giulio andreetta
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martedì 10 dicembre 2019
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il ritratto di una londra che non c'è più
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Un grande ritratto di una Londra che non c'è più. Una città affascinata dal fenomeno del rock, che in quegli anni faceva definitivamente breccia sui giovani, da sempre attenti alla manifestazione, o all'ostentazione, di una protesta nei confronti dei simulacri borghesi del passato. Una realtà descritta minuziosamente, nella quale si inserisce senza soluzione di continuità la vicenda di un fotografo che diventa l'involontario spettatore di un delitto. Il mistero che di solito è associato, nel genere giallo, all'identità dell'assassino, in questo caso ha poca o nessuna importanza, diventa mero espediente narrativo, che permette, ancora una volta in Antonioni, di mostrare l'incomunicabilità, la totale mancanza di speranza in una possibile conciliazione tra l'io individuale e gli altri.
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Un grande ritratto di una Londra che non c'è più. Una città affascinata dal fenomeno del rock, che in quegli anni faceva definitivamente breccia sui giovani, da sempre attenti alla manifestazione, o all'ostentazione, di una protesta nei confronti dei simulacri borghesi del passato. Una realtà descritta minuziosamente, nella quale si inserisce senza soluzione di continuità la vicenda di un fotografo che diventa l'involontario spettatore di un delitto. Il mistero che di solito è associato, nel genere giallo, all'identità dell'assassino, in questo caso ha poca o nessuna importanza, diventa mero espediente narrativo, che permette, ancora una volta in Antonioni, di mostrare l'incomunicabilità, la totale mancanza di speranza in una possibile conciliazione tra l'io individuale e gli altri. Una solitudine ancora più amara, perché presente soprattutto nel momento del contatto con l'altro da sé: Una relazione che può essere solo materiale, fisica, ma mai spirituale. L'incapacità di trovare dati oggettivi che possano corrobare l'ipotesi del delitto diventa la manifestazione del relativismo odierno, nel quale tutto è vero e tutto è falso, e conta solamente l'apparenza. Il senso di spaesamento del protagonista è il senso di spaesamento dell'uomo moderno, ormai orfano di tutti i valori. Un film amaro, disturbante a tratti, anche perché trememendamente complesso, e che rischia persino di annoiare uno spettatore non abituato alla poetica di questo grande regista. Si tratta di cogliere i segni, le sfumature, gli sguardi, il non-detto, piuttosto che il significato letterale dei dialoghi e dei concetti. Un film difficile che non concede nulla allo spettatore, e che manifesta il disagio del protagonista in modo velato, ad esempio attraverso la sua passione per oggetti inutili (l'elica di legno) che diventano l'emblema dell'inutilità dell'arte, ma anche della sua straordinaria forza comunicativa. CI troviamo sicuramente di fronte ad un capolavoro.
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stefanocapasso
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mercoledì 6 dicembre 2017
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la creatività crea vita reale
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Diviso tra I lavori su commissione con le modelle e i suoi interessi personali Thomas, giovane fotografo di Londra trova materiale interessante per caso in alcune foto scattate in un parco. Gli ingrandimenti dei dettagli mostrano un uomo con una pistola ed un corpo a terra. La convinzione di aver fotografato un omicidio lo spinge ad ulteriori ricerche che non riusciranno a portare alcun dato certo.
Capolavoro del cinema moderno di Michelangelo Antonioni il film si interroga continuamente tra ciò che verità e ciò che è finzione. E lo fa infrangendo canoni cinematografi per aderire all’idea che lo spazio intorno è tutto vivo ed esplorabile, cosi che l’indagine del protagonista diventa metaforicamente un’indagine sulla stessa realtà, peraltro non risolvibile.
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Diviso tra I lavori su commissione con le modelle e i suoi interessi personali Thomas, giovane fotografo di Londra trova materiale interessante per caso in alcune foto scattate in un parco. Gli ingrandimenti dei dettagli mostrano un uomo con una pistola ed un corpo a terra. La convinzione di aver fotografato un omicidio lo spinge ad ulteriori ricerche che non riusciranno a portare alcun dato certo.
