Visto il planetario, eccezionale successo del primo “Avatar” nel 2009, il regista James Cameron decise di realizzare una trilogia che avrebbe allargato l’universo narrativo di Pandora. Sempre rimandata. Ora, dopo 13 anni e ben otto rinvii, il tanto atteso sequel è arrivato: “Avatar – La via dell’acqua”, ambientato 15 anni dopo le vicende della prima pellicola e concentrato sull'oceano di Pandora e una parte della foresta pluviale, nonché sulla storia generazionale della famiglia di Jake Sully e della sua compagna Neytiri.
Nel 2012 Cameron iniziò a progettare il sequel autonomamente, pensandolo tutto sott’acqua.
Solo l’anno dopo coinvolse il team di sceneggiatori che ha delineato contemporaneamente quattro storie che continueranno a parlare del rapporto dell’Uomo con la Natura. Per scrivere tutte le singole sceneggiature sono stati impiegati complessivamente quattro anni.
Costato oltre 350 milioni di dollari (il primo “solo” 237 milioni di dollari), e girato contemporaneamente al terzo episodio della serie tra gli Stati Uniti e la Nuova Zelanda, per rientrare nei costi, il secondo capitolo, dovrà incassare almeno 2 miliardi di dollari (da qui la non sicurezza di completare e far uscire nei cinema i capitoli 4 e 5). In questo godibile e piacevole sequel in live action, la trama ci fa ritrovare i due protagonisti Jake Sully e Neytiri ancora insieme e con figli al seguito, pronti ad esplorare lo sconfinato mondo di Pandora e ad affrontare nuovi conflitti con l'umanità. La trama, però, è l’ultima delle cose che interessano a Cameron. La sceneggiatura, scritta dal regista insieme a Rick Raffa e Amanda Silver, infatti è minimale, semplice, lineare, ma anche più strutturata e stratificata rispetto alla precedente, e punta tutto sulla grandiosità e magniloquenza visiva della messinscena e dell’esperienza da kolossal visionario nel suo insieme. Tutto è cosìcredibile che l’immersione dello spettatore è naturale e molto affascinante.
Ogni singolo dettaglio è dovuto essere stupefacente al solo fine di catturare la curiosità, l’attenzione ma anche quella sensazione di magia avvertita dallo spettatore e dovuta al fascino tutto cinematografico di (farci) meravigliare davanti a ciò che ci viene proiettato sul grande schermo.
Nel seguire le varie vicende, i vecchi e i nuovi personaggi, lo spettatore si sposta verso scenografie ancora inesplorate dell’oceano del pianeta Pandora. Partecipa emotivamente molto di più del primo capitolo a moti e stati d’animo, a disavventure, viaggi, sentimenti e passioni di ogni personaggio e dell’intera vicenda narrata. Si addentra in location mozzafiato e incantevoli, ne subisce l’attraente e magnetico splendore; respira le atmosfere ora epiche, ora intimistiche, ora sospese, ora tensive, tra dramma e pathos sempre forti ed intensi.
La nuova tecnologia di Cameron, attraverso la quale il regista torna a ragionare su temi ecologisti, è inappuntabile e ineguagliabile: alterna i momenti girati a 24fps (principalmente i dialoghi) a quelli in 48fps e cioè le scene d'azione e quelle sott'acqua. La sua scelta di regia è tutta a favore della spettacolarità pura, della sorpresa affascinante, di tutto quello che può oltrepassare i limiti della realtà.
L’opera si concede autentiche pause di grandiosità visiva – la scoperta dei giganteschi cetacei Tulkun, la catastrofe finale, le lunghe sequenze sottomarine – catturando lo spettatore con lunghe scene che aggiungono poco al plot in sé e per sé, ma molto al gusto dello spettacolo visionario e fantasioso.
