zarar
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venerdì 29 dicembre 2017
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parole come pietre
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Libano, oggi. Cristiani maroniti, musulmani, profughi palestinesi convivono in un clima di tensione estrema in un contesto politico precario e agitato. Alle spalle una lunga storia di conflitti sanguinosi, a partire dalla guerra civile che dal 1975 al ’78 e poi dal 1982 al 1990 devastò il paese, coinvolto direttamente nel conflitto tra i palestinesi dell’OLP e lo Stato di Israele. Dai pesanti strascichi di questa guerra nacque poi l’occupazione siriana alla fine degli anni ottanta, il conflitto tra sunniti e sciiti e ancora la guerra del 2006 con Israele… Un paese senza pace da quarant’anni. Il film mette di fronte Tony, un meccanico cristiano maronita e Yasser, un ingegnere palestinese, quest’ultimo costretto come profugo a guadagnarsi da vivere come semplice capocantiere.
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Libano, oggi. Cristiani maroniti, musulmani, profughi palestinesi convivono in un clima di tensione estrema in un contesto politico precario e agitato. Alle spalle una lunga storia di conflitti sanguinosi, a partire dalla guerra civile che dal 1975 al ’78 e poi dal 1982 al 1990 devastò il paese, coinvolto direttamente nel conflitto tra i palestinesi dell’OLP e lo Stato di Israele. Dai pesanti strascichi di questa guerra nacque poi l’occupazione siriana alla fine degli anni ottanta, il conflitto tra sunniti e sciiti e ancora la guerra del 2006 con Israele… Un paese senza pace da quarant’anni. Il film mette di fronte Tony, un meccanico cristiano maronita e Yasser, un ingegnere palestinese, quest’ultimo costretto come profugo a guadagnarsi da vivere come semplice capocantiere. Per un’inezia, scoppia un diverbio tra i due e Yasser si lascia sfuggire un insulto diretto a Tony (che è chiaramente nel torto). Il film è la storia di come questo banale scontro tra due uomini che sono in fondo brave persone si gonfi a dismisura sotto la pressione di drammatiche storie personali e di un ambiente in cui tutto è pretesto per rinfocolare diffidenze, odi, strumentalizzazioni politiche e tutti hanno torto e tutti hanno ragione, perché non c’è ‘partito’ che non abbia inferto ad altri e patito violenza a sua volta. Richieste di scuse, rifiuto di darle, nuove provocazioni verbali (parole come pietre…), scazzottate, processi, confronti tra avvocati, magistrati e politici, brutale messa in causa dei drammi privati dei contendenti, autorevoli quanto vani tentativi di far loro “voltare pagina” si succedono in un crescendo che ad un certo punto straripa, passando completamente sopra la testa dei due protagonisti. La parte più interessante di questa storia abilmente sceneggiata è che in questo percorso, che potrebbe definitivamente distruggere i due contendenti, Yasser e Tony ad un certo punto si staccano psicologicamente dalla loro contesa, cominciano a vederla dal di fuori, non si fanno travolgere, ma la usano ciascuno per un processo di autocoscienza, e – pur mantenendo esteriormente le rispettive posizioni - arrivano in un loro modo privato e nascosto a liberarsi dei loro fantasmi, a capirsi e a pareggiare i conti tra di loro, quasi senza parole questa volta, da uomo a uomo. Dunque c’è una speranza, se puoi arrivare a riconoscere l’uomo nel tuo avversario. Questo approccio dà al film un tono particolare. Catturati dal confronto tra due attori di ottimo livello, Adel Karam e Kamel El-Basha, rispettivamente Tony e Yasser in lotta tra loro e con se stessi, passiamo sopra un certo schematismo a tesi nella rappresentazione dell’ambiente politico-sociale, una visione non del tutto credibile del contesto giudiziario, un procedere un po’ troppo a scatti della macchina da presa. Tre stelle e mezzo.