Capolavoro del cinema moderno di Michelangelo Antonioni il film si interroga continuamente tra ciò che verità e ciò che è finzione. E lo fa infrangendo canoni cinematografi per aderire all’idea che lo spazio intorno è tutto vivo ed esplorabile, cosi che l’indagine del protagonista diventa metaforicamente un’indagine sulla stessa realtà, peraltro non risolvibile. La conclusione finale ben rappresentata dalla partita di tennis simulata lascia intendere che è l’arte stessa che crea la realtà, e che per vivere nella stessa realtà c’è bisogno di aderire completamente all’istinto creativo , come Thomas stesso, dopo qualche attimo di titubanza, sceglie di fare.
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angeloumana
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mercoledì 1 novembre 2017
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esplosione attesa
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E' passato il tempo, ci ha scavato dentro... canta Enrico Ruggeri, così come ne è passato per il film Blow-Up, rimasterizzato e come nuovo ma è passata l'epoca in cui un film così era, forse, attuale o perfino precorritore. Mario Soldati lo definì un capolavoro, o almeno il capolavoro di Michelangelo Antonioni, che però altri migliori ne fece, quanto meno film che raccontavano più da vicino la realtà dell'epoca e osservavano le persone interiormente. Altri lo hanno definito come il film che ha influenzato il cinema di altri maestri cinematografici. E' del 1966, Palma d'Oro a Cannes '67. Antonioni un genio, o così bisogna dire.
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E' passato il tempo, ci ha scavato dentro... canta Enrico Ruggeri, così come ne è passato per il film Blow-Up, rimasterizzato e come nuovo ma è passata l'epoca in cui un film così era, forse, attuale o perfino precorritore. Mario Soldati lo definì un capolavoro, o almeno il capolavoro di Michelangelo Antonioni, che però altri migliori ne fece, quanto meno film che raccontavano più da vicino la realtà dell'epoca e osservavano le persone interiormente. Altri lo hanno definito come il film che ha influenzato il cinema di altri maestri cinematografici. E' del 1966, Palma d'Oro a Cannes '67. Antonioni un genio, o così bisogna dire. Qui fotografò il passaggio da un'epoca all'altra, film certamente intelligente o meglio intellettuale, ma non adatto a tutti i “comprendonii”: capitò in un momento in cui il pubblico era interessato a temi esistenziali, agli ermetismi di linguaggio, alle opere prive di trama, così è scritto sulla presentazione di MyMovies.
David Hemmings-Thomas ne è protagonista assoluto. Allora 25enne impersona un fotografo di successo, che fa fare alle sue modelle ciò che vuole, per l'onore o la fama di essere da lui fotografate. C'è del maschilismo nel film, l'uomo-gallo che nel pollaio pone e dispone, ma è figlio dell'epoca. Se ne va in giro con una Rolls cabriolet, uomo di successo, due modelle o aspiranti tali gli fanno la corte per esserne fotografate. Compaiono Jane Birkin e Vanessa Redgrave giovani e bellissime, tutte le donne hanno chiome di capelli lunghi, era il '66... Si intravvede una liberazione nei costumi che arriverà, ma che negli ambienti di Antonioni era già cosa acquisita. Le prime chitarre vengono spaccate nei concerti, espressione d'arte o di modernità? Era il tempo dei Beatles e siamo a Londra. Ha messo nel film gli antesignani dei contestatori o degli indiani metropolitani, o forse i futuri espropriatori proletari, liberi di scorrazzare e inventarsi cose, come una partita a tennis solo mimata. Chissà se blow-up è un'esplosione (attesa, magari augurabile da parte dello spettatore) oppure l'ingrandimento di una foto che Thomas fà per una personale indagine su un misterioso omicidio che lambisce la Redgrave. Mah, ci vuole un buon quoziente intellettivo per capire gli intellettuali!
