frachi
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lunedì 4 aprile 2005
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non holiwoodiano
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film molto bello. Ponzio pilato interpretato da manfredi è superbo. Finalmente un film su questo tema scevro da megalomanie holiwoodiane. Dopo l'ultima tentazione di Cristo ed il Vangelo secondo Matteo è da vedere.
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mondolariano
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domenica 1 maggio 2011
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una sagace parodia
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La parodia è il pezzo forte di quest’originalissimo film. Trattandosi di una caricatura, l’impostazione più giusta non poteva che essere teatrale, almeno secondo il significato che la teatralità assume al cinema (ossia il kitsch meramente esteriore, che in questo caso assume il valore dell’allegoria). Le scenografie degli interni sono visibilmente fasulle, talmente fasulle da essere fiabesche, col cielo blu e il deserto arancione che si stende al di là del loggiato. Forse è una fiaba quella che si sta raccontando? La parodia del Vangelo è frutto della fede anticlericale di Magni e del laicismo di Manfredi, che però - con le loro sagaci battute - riescono a divertire senza mai cadere nella banale irriverenza.
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La parodia è il pezzo forte di quest’originalissimo film. Trattandosi di una caricatura, l’impostazione più giusta non poteva che essere teatrale, almeno secondo il significato che la teatralità assume al cinema (ossia il kitsch meramente esteriore, che in questo caso assume il valore dell’allegoria). Le scenografie degli interni sono visibilmente fasulle, talmente fasulle da essere fiabesche, col cielo blu e il deserto arancione che si stende al di là del loggiato. Forse è una fiaba quella che si sta raccontando? La parodia del Vangelo è frutto della fede anticlericale di Magni e del laicismo di Manfredi, che però - con le loro sagaci battute - riescono a divertire senza mai cadere nella banale irriverenza. Storicamente è ozioso ma lo scetticismo di Ponzio Pilato lascia aperti alcuni spiragli che inducono a riflettere intorno ad un avvenimento cruciale della storia. Gli spunti di riflessione sono acuiti dalle malinconiche musiche di Angelo Branduardi, che alzano di parecchio la qualità dell’insieme dandogli un tocco di seriosità in più. A Erode Antipa spetta la spassosa rivisitazione della strage degli innocenti. Finale ambiguo: Tiberio ha la parte del convertito mentre Pilato si riscatta condannando la persecuzione degli ebrei, gli stessi ebrei che però - tramite i Sommi Sacerdoti - per tutto il film hanno rivestito il ruolo dei cattivi.
Da vedere.
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fabal
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lunedì 4 gennaio 2016
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manfredi e l'italico buon senso
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Ponzio Pilato condanna alla croce Gesù Cristo, che poi risorge e costringe il pragmatico governatore a ricredersi.
Rivisitazione della figura di Pilato in chiave libera e teatrale, ma con una schietta profondità da lasciare sbalorditi. Il romanesco partorito dalla bocca di Manfredi non è tanto satira evangelica quanto un'interpretazione saggiamente ironica del cambio di costumi. Questo Ponzio Pilato è un uomo di straordinario e italico buonsenso, fiducioso nel parolaio diritto romano ma senza fanatismo. Non è nemmeno l'uomo che se ne "lava le mani" - tant'è che che la metafora viene sceneggiata con un sottile qui pro quo - perché a condannare un innocente proprio non ci sta.
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Ponzio Pilato condanna alla croce Gesù Cristo, che poi risorge e costringe il pragmatico governatore a ricredersi.
Rivisitazione della figura di Pilato in chiave libera e teatrale, ma con una schietta profondità da lasciare sbalorditi. Il romanesco partorito dalla bocca di Manfredi non è tanto satira evangelica quanto un'interpretazione saggiamente ironica del cambio di costumi. Questo Ponzio Pilato è un uomo di straordinario e italico buonsenso, fiducioso nel parolaio diritto romano ma senza fanatismo. Non è nemmeno l'uomo che se ne "lava le mani" - tant'è che che la metafora viene sceneggiata con un sottile qui pro quo - perché a condannare un innocente proprio non ci sta. Il buon senso è spesso l'unico appiglio di un uomo i cui sentimenti religiosi sono così "umani" da suscitare più fiducia degli angeli che appaiono o delle varie rivelazioni.
Squisito, infine, il tratto nostalgico, che parafrasa un impero forte politicamente ma in decadenza di costumi. Famme morì da romano, dice all'amico Valeriano chiedendogli un sesterzio per pagare Caronte.
Anche se i mezzi sono minimalisti e la fotografia a volte pacchiana, l'interpretazione di Manfredi vale da sola la terza stella.