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michelecamero
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mercoledì 13 dicembre 2017
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film bellissimo. da oscar
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Film libanese bellissimo che ritengo andrà ad Oscar per il miglior film straniero, che pone all’attenzione la doppia tragedia dei palestinesi profughi in terra straniera ove non sono voluti e di quei popoli che, ospitandoli contro voglia, hanno visto mutare in peggio le proprie condizioni di vita, avendo importato insieme ai profughi, la guerra e le sue drammatiche vicende. La storia ci racconta come certe fratture dell’animo umano sono difficili a rimarginarsi, alimentandosi di continuo con il rancore, l’insofferenza verso il nemico o comunque considerato tale, fino al punto, dinanzi alla incapacità di una presa di coscienza collettiva che consenta finalmente di fare i conti con la storia, di cercare attraverso un pretesto futile e banale, una vendetta personale, individuale ad una tragedia collettiva e familiare mai rimossa.
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Film libanese bellissimo che ritengo andrà ad Oscar per il miglior film straniero, che pone all’attenzione la doppia tragedia dei palestinesi profughi in terra straniera ove non sono voluti e di quei popoli che, ospitandoli contro voglia, hanno visto mutare in peggio le proprie condizioni di vita, avendo importato insieme ai profughi, la guerra e le sue drammatiche vicende. La storia ci racconta come certe fratture dell’animo umano sono difficili a rimarginarsi, alimentandosi di continuo con il rancore, l’insofferenza verso il nemico o comunque considerato tale, fino al punto, dinanzi alla incapacità di una presa di coscienza collettiva che consenta finalmente di fare i conti con la storia, di cercare attraverso un pretesto futile e banale, una vendetta personale, individuale ad una tragedia collettiva e familiare mai rimossa. Una tragedia che è rimasta negli occhi, nella mente, ma soprattutto che ha inciso in quello che si è diventati, coltivando l’odio, rinfocolato di continuo dalla propaganda dei cattivi maestri, che rende ciechi al punto da non rendersi conto che per una presunta questione di principio, si finisce col mettere a rischio se stessi, la propria famiglia, il proprio lavoro. E che la questione da individuale, finisca col coinvolgere tutto un popolo, andando a cadere su fasci di nervi scoperti da anni di difficile e non voluta convivenza, lo dimostra la partecipazione massiccia che ben presto verrà assegnata, da entrambe le fazioni e dai media, alle fasi del processo che diverrà mediatico e spettacolare con colpi di scena ripetuti perché, grazie al diverso, ma anche simile, atteggiamento dei due avvocati, padre e figlia, coinvolgerà un popolo, un Paese continuamente esposto a vedersi sfuggire quel precario equilibrio sociale che fa il miracolo di continuare ancora a tenerlo insieme. Da vedere assolutamente. Il film era stato presentato a Venezia dove però non ha ottenuto quanto meritasse. In questo Cannes, dove non vince mai un film banale, è diversa.
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mauro2067
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lunedì 18 dicembre 2017
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guardare oltre
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La storia di una banale lite che inizia da un tubo, passa attraverso qualche parola di troppo, sfocia in un'aggressione fisica e finisce, inevitabilmente, in tribunale. Ne succedono a milioni ogni giorno in ogni angolo del mondo, sfamano gli avvocati. Ma nel film i due contendenti sono uno palestinese rifugiato e l'altro libanese cattolico e siamo a Beirut. E così la lite viene cavalcata dai media, dalla gente che vive in città, dagli stessi avvocati che vorrebbero trasformare i due protagonisti nell'emblema dei rispettivi popoli.
Solo i due uomini non vogliono questo, non ci si riconoscono ed anzi, durante il processo, si scoprono più simili di quanto credessero arrivando anche a rispettarsi.
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La storia di una banale lite che inizia da un tubo, passa attraverso qualche parola di troppo, sfocia in un'aggressione fisica e finisce, inevitabilmente, in tribunale. Ne succedono a milioni ogni giorno in ogni angolo del mondo, sfamano gli avvocati. Ma nel film i due contendenti sono uno palestinese rifugiato e l'altro libanese cattolico e siamo a Beirut. E così la lite viene cavalcata dai media, dalla gente che vive in città, dagli stessi avvocati che vorrebbero trasformare i due protagonisti nell'emblema dei rispettivi popoli.