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evak.
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martedì 10 ottobre 2017
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il fisso nel mutevole
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Quando ci si avvicina alle opere di un Maestro, quale Michelangelo Antonioni, c'è uno strano pudore personale ed intimistico: la parola potrebbe inficiare quello spazio, amato dal regista, che si interpone tra essa stessa parola e il silenzio. Ciò che sta nel mezzo è qualcosa che si riempe osservando. Questo film, uno dei capolavori di Antonioni, di recente uscito nelle sale in versione restaurata, è più di quel respiro artistico che appartiene al Maestro. Antonioni non è mai stato un figlio del cinema, lui è un padre del cinema. Blow- up lo dimostra. Se si osserva Thomas, se si guarda con i suoi occhi, ci si accorge che c'è una realtà intrinseca nelle cose dal momento in cui passano vicino agli occhi al momento in cui gli occhi vedono come le pensiamo.
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Quando ci si avvicina alle opere di un Maestro, quale Michelangelo Antonioni, c'è uno strano pudore personale ed intimistico: la parola potrebbe inficiare quello spazio, amato dal regista, che si interpone tra essa stessa parola e il silenzio. Ciò che sta nel mezzo è qualcosa che si riempe osservando. Questo film, uno dei capolavori di Antonioni, di recente uscito nelle sale in versione restaurata, è più di quel respiro artistico che appartiene al Maestro. Antonioni non è mai stato un figlio del cinema, lui è un padre del cinema. Blow- up lo dimostra. Se si osserva Thomas, se si guarda con i suoi occhi, ci si accorge che c'è una realtà intrinseca nelle cose dal momento in cui passano vicino agli occhi al momento in cui gli occhi vedono come le pensiamo. Ecco l'immaginazione. Il film ci porta in una sorta di viaggio sartriano. Quello de "L'essere e il nulla". L'esistenzialismo nel quale l'uomo si ritrova con la propria natura, con le proprie scelte e le proprie responsabilità senza essere protetto da appartenenze culturali o ideologiche. L'uomo è solo. Thomas lo sa. Guarda, si guarda, si lascia guardare. Quel gradino che separa la finzione dalla realtà è legato alla sua percezione, all'accettazione che anche ciò che appare distinto dalla realtà, quindi non vero, può essere reale, se condiviso. Basti pensare alla partita di tennis che chiude il viaggio del protagonista. L'impressione è quella che Thomas si sia liberato, in quel momento, dal "Velo di Maya" (v. Arthur Schopenhauer). Guarda in modo diverso. Ha capito. Per lui, però, il confine resta se stesso. Prima della comprensione è passato dalla dissacrazione delle cose agli eccessi umani, dalla personificazione stessa degli oggetti alla persuasione di se stesso. Michelangelo Antonioni compie un'opera di poesia ineguagliabile. Il suo cinema è arte per l'arte; non ci sono compromessi nei suoi racconti, nei suoi personaggi, nella sua narrazione. Accompagnato, come sempre, dalla fotografia altissima, raffinata e pura di Carlo di Palma, ci restituisce un'opera d'arte appassionata, nella quale vivono tutti le Arti.
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maria cristina nascosi sandri
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martedì 3 ottobre 2017
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antonioni su blow-up: (...) non mi interessava tanto la vicenda, quanto il meccanismo delle fotografie.
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In occasione del decennale della sua scomparsa ed all'appena trascorso 'impossibile' genetliaco - il 29 settembre scorso avrebbe compiuto 105 anni - Michelangelo Antonioni viene omaggiato in questi primi giorni di Ottobre con l'uscita ufficiale nelle sale della versione restaurata di uno dei suoi indiscussi capolavori, Blow-up, un vero 'classic' nella storia del Cinema Mondiale che ancora molto ha da insegnare e tramandare. Dopo aver celebrato i cinquant'anni del suo Grand Prix (così si chiamava all'epoca la Palma d'Oro), allo scorso Festival della stessa Cannes, il 2 luglio scorso quella stessa versione restaurata ha chiuso in grande stile l'edizione 2017 del Festival del Cinema Ritrovato di Bologna.