Dalla sequenze d’azione coreografate in modo pulito e girate con perizia, alla fotografia di Russell Carpenter, all’avvolgente lavoro sul sonoro, Cameron ancora una volta si affida al potere delle immagini, ma per fortuna non si dimentica del fattore umano e spirituale. Il fulcro di tutto continua ad essere l’essenza dell’umano, qui simboleggiata dalla famiglia, dallo restare insieme, malgrado problemi e pericoli. Nel solco tracciato dai rapporti umani (soprattutto se a contatto con la Natura) emerge anche l’impellente accettazione che qualcosa debba finire o cambiare se si vuol far nascere qualcos’altro di migliore o di più vitale. La famiglia Sully passa dall’aria all’acqua al solo fine di sopravvivere, e, per adattarsi a nuove abitabilità, impara anche a cavalcare creature marine, a respirare sott’acqua, a fondersi in ciò che è liquido e mutevole. L’allegoria ecologista e ambientalista assume nuove e più struggenti sfumature tematiche. Il regista rielabora e aggiorna i grandi temi del capitolo precedente sulla base dei mutamenti della società attuale, per trattare nuovamente di connessioni tra esseri viventi (dove la collettività deve prevalere sull’ego), ma anche di valori universali sempre validi e nobili, quali la famiglia (in questo caso allargata), l'amore, la convivenza con la Natura e la curiosità per tutto ciò che è altro da noi.
Il futuro sarà di chi saprà guardare il mondo con occhi nuovi. I valori che tanto dovrebbero contare oggi non devono essere quelli dell’arroganza e della violenza, ma piuttosto quelli del rispetto, dell’inclusione, dell'apertura al diverso – che sia un membro adottato della famiglia, una cultura che non conosciamo, un modo differente di percepire la spiritualità...
Perché questa è l’unica via per la salvezza del genere umano. Questo è “Avatar - La via dell'acqua”, la via del grande cinema…
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67user
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lunedì 17 aprile 2023
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bello ma ora basta.
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Il sequel, scontato che ci sarebbe stato, visto il finale del primo capitolo, è ben realizzato, in particolare sul fronte della scenografia che, anche nel contesto marino, è veramente di grande impatto e affascinante; la trama mi è piaciuta anche se, a mio parere, come già nel primo capitolo, tre ore di film sono troppe: bisogna vederlo almeno in due volte (metà e metà), altrimenti diventa troppo pesante; non condivido invece l''idea di realizzare un ulteriore seguito (cosa che un dettaglio nelle scene finali di questo secondo capitolo fa capire che sicuramente ci sarà), in quanto ormai di Pandora e del suo popolo è stato raccontato tutto e più ed è giusto che la storia finisca così: un terzo "Avatar" sarebbe una forzatura, come lo fu a suo tempo il terzo (deludente) capitolo di "Terminator", che con il finale del 2 aveva sancito la conclusione di tutta la storia.
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Il sequel, scontato che ci sarebbe stato, visto il finale del primo capitolo, è ben realizzato, in particolare sul fronte della scenografia che, anche nel contesto marino, è veramente di grande impatto e affascinante; la trama mi è piaciuta anche se, a mio parere, come già nel primo capitolo, tre ore di film sono troppe: bisogna vederlo almeno in due volte (metà e metà), altrimenti diventa troppo pesante; non condivido invece l''idea di realizzare un ulteriore seguito (cosa che un dettaglio nelle scene finali di questo secondo capitolo fa capire che sicuramente ci sarà), in quanto ormai di Pandora e del suo popolo è stato raccontato tutto e più ed è giusto che la storia finisca così: un terzo "Avatar" sarebbe una forzatura, come lo fu a suo tempo il terzo (deludente) capitolo di "Terminator", che con il finale del 2 aveva sancito la conclusione di tutta la storia. Purtroppo, la tendenza a fare sempre più spesso delle saghe interminabili dei film di successo, è radicata e denota come (purtroppo) le idee per nuove storie siano sempre più rare e quindi si cerca di spremere fino all''ultima goccia quelle che si hanno a disposizione.
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