Solo i due uomini non vogliono questo, non ci si riconoscono ed anzi, durante il processo, si scoprono più simili di quanto credessero arrivando anche a rispettarsi.
Sarà questo rispetto a portarli alla soluzione della controversia, una soluzione personale, privata, da uomini, lontana da telecamere, microfoni e tribunali.
Due uomini che alla fine riescono ad andare oltre la razza, la religione e la politica, concenzioni e convinzioni queste che spesso, molto spesso, appannano il nostro metro di giudizio.
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blufont
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giovedì 28 dicembre 2017
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così diversi... così uguali.
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Due uomini, due religioni, due culture, due generazioni, due caratteri, che si tollerano finché un banale episodio non accende la miccia dell'odio. Odio che, si capirà, non ha nulla di personale e trascende perfino l'orgoglio, ma affonda le radici in un passato di soprusi e dolore, di esilio e di violenze in cui è difficile capire chi sia la vittima e chi il carnefice. Nell'opporsi, in modo involontariamente sempre più mediatico e pubblico, in un processo che esce dal tribunale per coinvolgere gruppi di estremisti per le strade e perfino il presidente, i due contendenti si scoprono in fondo aver vissuto esperienze simili, avere le stesse reazioni, la stessa emotività, le stesse ferite, la stessa umanità.
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Due uomini, due religioni, due culture, due generazioni, due caratteri, che si tollerano finché un banale episodio non accende la miccia dell'odio. Odio che, si capirà, non ha nulla di personale e trascende perfino l'orgoglio, ma affonda le radici in un passato di soprusi e dolore, di esilio e di violenze in cui è difficile capire chi sia la vittima e chi il carnefice. Nell'opporsi, in modo involontariamente sempre più mediatico e pubblico, in un processo che esce dal tribunale per coinvolgere gruppi di estremisti per le strade e perfino il presidente, i due contendenti si scoprono in fondo aver vissuto esperienze simili, avere le stesse reazioni, la stessa emotività, le stesse ferite, la stessa umanità. La grandezza del film risiede proprio nel mantenere l'equilibrio (fino all'ultimo lo spettatore avrà difficoltà nel decidere da che parte stare) e nel non cadere in facili buonismi o retoriche, grazie ad una sceneggiatura grandiosa e ad un ritmo ascendente (tranne un pericoloso rallentamento verso i 2/3 che viene però presto superato dalla storia), che racconta l'escalation dei fatti, fuori dal controllo degli stessi protagonisti, senza perdere mai il realismo nei fatti e nelle emozioni. Che in Libano sia già campione di incassi è un'ottima notizia, chissà segno della volontà di tanti di superare differenze che poi, di fondo, si rivelano essere in gran parte retaggio di un passato travagliato.
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peergynt
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giovedì 31 agosto 2017
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l'inarrestabile progressione dell'odio
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Un film, ben scritto e ben girato, che ci mostra quanto sia potente l'odio che divide quasi sempre gli esseri umani, soprattutto quando alle loro spalle ci sono sofferenza e umiliazioni. A Beirut un capomastro palestinese si vede piovere acqua in testa da una grondaia che scarica direttamente in strada. La grondaia appartiene ad un libanese cristiano che non ne vuole sapere di aggiustare il tubo, pur sapendo che non è a norma. Fra i due si parte con un insulto, si prosegue con un alterco e si finisce in tribunale. In una progressione ottimamente resa dalla convincente sceneggiatura e dal ritmo del film, teso come una corda di violino, l'odio si fa sempre più inarrestabile fino a coinvolgere anche gli avvocati e il pubblico che assiste al processo.