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In occasione del decennale della sua scomparsa ed all'appena trascorso 'impossibile' genetliaco - il 29 settembre scorso avrebbe compiuto 105 anni - Michelangelo Antonioni viene omaggiato in questi primi giorni di Ottobre con l'uscita ufficiale nelle sale della versione restaurata di uno dei suoi indiscussi capolavori, Blow-up, un vero 'classic' nella storia del Cinema Mondiale che ancora molto ha da insegnare e tramandare. Dopo aver celebrato i cinquant'anni del suo Grand Prix (così si chiamava all'epoca la Palma d'Oro), allo scorso Festival della stessa Cannes, il 2 luglio scorso quella stessa versione restaurata ha chiuso in grande stile l'edizione 2017 del Festival del Cinema Ritrovato di Bologna. Un 'giusto' rientro, visto che il restauro è stato fatto proprio dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con l'Istituto Luce - Cinecittà e Criterion, oltreché con la Warner Bros e Park Circus. Il restauro è stato realizzato nei laboratori di Criterion a New York e L'Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna, con la supervisione di uno dei Maestri della Luce oggi in Italia, il direttore della fotografia Luca Bigazzi che ha 'lavorato' sull'opera del grande ed indimenticabile Carlo Di Palma, collaboratore, tra gli altri ed a lungo anche di Woody Allen. Quello che rappresenta il decimo lungometraggio di Michelangelo Antonioni gli era stato ispirato dalla lettura di un racconto dello scrittore, poeta, critico letterario, saggista e drammaturgo argentino naturalizzato francese, Julio Cortazar, Le bave del diavolo - come lo stesso regista scriveva: "(...) Non mi interessava tanto la vicenda, quanto il meccanismo delle fotografie. La scartai e scrissi una sceneggiatura originale, nella quale il meccanismo assumeva un peso ed un significato diversi. Con me collaborarono Tonino Guerra e, per i dialoghi inglesi, Edward Bond. Un breve soggiorno a Londra insieme a Monica (la Vitti in quel periodo stava girando Modesty Blaise, di Joseph Losey) mi affascinò talmente che decisi di spostare l'azione dalla Parigi di Cortazar alla Londra della nuova musica e della nuova arte che proprio allora stavano prendendo piede". Antonioni, sempre attento ed antesignano anche per le colonne sonore dei suoi film, scelse per Blow-up il grande compositore, tastierista e attore statunitense Herbie Hancock che, a sua volta, chiamò a collaborare molti dei protagonisti della scena jazz ma anche band rock dell'epoca come gli Yardbirds, presenti in un cameo passato alla storia come.... se stessi, nella pellicola. Interamente girato nella emergente Swinging London, interpretato da un giovane David Hemmings a fianco di una quasi sconosciuta Vanessa Redgrave, Jane Birkin, la modella Veruschka - prima di Dalì - e Sarah Miles, Blow-up rimane, anche stilisticamente, una pietra miliare per grandi autori che vennero 'dopo' Antonioni: basti citare Peter Greenaway con il suo I misteri del giardino di Compton House, del 1982 - come lui stesso ha ricordato all'ultimo Biografilm Festival dove è stato premiato e dove ha anticipato una prossima sorpresa, da par suo, per la Città di Ferrara.
MARIA CRISTINA NASCOSI SANDRI
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greatsteven
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domenica 26 febbraio 2017
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l'ingannevolezza delle apparenze nella fotografia.
