Blow-up

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Realtà contro apparenza Valutazione 4 stelle su cinque

di Eugenio


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venerdì 21 dicembre 2012

Era il 1950, Un semisconosciuto (in Italia) regista giapponese, Kurosawa vinse il leone d’oro al Festival di Venezia con la pellicola “Rashomon” dando seguito al fortunato successo delle pellicole “orientali” in Occidente. Il film che ebbe proselitismo tra numerosi registi italiani e non, era incentrato su un concetto quanto semplice ma ostico se affrontato con superficialità: la relatività della verità. In altre parole, la variabilità di punti di vista osservativi che rendono qualunque fatto variamente interpretabile a seconda del libero arbitrio di ciascuno. Un genio come Antonioni ha ripreso il leit-motiv di Rashomon, innestandolo in un contesto estremamente differente: la Londra di fine anni ’60 con le sue contestazioni, i suoi movimenti culturali libertari,la breccia del conservatorismo, il lussurioso perbenismo della mondanità.
In questo contesto, si inserisce la vicenda di un fotografo, Thomas, volubile quanto sfacciato “dandy” iperattivo che nell’intento di realizzare un libro fotografico sulle personalità di spicco e anche gente comune della capitale londinese, si  imbatte in due (apparenti) amanti scattandone e riprendendo con spirito vouyeurista le loro azioni. La donna, in particolare, si mostra sin dall'inizio assai preoccupata e cerca di ottenere il prezioso rullino nonostante la riluttanza (e l'iniziale stupore) del fotografo.  Attraverso un blow-up, un ingrandimento delle varie istantanee scattate, Thomas si rende conto di avere inconsapevolmente ripreso i segni di un delitto e spinto dalla curiosità, indagherà allo scopo di trovare una soluzione a quel giallo apparentemente privo di significato.
La realtà impressionista della macchina fotografica, strumento oggettivo per definizione, si rivela imprecisa, oscurata e incomprensibile, come l'animo del protagonista sempre più immerso in una storia torbida dai risvolti oscuri e enigmatici. La dimensione sicura e razionale di uno scatto, limpida  e cristallina, è distorta da Antonioni attraverso l'utilizzo di una fotografia sfumata e dau contorni difficilmente riconoscibili. Hemmings, l'attore che impersona Thomas, è paradigma di questo malessere: come una bandiera al vento, si muove senza scopo intrattenendo relazioni sessuali (oltre alle modelle che bussano alla sua porta) con la donna ripresa al parco  che rintraccerà il suo studio con facilità in un ambiguo gioco del gatto col topo,in una partita a scacchi nel quale la scelta più logica,la polizia informata dei fatti, non è mai citata,quasi come se la lotta fosse personale, una dimostrazione di sfida ed egotismo contro un misterioso avversario che è l'illusione, l'illogicità. Thomas abituato a riprendere volti, sentimenti,sguardi  lotta contro "i mulini a vento" della realtà quotidiana;l i suoi movimenti incantano e affascinano lo spettatore quasi rapito dal sogno e dalla profondità dello stile registico di Antonioni, ancora una volta eccellente nella trattazione di tematiche esistenziali che vedono poli opposti eternamente in lotta: visibile contro innato, apparenza contro realtà, viaggio e staticità,libertà contro necessità.
Dal racconto "La bava del diavolo" del belga/argentino Cortazar, Antonioni  gira il suo primo film "in terra straniera" per molti considerato manifesto psichedelico degli anni '60 ,un film ambiguo, privo di una linearità temporale e dalla profondità quasi surreale che ricorda le opere dell'argentino Borges.  La lucidità di Thomas vacilla dinanzi al labile confine tra i due mondi, alla sua incapacità di vedere un mondo parallelo dove i punti saldi si limitano alla sfera fallace della sensorialità; l'unica saggia alternativa è quindi arrendersi o meglio accettare passivamente quello che siamo limitati a vedere. Il mimo, la partita a tennis, il finale con un lungo piano sequenza senza suoni di dieci minuti è una splendida amara riflessione sul potere dell’immagine, dell’apparenza e della quotidiana monotonia sensoriale cui tutti noi siamo soggetti.

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