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Un film, ben scritto e ben girato, che ci mostra quanto sia potente l'odio che divide quasi sempre gli esseri umani, soprattutto quando alle loro spalle ci sono sofferenza e umiliazioni. A Beirut un capomastro palestinese si vede piovere acqua in testa da una grondaia che scarica direttamente in strada. La grondaia appartiene ad un libanese cristiano che non ne vuole sapere di aggiustare il tubo, pur sapendo che non è a norma. Fra i due si parte con un insulto, si prosegue con un alterco e si finisce in tribunale. In una progressione ottimamente resa dalla convincente sceneggiatura e dal ritmo del film, teso come una corda di violino, l'odio si fa sempre più inarrestabile fino a coinvolgere anche gli avvocati e il pubblico che assiste al processo. Per larga parte è un film processuale che è capace di essere nel contempo avvincente e istruttivo, e che riesce a far riflettere tutti su una grande verità che nessuno deve dimenticare: in un mondo dove gli uomini giocano ad odiarsi, nessuno può pretendere di avere l'esclusiva della sofferenza. Pertanto tutti devono fare uno sforzo di conciliazione: ma nel film solo le donne provano a risolvere i conflitti con la pace. Gli uomini puntano alla guerra: in ogni occasione.
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luciano
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mercoledì 20 settembre 2017
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un antico dolore
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Coraggioso film dove si fronteggiano due anime, due fedi, due facce diverse della stessa pietà. Un cristiano libanese ed un profugo palestinese partono per una guerra personalissima disseppellendo antichi rancori. Ma lentamente perdono il controllo della situazione e la storia mette in puazza la loro intimità senza preoccuparsi delle conseguenze, confondendo ciò che è privato con una morale politica e quindi pubblica allargata. Le due anime, scartavetrate dalla sofferenza e rese cieche dal dolore, si muovono come automi.La parola sconsiderata e violenta arma la mano e insieme corrono più veloci della buona volontà: non reagire alla provocazione che infanga, ferisce e sfrega ciò che hanno di più caro, il senso di appartenenza alla coscienza di un popolo.
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Coraggioso film dove si fronteggiano due anime, due fedi, due facce diverse della stessa pietà. Un cristiano libanese ed un profugo palestinese partono per una guerra personalissima disseppellendo antichi rancori. Ma lentamente perdono il controllo della situazione e la storia mette in puazza la loro intimità senza preoccuparsi delle conseguenze, confondendo ciò che è privato con una morale politica e quindi pubblica allargata. Le due anime, scartavetrate dalla sofferenza e rese cieche dal dolore, si muovono come automi.La parola sconsiderata e violenta arma la mano e insieme corrono più veloci della buona volontà: non reagire alla provocazione che infanga, ferisce e sfrega ciò che hanno di più caro, il senso di appartenenza alla coscienza di un popolo. Ma questa coscienza ha un suo lato oscuro che si pensava sepolto e dimenticato: un odio che ha radici profonde e fa riaprire vecchie cicatrici. Le emozioni restano bloccate contro le pareti di un'anima nuda di sentimenti. Più freddo appare il vuoto che ospita i cattivi pensieri che si affollano nelle notti del cuore. Vaga l'animo dell'uomo del presente, che fa esperienza di momenti dell'uomo del passato, alla ricerca di una rivelazione che possa portare ad una frontiera senza barriere. Ma non bastano le preghiere delle buone intenzioni per salvarsi da un ritorno alla discesa verso l'inferno. Occorre prendere, con fatica, coscienza del lato oscuro dell'anima che alloggia dentro ciascuno di noi e impedirci di cedere alla tentazione di chi ormai ha visto e sofferto troppo. Questo cammino, fatto dal di dentro, fa emergere, finalmente, una coscienza dolorante che si ritrova tra le dita, al posto di una spada levata e pronta a colpire, una colomba levata.
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maurizio.meres
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sabato 9 dicembre 2017
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una storia senza fine
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Sublime film,attraverso una normalissima discussione tra due persone per motivi futili ,come capita in tutte le città del mondo,diventa un conflitto esistenziale dettato da un odio generazionale,dove la dignità umana viene offesa da entrambi le parti,in una conflittualità che non conosce fine,siamo in Libano e più precisamente a Beirut.