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BLOW-UP (UK/IT, 1966) diretto da MICHELANGELO ANTONIONI. Interpretato da DAVID HEMMINGS, SARAH MILES, VANESSA REDGRAVE, VERUSCHKA, JANE BIRKIN
Thomas è un fotografo arrogante, annoiato e donnaiolo che vive a Londra negli anni in cui la capitale britannica, uniformandosi alla moda anche un po’ viziosa del tempo, comincia a far esplodere qua e là i movimenti pacifisti e il consumo di stupefacenti presso i giovanissimi. Attorniato da graziose donne che posano per lui nel suo lussuoso e variopinto studio di moda, si dibatte in un’angosciosa solitudine e vorrebbe essere ricco e famoso ed abbandonare tutto quel che possiede a casa sua (pur tuttavia arredata con uno sfarzoso e inconfondibile stile da Pop Art).
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BLOW-UP (UK/IT, 1966) diretto da MICHELANGELO ANTONIONI. Interpretato da DAVID HEMMINGS, SARAH MILES, VANESSA REDGRAVE, VERUSCHKA, JANE BIRKIN
Thomas è un fotografo arrogante, annoiato e donnaiolo che vive a Londra negli anni in cui la capitale britannica, uniformandosi alla moda anche un po’ viziosa del tempo, comincia a far esplodere qua e là i movimenti pacifisti e il consumo di stupefacenti presso i giovanissimi. Attorniato da graziose donne che posano per lui nel suo lussuoso e variopinto studio di moda, si dibatte in un’angosciosa solitudine e vorrebbe essere ricco e famoso ed abbandonare tutto quel che possiede a casa sua (pur tuttavia arredata con uno sfarzoso e inconfondibile stile da Pop Art). Una mattina, passeggiando in un parco, scatta alcune fotografie ad una coppietta di innamorati che giocano a rincorrersi, e la donna coinvolta reclama perentoria la consegna degli scatti. Dopo aver trascorso qualche ludico momento in sua compagnia, Thomas crede, in seguito all’ingrandimento dei dettagli di uno dei sopracitati scatti, di aver scoperto i segni di un delitto. Torna al parco e trova effettivamente un cadavere nascosto fra i cespugli. Parla della cosa alla migliore amica, anch’ella sua musa ispiratrice, e al suo capo, ma non ottiene le attenzioni sperate. Successivamente ad un forsennato e meticoloso lavoro svolto sui negativi delle pellicole, Thomas si accorge infine, tornato nuovamente ai giardini, che il corpo dell’uomo morto che aveva poc’anzi scorto non c’è più. Così convinto dell’efficacia e della veridicità della sua scoperta, si ritrova ora perso in un vuoto ridicolo di contraddizione e ripensamento e non può far altro che rilanciare una palla inesistente ad un gruppo di simpatici e pittoreschi mimi che prendono possesso di un campo da tennis e fingono di giocare una partita. Con un inizio alquanto silenzioso e un po’ sottotono, una parte centrale in cui la parola prende fugacemente il sopravvento e una conclusione ancora una volta affidata alla regola dei rumori di sottofondo e all’assenza quasi completa di dialoghi, è una storia disomogenea, ma accattivante e seducente, soprattutto per come mette in scena un insolito protagonista, il quale da un lato anticipa il movimento hippie con la sua refrattarietà a convenzioni sociali ormai reputate antiquate e dall’altro ricorda gli yuppies che emergeranno due decenni dopo, considerato il suo attaccamento edonistico ai cimeli, ai souvenir e a tutti gli oggetti di cui si circonda per colmare la sua vacuità esistenziale. Thomas (un impeccabile e molto azzeccato D. Hemmings, superbamente doppiato da Giancarlo Giannini) è un ragazzone solo, cullato dolcemente dalla noia, desideroso di cambiare la propria vita (ma rimanendo pur sempre vittima e prigioniero di un’epifania) e specialmente di darle un senso: e quel senso auspica di individuarlo in un’illusione che presto svanisce e fa svaporare un’evidenza che, ai primi passi, sembrava intoccabile e più vera del vero… tuttavia, il tempo di imbastire un giochetto