verrà assunta presso un collegio femminile dove, lavorando come domestica, acquisirà un’ istruzione e una dose di arrivismo tali da permetterle, appena terminati gli studi, di iniziare la sua grande ascesa sociale.
Lasciata la scuola con Amelia Sedley, nel film Romola Garai, nobile per nascita nonché sua migliore amica, la piccola Becky capirà da subito cosa vuol dire vivere da istitutrice cercando inutilmente di farsi rispettare da un mondo di nobili che giudica le persone solo in base al lignaggio.
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“ Vanità, decisamente il mio peccato preferito!” . Prenderò in prestito le parole di Al Pacino per cercare di spiegare come a volte la vanità, il più insidioso dei sette peccati capitali, riesca facilmente a manipolare le vite delle persone.
Rebecca Sharp, interpretata dalla bellissima Reese Witherspoon, rimasta troppo presto orfana di entrambi i genitori e senza un posto dove vivere, verrà assunta presso un collegio femminile dove, lavorando come domestica, acquisirà un’ istruzione e una dose di arrivismo tali da permetterle, appena terminati gli studi, di iniziare la sua grande ascesa sociale.
Lasciata la scuola con Amelia Sedley, nel film Romola Garai, nobile per nascita nonché sua migliore amica, la piccola Becky capirà da subito cosa vuol dire vivere da istitutrice cercando inutilmente di farsi rispettare da un mondo di nobili che giudica le persone solo in base al lignaggio. Ben presto a dispetto di tutto e tutti sposerà in gran segreto il capitano Rawdon Crawley, il bel James Purefoy, anch’egli nobile che a causa delle nozze affrettate e della sposa poco gradita alla famiglia verrà diseredato, riducendosi così, consumato dai debiti, per amore della sua Becky e di suo figlio Rudy, a passare una notte in cella e a mendicare presso suo fratello in cambio della libertà.
Sempre decisa a dare una svolta alla sua vita, Rebecca Sharp inizierà l’assidua frequentazione del marchese di Steyne, il bravissimo Gabriel Byrne, che da subito le offrirà amicizia, denaro, protezione, e una chance di entrare a far parte dei salotti dell’alta società, inizialmente senza chiederle nient’altro che la sua compagnia in cambio, ma successivamente presentandole un conto davvero molto salato da pagare. In breve tempo la nostra istitutrice arrivista perderà tutto, la sua famiglia, la sua unica amica e la sua dignità, riducendosi, in completa solitudine, a far da intrattenitrice in un casinò.
Ancora una volta Mira Nair non delude le aspettative. Tratto dall’omonimo romanzo di William Makepeace Thackeray,La fiera delle vanità, affresco satirico della società londinese del 1800, è un film dal grande impatto visivo, pieno dei bellissimi colori e profumi dell’India, elemento sempre presente come protagonista o voce narrante nei film della regista, fresco, intelligente e ben recitato da un cast che conta tra gli altri attori il grande Bob Hoskins, sempre insuperabile, nei panni del vecchio Sir Pitt Crawley, nobile rozzo e grassottello ammaliato anch’egli dalla bella Becky. Unica pecca del film, la sua durata: due ore e un quarto quasi lo rendono in alcuni punti lento e difficile da seguire; se non fosse per gli spettacolari costumi e per l’argutezza della maggior parte dei dialoghi lo spettatore troverebbe insopportabilmente noiosi gli intrecci e perderebbe facilmente il filo della vicenda. Da segnalare inoltre il finale alternativo (che vede la partecipazione di un giovanissimo Robert Pattinson), che probabilmente sarebbe stato il giusto epilogo della nostra storia, dando al film quel qualcosa in più, una morale sulla quale riflettere, arricchendolo di senso drammatico.
Da qui si arriva alla triste conclusione che, come Becky nel suo film, ognuno ha un prezzo...e voi, cosa sareste disposti a perdere per ottenere ciò che desiderate?
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maryluu
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mercoledì 5 marzo 2008
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l'ascesa sociale di un'orfana istitutrice
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Questo film, tipicamente ottocentesco, rispecchia in pieno i miei gusti personali e la mia ammirazione per quel mondo.
L'elemento principale è l'ascesa sociale di un' orfana istitutrice, che sogna di diventare nobile e che disposta a tutto, finirà col perdere di vista le cose importanti della vita, scendendo a bassi compromessi.
Colta, affascinante ed elegante spingerà molti uomini a cercare la sua attenzione. E sfrutterà chiunque si ponga sulla sua via.
Molto profondo l'amore che Rawdon Crawley, ufficiale dell'esercito, proverà nei suoi confronti, che lo spingerà a rinunciare a tutto per lei, anche alla ricca eredità di una vecchia zia.
Il suo amore si contrappone all'eterno opportunismo di Becky Sharp.
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Questo film, tipicamente ottocentesco, rispecchia in pieno i miei gusti personali e la mia ammirazione per quel mondo.
L'elemento principale è l'ascesa sociale di un' orfana istitutrice, che sogna di diventare nobile e che disposta a tutto, finirà col perdere di vista le cose importanti della vita, scendendo a bassi compromessi.
Colta, affascinante ed elegante spingerà molti uomini a cercare la sua attenzione. E sfrutterà chiunque si ponga sulla sua via.
Molto profondo l'amore che Rawdon Crawley, ufficiale dell'esercito, proverà nei suoi confronti, che lo spingerà a rinunciare a tutto per lei, anche alla ricca eredità di una vecchia zia.
Il suo amore si contrappone all'eterno opportunismo di Becky Sharp. Disposta ad amarlo a modo suo, non rinunciando al suo obiettivo fondamentale.
Perderà il suo amore e suo figlio, le cose che contano di più nella vita, ma riuscirà a realizzare il suo sogno: l'India.