Nel film vengono citate e contrapposte tutte e tre le religioni monoteiste,una guerra eterna dove l'occidentalismo si pone come primo spettatore,lasciando solo quella parte di medio oriente diventato ormai povero e senza una precisa identità,manovrando politicamente attraverso un conflitto religioso solo ciò che gli interessi possono produrre.
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Sublime film,attraverso una normalissima discussione tra due persone per motivi futili ,come capita in tutte le città del mondo,diventa un conflitto esistenziale dettato da un odio generazionale,dove la dignità umana viene offesa da entrambi le parti,in una conflittualità che non conosce fine,siamo in Libano e più precisamente a Beirut.
Nel film vengono citate e contrapposte tutte e tre le religioni monoteiste,una guerra eterna dove l'occidentalismo si pone come primo spettatore,lasciando solo quella parte di medio oriente diventato ormai povero e senza una precisa identità,manovrando politicamente attraverso un conflitto religioso solo ciò che gli interessi possono produrre.
Il processo penale nel film diventa didatticamente parlando una esposizione sintetica ma efficace della nostra storia moderna che ancora stiamo vivendo, nessuno esce vincitore ma soltanto una non colpevolezza che il regista la rimarca in entrambi le parti con uno sguardo reciproco di alleanza e di benevolenza,e la reciproca soddisfazione dell'esito processuale,perché la ragionevolezza dell'essere umano può e deve essere superiore all'ottusità di una guerra religiosa ormai inutile e senza una logica soluzione.
Bellissimo il confronto dei due avvocati,padre e figlia che attraverso una disputa generazionale dove un tradizionalismo radicato che non vuole uscire da un torpore storico ormai senza via d'uscita,si contrappone un moderno stile di giustizia che mette a nudo tutte le incomprensioni per dare vita ad una politica moderna,senza dimenticare la storia,ma giudicandola con il giusto valore in entrambe le fazioni.
Strutturalmente un film perfetto,in un ambientazione vera con i protagonisti che recitano le loro parti con il giusto sentimento,e con uno stato d'animo realistico,dialogato così come le situazioni lo richiedono,cambi scena efficaci che danno completezza al film con le pause che valgono più delle parole.
Ritengo questo film un documento per le future generazioni che vorranno comprendere e valutare tutte le incomprensioni che questo periodo storico dove nessuno forse conosce l'inizio e nessuno vedrà mai la fine.
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eccome!
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giovedì 7 dicembre 2017
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realistico: conflittualità, così potente in noi
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Realistica la testardaggine delle opposte parti in conflitto.
Realistico e molto progressivo il crescendo delle tensioni.
Realistico lo spiazzamento e la distanza tra il sentire delle persone e i meccanismi, completamente diversi, della giustizia legale.
Realistici i dubbi e i ripensamenti delle persone strada facendo.
Realistico il pretesto del litigio.
Realistici i momenti di contatto e dialogo tra i litiganti.
Realistici i dialoghi, i comportamenti dei personaggi.
Più che buona la recitazione.
Toccante in più momenti.
Lo consiglio a tutti, provando ad immaginarsi realmente nei panni di uno dei due e cercando di capire, perché quello è reso davvero bene, quanto "automatico e autonomo", rispetto alla volontà delle parti, diventi il procedimento legale, che sfugge completamente al loro controllo, come tutto il resto.
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Realistica la testardaggine delle opposte parti in conflitto.
Realistico e molto progressivo il crescendo delle tensioni.
Realistico lo spiazzamento e la distanza tra il sentire delle persone e i meccanismi, completamente diversi, della giustizia legale.
Realistici i dubbi e i ripensamenti delle persone strada facendo.
Realistico il pretesto del litigio.
Realistici i momenti di contatto e dialogo tra i litiganti.
Realistici i dialoghi, i comportamenti dei personaggi.
Più che buona la recitazione.
Toccante in più momenti.