erotico autoreferenziale con due modelle poco più che adolescenti, venute in casa sua per farsi fotografare, e di assistere ad un concerto hard rock (gli Yardbirds nel ruolo di sé stessi, che eseguono live un brano del loro repertorio; allora il genere stava emergendo), e quello che prima appariva indubitabile, adesso si è trasformato in un fatuo sogno. È anche la metafora dell’esistenza di un cittadino inglese che non sa come riempire una solitudine in cui, tutto sommato, sta bene, ma che non lo appaga nel profondo: la destrutturazione non rapidissima, ma comunque inesorabile, della sua convinzione funge pure da veicolo chiarificatore ed esplicante la sua parabola esistenziale, dominata da voglie mai soddisfatte e piaceri che non riscontra nemmeno lavorando. La sequenza conclusiva dei mimi che inscenano una partita di tennis a poca distanza dal parco dove Thomas pensava di aver scoperto la prova del reato è un modo brillantissimo e meraviglioso per chiudere questa pellicola che, parlando dell’illusione come di un motore che spinge gli esseri umani a sognare, si discosta molto dai precedenti temi della depressione (affrontata in particolar modo nel bel Il deserto rosso, 1964) e da quelli trattati nella trilogia dell’incomunicabilità, vedendo alla prova un M. Antonioni quasi rifiorito e rigenerato, che ha sia un pregio che un torto. Il primo consiste nell’aver dato una svolta decisiva al suo registro artistico, fronteggiando un aspetto nuovo che inerisce sempre al lato più oscuro e meno visibile della vita umana, e guadagnando eccellenti risultati specie quando mette in azione il suo personaggio principale, i cui comportamenti e pensieri incantano lo spettatore in modo impressionante. Il torto è quello di voler spiegare ad ogni costo quel che mostra, e qui Antonioni pecca di ricerca ostinata ma infruttuosa della profondità, troppo proteso nel tentativo, già perso in partenza, di attribuire un simbolismo e una metafora disperati alle scene che gira. È la nota stonata più marcata che il film mette in evidenza, ma è ben compensata dalla rappresentazione di una Londra giovanile e modaiola, da una colonna sonora (composta da Herbie Hancock) sobria e appena essenziale che sottolinea quasi in modo liturgico i climax più importanti e da un’organizzazione dello spazio davvero coerente e magistrale. Non un capolavoro sotto tutti i punti di vista, ma senza dubbio un’opera di ottimo artigianato nostrano, e per di più prodotta all’estero con denaro non italiano. Vincitore del Nastro d’Argento (assegnato ad Antonioni) per il miglior film straniero ed anche della Palma d’oro a Cannes.
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il befe
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domenica 1 marzo 2015
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capolavoro
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grande film di stampo italiano
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fedeleto
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martedì 11 febbraio 2014
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l'occhio tra realtà e illusione
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un giovane e famoso fotografo londinese, vive le sue giornate indifferente tra stupende ragazze e servizi fotografici che gli fruttano soldi.Ma quando si trova in un parco isolato e fotografa una coppia misteriosa, le cose cambiano.La ragazza rivuole le foto, ma il ragazzo attraverso un'ingrandimento capisce che c'e'stato un omicidio.O forse è solo la sua immaginazione?Antonioni dirige un film estremamente differente dalle sue opere precedenti.Sceneggiato da Antonioni e Guerra, e ispirato da un racconto di Cortazar, la storia è profonda e difficile, ma particolare e suggestiva.Il regista Ferrarese si dirige a Londra e trova una città diversa e misteriosa.