Becky è un'antieroina. E' una donna che sfrutta la sua enorme intelligenza per un obiettivo vano. Che rinuncia al suo amore per vanità. Per egoismo.
Non posso che considerare mediocre una persona del genere e la sua vita, seppur intelligentemente vissuta, è da considerare sprecata. Vuota. Inutile.
Sono rimasta estasiata dalla bellezza e fascino di James Purefoy nella parte di Rawdon Crawley. Non mi capacitavo come Becky potesse avere tanta fortuna avendo un animo così misero.
Magistrali anche le intrepretazioni di Reese Witherspoon e di Romola Garai. Due donne eccelse nel rendere reali le mille sfaccettatur dei personaggi complessi che interpretano.
Un applauso ai costumi, alle ambientazioni ottocentesche, alla ricostruzione bellica. Mira Nair ha ricostruito il romanzo di William Makepeace Thackeray in modo encomiabile,
Nel complesso la mia valutazione è positiva, nonostante qualche dubbio sulla validità del finale. L'unica parte a mio avviso molto deludente. Comunque consigliato!
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(di andrea)
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andrea giostra
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domenica 16 dicembre 2012
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la caducità della vanita'.
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Vanity Fair (2004)
Quella del 2004 è la seconda versione del film tratto dall’omonimo romanzo di William Makepeace Thackeray. La prima, del 1923, in versione muto e bianco e nero, è con la regia e scenografia di Hugo Ballin.
La versione del 2004 di Mira Nair, “specializzata” nel valorizzare e raccontare la sua bellissima terra, l’India, che nel 2001 con il film “Monsoon Wedding” la consacra a livello internazionale con il meritato Leone d’Oro alla 58^ Mostra del Cinema di Venezia, riesce a catturare l’attenzione dello spettatore sulla caducità e futilità della vanità.
Reese Witherspoon è bravissima nell’interpretare il difficilissimo ruolo di protagonista della famosissima Becky Sharp di quello che è stato definito il più bel romanzo dell’ottocento colonialista inglese, capolavoro di Thackeray, pubblicato in Inghilterra nel 1846.
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Vanity Fair (2004)
Quella del 2004 è la seconda versione del film tratto dall’omonimo romanzo di William Makepeace Thackeray. La prima, del 1923, in versione muto e bianco e nero, è con la regia e scenografia di Hugo Ballin.
La versione del 2004 di Mira Nair, “specializzata” nel valorizzare e raccontare la sua bellissima terra, l’India, che nel 2001 con il film “Monsoon Wedding” la consacra a livello internazionale con il meritato Leone d’Oro alla 58^ Mostra del Cinema di Venezia, riesce a catturare l’attenzione dello spettatore sulla caducità e futilità della vanità.
Reese Witherspoon è bravissima nell’interpretare il difficilissimo ruolo di protagonista della famosissima Becky Sharp di quello che è stato definito il più bel romanzo dell’ottocento colonialista inglese, capolavoro di Thackeray, pubblicato in Inghilterra nel 1846.
Ma la vera protagonista della storia è la Vanità, e di come questa, se prende il sopravvento, conduce l’uomo, e più spesso la donna, alla miseria e alla solitudine.
Il film sa ben raccontare l’ascesa sociale di Becky Sharp dall’essere umile governante di ricche e nobili famiglie inglesi, a divenire presto sposa molto amata di un promettente e valoroso ufficiale dell’Esercito Inglese. Il matrimonio con l’affascinante James Purefoy catapulta improvvisamente e di diritto Witherspoon nelle alte sfere della altezzosa e ricchissima nobiltà londinese.
Ma spesso la vanità, quando eccessiva, rende uomini e donne ciechi nel riconoscere i propri limiti e ostinati nel perseverare temerariamente il raggiungimento di obiettivi impossibili e non meritati.
E’ allora, quando in lei la vanità prende inesorabilmente il sopravvento su tutto il resto, che Becky Sharp si convince di meritare di più, di dover possedere ancora, di andare oltre la propria condizione di donna amata, rispettata e ammirata dal proprio uomo. Ed è allora che percorre la via scellerata del compromesso occulto per ottenere danaro e del patto di sangue con il cinismo spregiudicato del ricco e potente marchese Gabriel Byrne (come sempre eccellente nelle sue interpretazione).
Il cinismo, la voracità, la possessività, la vanagloria, il narcisismo, l’egoismo, l’egocentrismo esplodono inesorabilmente in Becky Sharp rendendola irreversibilmente cieca alle grandi cose che ha già conquistato: l’amore incondizionato del suo bellissimo e fedelissimo uomo, la forte e granitica solidarietà familiare che ha consentito alla giovane coppia – ripudiata ed emarginata dalla ricchissima e potentissima Eileen Atkins - di superare difficili e dolorosi momenti di vita comune, lo splendido figlio avuto dalla forte passione e dall’amore puro di James Purefoy.
E’ a quel punto che la vanità si trasforma in caducità e futilità: l’incapacità di riconoscere il valore della cose belle che la bellissima Sharp già possiede, l’incapacità di apprezzare il grande amore che le viene incondizionatamente donato da Purefoy.
Il messaggio a quel punto è chiaro e inequivocabile: il valore che noi umani diamo all’amore e alla bellezza è determinato dalla sensibilità che possediamo, e questa sensibilità in Becky Sharp viene oscurata dalla prepotente e dirompente vanità.
Il finale del film – come quello del romanzo – dà alla protagonista una imprevedibile opportunità di riscatto. E il riscatto di Becky Sharp si concretizzerà in una terra bellissima e lontanissima dalla “vanitosa Inghilterra”, e in questa terra lontana, nei secoli, la vanità non ha mai avuto dimora: l’India.
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