Lo consiglio a tutti, provando ad immaginarsi realmente nei panni di uno dei due e cercando di capire, perché quello è reso davvero bene, quanto "automatico e autonomo", rispetto alla volontà delle parti, diventi il procedimento legale, che sfugge completamente al loro controllo, come tutto il resto.
Bello, una riflessione sulle dinamiche della conflittualità, così potenti in noi.
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(di michelino)
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tonimais
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martedì 9 gennaio 2018
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diciotto confessioni...per nulla
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Si è più volte detto che un 'arma è di per sè neutra , è l'uso che se ne fa a renderla uno strumento d'offesa o di difesa. Sta di fatto che se ne circolassero meno non avremmo così tanti ammazzati o feriti da arma da fuoco. La religione nasce per sua natura per tentare d'offrire un senso ai problemi dell'esistenza e un sostegno psicologico in momenti gravi e delicati della vita ma è sempre in nome di Dio si commettono le più assurde atrocità: in Libano albergano diciotto confessioni dagli islamici sunniti o sciiti ai cristiani maroniti ai drusi etc etc. E' l'unico paese ,non interamente islamico, dove le campane delle chiese cristiane si confondono con i versi del muezzin.
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Si è più volte detto che un 'arma è di per sè neutra , è l'uso che se ne fa a renderla uno strumento d'offesa o di difesa. Sta di fatto che se ne circolassero meno non avremmo così tanti ammazzati o feriti da arma da fuoco. La religione nasce per sua natura per tentare d'offrire un senso ai problemi dell'esistenza e un sostegno psicologico in momenti gravi e delicati della vita ma è sempre in nome di Dio si commettono le più assurde atrocità: in Libano albergano diciotto confessioni dagli islamici sunniti o sciiti ai cristiani maroniti ai drusi etc etc. E' l'unico paese ,non interamente islamico, dove le campane delle chiese cristiane si confondono con i versi del muezzin. Ma anche in questo caso la religione non assolve pienamente al suo compito e, vien da dire , che se vi fossero credenti più tiepidi i si vivrebbe meglio : nessuno approfondisce la propria fede e tutti trovano giustificazione del loro credo nel contrastare quello altrui . Ma la soluzione al problema è dietro l'angolo e neppure a farlo apposta prevale su tutto. La natura umana ,la più limpida ,la meno traviata da tante erronee convinzioni prevale : l'uomo è fratello dell'uomo , ha lo stesso sentire, ha lo stesso destino , la stessa storia, la stessa pelle e se ne accorge proprio nel momento in cui tutti sostengo il contrario : giudici, avvocati, politici,pubblico... Il muro cade e ciascuno dei due contendenti riacquista la propria vita .
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vanessa zarastro
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martedì 24 luglio 2018
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eterno conflitto
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Beirut è una città colta e cosmopolita che mi ha sempre affascinato. Negli anni ho avuto modo di conoscere, in diverse parti del mondo, vari libanesi che più volte danneggiati e bombardati, hanno sempre avuto la forza di reagire, di ricominciare da capo con forza e determinazione. Dicevano che il Libano era considerato un po’ come la “Svizzera del Medio Oriente”. ”L’insulto“ mostra la città di Beirut che sta tentando di rinascere dopo anni e anni di complicate guerre civili (1975/90) che hanno lasciato 150.000 morti e la distruzione della capitale, teatro dei vari conflitti. Ciononostante nelle periferie multietniche non si vive bene, ancora oggi le fazioni religiose e politiche sembrano vivere sui carboni ardenti.