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un giovane e famoso fotografo londinese, vive le sue giornate indifferente tra stupende ragazze e servizi fotografici che gli fruttano soldi.Ma quando si trova in un parco isolato e fotografa una coppia misteriosa, le cose cambiano.La ragazza rivuole le foto, ma il ragazzo attraverso un'ingrandimento capisce che c'e'stato un omicidio.O forse è solo la sua immaginazione?Antonioni dirige un film estremamente differente dalle sue opere precedenti.Sceneggiato da Antonioni e Guerra, e ispirato da un racconto di Cortazar, la storia è profonda e difficile, ma particolare e suggestiva.Il regista Ferrarese si dirige a Londra e trova una città diversa e misteriosa. Il film si interroga sul concetto di realtà e irrealta'.il fotografo è un personaggio che osserva (un po come lo spettatore che carpisce le immagini che più lo colpiscono)e in tutto questo come dice lui stesso si annoia, si stufa delle ragazze continue che lo tartassano per una foto, egli vuole qualcos altro, ,e' un po voyerista, collezionista, e curioso di qualcosa che non vede ma sente.Quando ingrandisce le foto e osserva quella realtà che prima non vedeva (il presente ci sfugge) capisce come si possa comprendere qualcosa che va oltre l'attimo, blow up, appunto ingrandimento, constatqzione maggiore della realtà attraverso l'autopticita.Le foto che egli attacca diventano quasi quadri, immagini che gli suggeriscono cosa stia accadendo nel momento, infatti la soluzione è nell'immagine riguardata e non in quella fotografata nell'attimo.Londra diventa teatro del pittoresco , gruppi (yarbirds) che spaccano la chitarra e che diventano leggenda, pagliacci che scorazzano per la città mimando una partita di tennis, e qui Antonioni arriva ancora una volta alla magistralita, poiche il fotografo parteciperà a questo gioco dell'illusione raccogliendo la palla e sentendo la pallina che non esiste, un esempio di come l'illusione ormai lo abbia assorbito, e dall'ingrandimento si passa all'allontanamento che porta a far scomparire il protagonista.Ora sta allo spettatore fare l'ingrandimento e capire.La bravura di Antonioni si capisce da subito, e nonostante le perplessità di molti che temevano che un allontanamento in patria avesse provocato danni rendendo il maestro vittima di facili soluzioni delle grandi produzioni saranno felici di constatare l'abilità nuova del regista che annega nella realtà per far partorire l'irrealta. Rimane sempre il dubbio se l'omicidio sia un fatto avvenuto sul serio, ma le soluzioni sono lasciate allo spettatore.Forse è tutto illusione di un fotografo che spera di trovare qualcosa di più grande.
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eugenio
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venerdì 21 dicembre 2012
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realtà contro apparenza
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Era il 1950, Un semisconosciuto (in Italia) regista giapponese, Kurosawa vinse il leone d’oro al Festival di Venezia con la pellicola “Rashomon” dando seguito al fortunato successo delle pellicole “orientali” in Occidente. Il film che ebbe proselitismo tra numerosi registi italiani e non, era incentrato su un concetto quanto semplice ma ostico se affrontato con superficialità: la relatività della verità. In altre parole, la variabilità di punti di vista osservativi che rendono qualunque fatto variamente interpretabile a seconda del libero arbitrio di ciascuno. Un genio come Antonioni ha ripreso il leit-motiv di Rashomon, innestandolo in un contesto estremamente differente: la Londra di fine anni ’60 con le sue contestazioni, i suoi movimenti culturali libertari,la breccia del conservatorismo, il lussurioso perbenismo della mondanità.
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Era il 1950, Un semisconosciuto (in Italia) regista giapponese, Kurosawa vinse il leone d’oro al Festival di Venezia con la pellicola “Rashomon” dando seguito al fortunato successo delle pellicole “orientali” in Occidente. Il film che ebbe proselitismo tra numerosi registi italiani e non, era incentrato su un concetto quanto semplice ma ostico se affrontato con superficialità: la relatività della verità. In altre parole, la variabilità di punti di vista osservativi che rendono qualunque fatto variamente interpretabile a seconda del libero arbitrio di ciascuno. Un genio come Antonioni ha ripreso il leit-motiv di Rashomon, innestandolo in un contesto estremamente differente: la Londra di fine anni ’60 con le sue contestazioni, i suoi movimenti culturali libertari,la breccia del conservatorismo, il lussurioso perbenismo della mondanità.