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chaoki21
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sabato 7 aprile 2012
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manfredi ai livelli del pinocchio di comencini
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Nino Manfredi ai livelli del Pinocchio di Comencini, inaspettatamente. Un regalo incredibile nell’unica parte importante di un film, che parte senza pretese, ma che merita, e non solo per l’interpretazione di Manfredi, di essere conservato e studiato (rilettura del cristianesimo come paganesimo radicalizzato, o, se si vuole, rilettura del paganesimo nel suo germe cristiano - resta in ombra l’ebraismo, assolutamente condannato dal film, sia pur come effetto complessivo - non esplicitamente -, e questo è il punto debole dell’opera - ma non si sarebbe francamente potuto chiedere di più da un prodotto simile)
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elgatoloco
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lunedì 28 novembre 2016
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magni sempre poeticamente efficace
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Luigi Magni andrebbe annoverato di diritto tra i grandi della tradizione filmica non solo italiana, ma almeno europea: ciò in virtù della sua capacità di essere veramente un autore(anche teatrale e letterario, nel senso della prosa), straordinaroamente attento alla storia(il che non vuol dire ricostruire pedissequamente quanto si è scritto , cioè prodotto nella storiografia)ma al contrario ricostruendo anche"fantasticamente"quanto si è svolto, con una solida impostazione culturale, che, diremmo così, generalizzando, è quella"nazional-popolare", "marxista-gramsciana", in Magni. Qui affronta, a partire dai Vangeli apocrifi(dunque non canonici, non dogmaticamente riconosciuti come fonti veridiche sulla vita e l'opera di Gesù Cristo)e della tradizione popolare, un tema spinoso, quello della"più grande storia mai raccontata", quella"sacra", storia della savlezza", per chi crede e per chi non crede ,comunque, quanto meno"un grande interrogativo", in quanto negare la storia di Cristo riducendola a mito(una querelle spesso ripresa, tra l'altro anche molto di recente-si veda l'ultimo numero di"Le Monde des religions", ma che risale almeno a Bauer e Renan, per non citare altri nomi)appare francamente difficile, vista anche la congerie di testi extra-cristiani che ne parlano(da Tacito, pur se per cenni a GIuseppe Flavio etc.
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Luigi Magni andrebbe annoverato di diritto tra i grandi della tradizione filmica non solo italiana, ma almeno europea: ciò in virtù della sua capacità di essere veramente un autore(anche teatrale e letterario, nel senso della prosa), straordinaroamente attento alla storia(il che non vuol dire ricostruire pedissequamente quanto si è scritto , cioè prodotto nella storiografia)ma al contrario ricostruendo anche"fantasticamente"quanto si è svolto, con una solida impostazione culturale, che, diremmo così, generalizzando, è quella"nazional-popolare", "marxista-gramsciana", in Magni. Qui affronta, a partire dai Vangeli apocrifi(dunque non canonici, non dogmaticamente riconosciuti come fonti veridiche sulla vita e l'opera di Gesù Cristo)e della tradizione popolare, un tema spinoso, quello della"più grande storia mai raccontata", quella"sacra", storia della savlezza", per chi crede e per chi non crede ,comunque, quanto meno"un grande interrogativo", in quanto negare la storia di Cristo riducendola a mito(una querelle spesso ripresa, tra l'altro anche molto di recente-si veda l'ultimo numero di"Le Monde des religions", ma che risale almeno a Bauer e Renan, per non citare altri nomi)appare francamente difficile, vista anche la congerie di testi extra-cristiani che ne parlano(da Tacito, pur se per cenni a GIuseppe Flavio etc.); e proprio riallacciandosi ai testi apocrifi, Magni accentua l'aspetto miracolistico(la trasfigurazione come"volo", l'angelo, tra l'altro in forma femminile-e con questo Magni chiude la medievale"quaestio de sexu angelorum", ossia la polemica dominante nella"media aetas"sul sesso degli angeli), e anche colorato-.popolare(c'è anche lo spettacolo sexy, con la danza dei sette veli di Salomè alla corte di Erode Antipa e i nudi, tra cui spicca comunque la bellezza di Stefania Sandrelli, nel ruolo di Claudia, la first lady, in quanto moglie di Ponzio Pilato). E proprio Pilato, riletto come un governatore annoiato, scettico e colto quanto indolente e popolarmente(pur se da aristocratico e, appunto, colto) "titubante", che però poi, seguendo la moglie e i soldati testimoni(e negativo, trovando il sepolcro scoperto) della resurrezione, alla fine crede, ma più che altro, in questa storia"controfattuale", si sacrifica, salvando Tiberio dalla malattia, con il velo della Veronica, ma a prezzo della propria vita, chiede a Tiberio di non perseguitare più gli Ebrei-e se pensiamo ai meriti di Magni per la storia romana soprattutto risorgimentale, anche in difesa degli Ebrei, ancora una volta chapeau. E, oltre a un Manfredi grandissimo, bravissimi la Sandrelli e Buzzanca, Mario Sciacca quale Tiberio e Flavio Bucci quale Barabba e a Barabba Magni fa dire una frase.chiave: "Ma se non credessi ai miracoli, che rivoluzionario sarei?" . El Gato
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