lorenzo
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sabato 12 novembre 2005
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ottimo film sugli "anni di piombo"
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E' uno dei pochi tentativi seri di elaborare in sede filmica il retaggio degli "anni di piombo": gli ex-rivoluzionari sono fotografati nella loro realtà umana, quella di vecchi ragazzi che, negli anni Settanta, progettavano attentati ed omicidi fra una festa ed una gita scolastica, senza la minima idea delle conseguenze devastanti che simili azioni avrebbero potuto avere sulle loro vite.
Non solo le condanne penali ed i sensi di colpa attanagliano i sopravvissuti, ma nella misura in cui i carcerati possono ottenere sconti di pena solamente collaborando cogl'inquirenti e denuciando i compagni rimasti a piede libero, paura e rancore li dividono uno dall'altro. Braccio, il protagonista del film, è un uomo profondamente solo.
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E' uno dei pochi tentativi seri di elaborare in sede filmica il retaggio degli "anni di piombo": gli ex-rivoluzionari sono fotografati nella loro realtà umana, quella di vecchi ragazzi che, negli anni Settanta, progettavano attentati ed omicidi fra una festa ed una gita scolastica, senza la minima idea delle conseguenze devastanti che simili azioni avrebbero potuto avere sulle loro vite.
Non solo le condanne penali ed i sensi di colpa attanagliano i sopravvissuti, ma nella misura in cui i carcerati possono ottenere sconti di pena solamente collaborando cogl'inquirenti e denuciando i compagni rimasti a piede libero, paura e rancore li dividono uno dall'altro. Braccio, il protagonista del film, è un uomo profondamente solo.
Gli stessi carabinieri che lo deportano da un carcere all'altro, cercando di sfruttarne le povere speranze per farlo "parlare", non sono trasfigurati in prodi difensori delle istitituzioni democratiche né in biechi servi del capitalismo reazionario: sono individui qualunque, colle loro storie e le loro paure. Il loro capitano si rende perfettamente conto del carattere rivoluzionario di quegli anni e di come un'utopia politica potesse risultasse affascinante agli occhi di ventenni cresciuti nel clima dell'Italia degli anni Settanta, ma deve compiere il suo dovere e sfruttare la disperazione di Braccio per fargli denunciare i suoi ex-compagni.
Il film rimane centrato sulle contraddizioni d'una rivoluzione abortita, che ha rovinato tante vite senza mai sfociare in una vera guerra civile (che per quanto feroce avrebbe potuto giustificare e dare un senso alle sofferenze che l'avevano preparata e che ne sarebbero risultate). Si tratta d'un film tipicamente italiano, a cavallo fra tristezza, malinconia e convinzione che la vita non ha alcun senso predefinito; lo si potrebbe forse paragonare a "Regalo di Natale" di Pupi Avati.
Il suo unico difetto: una certa tendenza a trasvalutare il protagonista in una sorta di eroe tragico, smarrendo l'equilibrio che caratterizza la struttura complessiva del film. Le conclusioni sono spesso il luogo di simili "inciampi", e questa rappresenta forse il momento più debole d'un film altrimenti apprezzabilissimo.
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salvatore scaglia
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martedì 12 novembre 2013
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il capitano e il terrorista, diversi e simili.
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La mia generazione è una pellicola introspettiva tutta fondata sul duo Orlando-Amendola.
Il primo interpreta un rigoroso capitano dei Carabinieri che si occupa di traduzioni di detenuti particolarmente pericolosi, tra cui i c.d. politici, mentre il secondo, Braccio, veste i panni di un ex terrorista, destinato a scontare una pena assai dura, pagando anche colpe di altri.
Lungo il viaggio di trasferimento da un carcere del Sud ad uno di Milano, dove Braccio dovrebbe incontrare l'ex fidanzata (Neri, la cui presenza nel film è quasi esornativa), i due personaggi si studiano a vicenda e, gradualmente, finiscono col darsi del "tu". A un certo punto della traduzione sale sull'autoblindo della Benemerita un carcerato comune, che è costretto a disfarsi di una pistola cedendola al politico.
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La mia generazione è una pellicola introspettiva tutta fondata sul duo Orlando-Amendola.
Il primo interpreta un rigoroso capitano dei Carabinieri che si occupa di traduzioni di detenuti particolarmente pericolosi, tra cui i c.d. politici, mentre il secondo, Braccio, veste i panni di un ex terrorista, destinato a scontare una pena assai dura, pagando anche colpe di altri.
Lungo il viaggio di trasferimento da un carcere del Sud ad uno di Milano, dove Braccio dovrebbe incontrare l'ex fidanzata (Neri, la cui presenza nel film è quasi esornativa), i due personaggi si studiano a vicenda e, gradualmente, finiscono col darsi del "tu". A un certo punto della traduzione sale sull'autoblindo della Benemerita un carcerato comune, che è costretto a disfarsi di una pistola cedendola al politico. E' ora, in medias res, che lo spettatore inizia ad aspettarsi un colpo di scena basato su questa pistola che passa di mano, ma che non viene mai usata, nè dal comune nè dal politico.
Il vero colpo di scena consiste, piuttosto, in ciò: scopo del film è quello di mostrare le diverse, ma nel contempo simili, personalità del capitano e di Braccio, in un'interessante indagine psicologica, valorizzata da reiterati primi piani dei volti e dallo svolgersi delle scene in ambientazioni cupe e buie (il carcere, il furgone blindato, la notte). Entrambi i protagonisti sono agli ordini, rispettivamente, dello Stato e dell'organizzazione sovversiva; entrambi sono inflessibili servitori delle loro cause. E forse per questo, dunque, scoprono di avere qualcosa in comune, pur da irriducibili avversari.
Così, anche quando infine il capitano rivela il piano finalizzato alla collaborazione del terrorista con un colonnello dei CC (una sorta di generale Dalla Chiesa), Braccio non se la sente di svelare chi avrebbe sparato nell'omicidio per cui è stato condannato e chi avrebbe le armi. Egli è un dissociato, non un pentito. Si autoaccusa, ma non coinvolge altri. Ma soprattutto comprende che la sua generazione è ormai fuori tempo massimo. Sintomatico, a questo proposito, è il filmato senza sonoro dei bei tempi, che l'ex di Braccio guarda nostalgicamente: come se la sua generazione non avesse più nulla da dire o non fosse più nelle condizioni di dire la propria.
La fidanzata del terrorista ormai sta con un altro; un suo ex compagno di lotta è un insegnante; e Braccio è in carcere. Egli, però, non si vende, come invece fa una prostituta con cui ha la possibilità di andare grazie alla generosità pelosa del capitano e dei suoi sottoposti.
Braccio non cede, nonostante il fatto che "la democrazia ha vinto", come sottolinea enfaticamente il capitano, invogliandolo al pentimento.
Nell'atteggiamento di Braccio c'è pertanto tutta la rassegnazione di chi ha capito che, se collaborasse, potrebbe sì cambiare la sua condizione individuale, ma non certo quella di una generazione intera e di un'illusione rivoluzionaria armata tramontata miseramente, ma per la quale ha speso la sua vita.
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