In questo contesto, si inserisce la vicenda di un fotografo, Thomas, volubile quanto sfacciato “dandy” iperattivo che nell’intento di realizzare un libro fotografico sulle personalità di spicco e anche gente comune della capitale londinese, si imbatte in due (apparenti) amanti scattandone e riprendendo con spirito vouyeurista le loro azioni. La donna, in particolare, si mostra sin dall'inizio assai preoccupata e cerca di ottenere il prezioso rullino nonostante la riluttanza (e l'iniziale stupore) del fotografo. Attraverso un blow-up, un ingrandimento delle varie istantanee scattate, Thomas si rende conto di avere inconsapevolmente ripreso i segni di un delitto e spinto dalla curiosità, indagherà allo scopo di trovare una soluzione a quel giallo apparentemente privo di significato.
La realtà impressionista della macchina fotografica, strumento oggettivo per definizione, si rivela imprecisa, oscurata e incomprensibile, come l'animo del protagonista sempre più immerso in una storia torbida dai risvolti oscuri e enigmatici. La dimensione sicura e razionale di uno scatto, limpida e cristallina, è distorta da Antonioni attraverso l'utilizzo di una fotografia sfumata e dau contorni difficilmente riconoscibili. Hemmings, l'attore che impersona Thomas, è paradigma di questo malessere: come una bandiera al vento, si muove senza scopo intrattenendo relazioni sessuali (oltre alle modelle che bussano alla sua porta) con la donna ripresa al parco che rintraccerà il suo studio con facilità in un ambiguo gioco del gatto col topo,in una partita a scacchi nel quale la scelta più logica,la polizia informata dei fatti, non è mai citata,quasi come se la lotta fosse personale, una dimostrazione di sfida ed egotismo contro un misterioso avversario che è l'illusione, l'illogicità. Thomas abituato a riprendere volti, sentimenti,sguardi lotta contro "i mulini a vento" della realtà quotidiana;l i suoi movimenti incantano e affascinano lo spettatore quasi rapito dal sogno e dalla profondità dello stile registico di Antonioni, ancora una volta eccellente nella trattazione di tematiche esistenziali che vedono poli opposti eternamente in lotta: visibile contro innato, apparenza contro realtà, viaggio e staticità,libertà contro necessità.
Dal racconto "La bava del diavolo" del belga/argentino Cortazar, Antonioni gira il suo primo film "in terra straniera" per molti considerato manifesto psichedelico degli anni '60 ,un film ambiguo, privo di una linearità temporale e dalla profondità quasi surreale che ricorda le opere dell'argentino Borges. La lucidità di Thomas vacilla dinanzi al labile confine tra i due mondi, alla sua incapacità di vedere un mondo parallelo dove i punti saldi si limitano alla sfera fallace della sensorialità; l'unica saggia alternativa è quindi arrendersi o meglio accettare passivamente quello che siamo limitati a vedere. Il mimo, la partita a tennis, il finale con un lungo piano sequenza senza suoni di dieci minuti è una splendida amara riflessione sul potere dell’immagine, dell’apparenza e della quotidiana monotonia sensoriale cui tutti noi siamo soggetti.
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carlofei
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lunedì 16 luglio 2012
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l'apparenza inganna.
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Film capolavoro.
L'apparenza inganna. Prima di giudicare entriamo nello specchio delle mie, tue, nostre brame. Attraversiamo e giudichiamo noi stessi. La realtà come le strade per le stelle stanno in quali canocchiali usiamo per scrutarle e non esitiamo a prendere su di noi le nostre responsabilità. Memorabile la sequenza nel parco con sottofondo musicale del vento tra gli alberi.
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