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Beirut è una città colta e cosmopolita che mi ha sempre affascinato. Negli anni ho avuto modo di conoscere, in diverse parti del mondo, vari libanesi che più volte danneggiati e bombardati, hanno sempre avuto la forza di reagire, di ricominciare da capo con forza e determinazione. Dicevano che il Libano era considerato un po’ come la “Svizzera del Medio Oriente”. ”L’insulto“ mostra la città di Beirut che sta tentando di rinascere dopo anni e anni di complicate guerre civili (1975/90) che hanno lasciato 150.000 morti e la distruzione della capitale, teatro dei vari conflitti. Ciononostante nelle periferie multietniche non si vive bene, ancora oggi le fazioni religiose e politiche sembrano vivere sui carboni ardenti. Molti partiti populisti fomentano le differenze e le diseguaglianze (come ovunque nel resto del mondo, purtroppo). Nell’ottobre del 2016 è eletto il Presidente maronita Michel Aoun e il film inizia con la partecipazione di Toni Hanna (il bravissimo Adel Karam), un libanese cristiano, a una manifestazione del Partito di Bashir Gemayel, il leader politico assassinato nel 1982, esponente di una dinastia politica ancora attuale ma separata in diverse fazioni al suo interno. Una sciocca questione di un tubo di scarico fuori norma, fomenterà una diatriba tra Toni e Yasser Abdallah Salameh (l’attore di teatro Kamel El Basha), un ingegnere palestinese che lavora come capocantiere in una ditta di costruzioni. L’escalation del conflitto passa da violenza verbale a violenza fisica, coinvolgendo man mano sempre più persone e diventando un simbolo del razzismo e di regolamento di conti tra culture e religioni, infine un caso nazionale.
Il film è interessante e intenso, però verso il finale diventa un po’ troppo educativo. Il tema è di estremo interesse, l’azione è portata avanti con un bel ritmo, è ben spiegata la spirale della violenza e di come da un piccolo banale episodio possa amplificare la rabbia fino a rischiare di far nascere una nuova guerra civile. Le donne nel film sono presentate più sagge e meno impulsive dei loro uomini, anche se non riescono ad incidere più di tanto sui comportamenti irresponsabili e inspiegabili dei loro mariti. Shirine Hanna (Rita Hayek), la bella moglie di Toni, tenta inutilmente di farlo ragionare, mentre Nadine Wehbe (Diamand Bou Abboud), la bravissima avvocatessa della difesa è addirittura la figlia dell’astuta volpe, sua controparte, l’avvocato Wajdi Wehbe (Camille Salameh) - ma non esiste un conflitto di interessi?
Il regista conclude la vicenda con una sua speranza di pace, un desiderio di solidarietà che non lascia spazio all’immaginazione del spettatore. Così scrive Francesco Boille in “Internazionale”: «Non ci può essere perdono e quindi riconciliazione senza assunzione di responsabilità reciproca – perché tutti hanno colpe e giustificazioni – e senza conoscenza storica e comprensione piena del dolore immenso che fa covare questa rabbia insensata e perenne dell’orgoglio, della frustrazione».
Per analogia sul ruolo delle immagini – statiche o in movimento - vorrei riportare le parole di Paolo Pellegrin, famoso fotogiornalista della Magnum, che in una conferenza stampa alla domanda “Se una foto può cambiare la storia” ha risposto così: «Io non credo di potere cambiare la testa a nessuno, e non è questo il compito che mi sento addosso. Io voglio far parte di un mondo dove le fotografie entrano in un circuito sociale, cariche di informazioni e di emozioni, acquistano nel loro vagare anche una vita propria, possono incontrare persone e coscienze e far nascere qualcosa. Una fotografia non è un'ideologia che stravolge le menti, è un seme: se sposta qualcosa lo fa piano, crescendo dentro chi la guarda. A questo credo ancora, lo dico da fotografo ma anche da lettore, perché nessuna fotografia esiste davvero se non incontra unacoscienza che la accoglie e la completa».
Il regista Ziad Dueiri, che aveva esordito a Cannes nel 1998 con “West Beyrouth”, al suo quarto lungometraggio, ha vinto con “L’insulto” l’Oscar 2018, quale miglior film in lingua straniera. Con l’attore Kamel El Basha (primo attore arabo a ottenere questo premio) ha invece vinto la Coppa Volpi alla 74ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Al suo rientro in Libano, a causa del suo precedente film “The Attack”, è stato arrestato perché accusato di collaborazionismo con Israele, poi processato e prosciolto.
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