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la multimedialità secondo la critica? Valutazione 3 stelle su cinque

di MicheleDeBenedictis


Feedback: 465 | altri commenti e recensioni di MicheleDeBenedictis
martedì 18 aprile 2017

Intendiamoci, non è un film da poco, e da certi punti di vista anche apprezzabile (v. lavoro di regia e fotografia). Infatti meno di tre stelle non le darei. Per certi versi riesce anche ad intrigare ma poi gira troppo su se stesso, e su cose straviste altrove e meglio.
Tutto il clamore messo su ad arte dalla critica mi sembra un pretenzioso atteggiarsi a neo-filosofi del sapere (già)comune, a digiuno di letture, visioni artistiche, e pièces teatrali, ben più complesse ed accattivanti sui medesimi argomenti. Perché onestamente venirmi a dire in toni roboanti che questo film rimette in discussione in maniera profonda l'inquietudine post-moderna davanti alle nuove tecnologie/rapporti multimediali, SOLTANTO perché compaiono sei o sette scene di scambi in chat, mi sembra una presa per i fondelli bella e (poco)buona, o in malafede, o da parte di chi ignora il resto, disprezzando la "critica generalista" che intanto disapprova, e di certo non per partito preso.

Tornando al film, e senza spoilerare troppo, mi sembra che la Stewart si sia impegnata molto ma che questo non sia il film per lei. Basti vedere tutte le moine da stressata che fa per darsi un tono, tipico dello stile attoriale americanoide, che qui non c'azzecca nulla.
Anche la sua funzione di base è abbastanza discutibile: le vere "personal shopper" del titolo non sono dei semplici fattorini sullo scooter che vanno meccanicamente a ritirare della merce, come dà ad intendere questa pellicola. Per quello esistono gli ordini on-line con tanto di spedizioni h24.  I veri commis d'achat sono persone altamente qualificate - magari blogger di moda, designer, fashion influencer -  che selezionano abiti trendy ed accessori in modo professionale, conformandoli alle mode del momento ed ai gusti del loro committente, che non ha tempo e/o percezione per queste cose.
Altrettanto discutibile l'impianto linguistico di un film ambientato (quasi) tutto in Francia, dove si pubblicizza in modo sfacciato il totem stelllestrisce della Apple, come se non ci fossero alternative informatiche nel Continente, e dove il doppiaggio italiano ha deciso di non sottotilare le chat in inglese, costringendo metà sala a chiedere ad alta voce al proprio vicino di poltrona cosa volesse dire quel messaggio.

Le scene di tensione pseudo-horror sono gestite bene solo nella prima parte del film, anche grazie alle inquadrature ed i giochi di luce. Poi si ripetono in loop e non aggiungono nulla alla tensione. Non basta omaggiare i corridoi di un albergo à la Overlook Hotel per segnare una sequenza.
I personaggi di contorno sono poco interessanti, se non quasi avulsi dal lungo riflettersi della protagonista su stessa, specchi inclusi. Cercare una trama è pure troppo, ma nel complesso la sceneggiatura si divincola bene, ed ha il merito di far scivolare senza peso per tutta la durata del film. Eccetto che per i sermoni pseudo-illuminati sul senso dello spiritismo, che sdoganano luoghi comuni da Wikipedia del sovrannaturale per beginners.Un esempio lampante è lo sterile dialogo finale col tizio sulla veranda, a corollario di tante tesine precompilate sparse per il film. La profondità di certe cose, lo ripeto, la vede solo la critica a digiuno di altro.
Il finale è discutibile, ma azzeccato nella sua ambiguità. Tuttavia il resto del film non costruisce le premesse necessarie per realizzarlo: pertanto non c'è da stupirsi se molti l'hanno trovato pretestuoso o al livello di un escamotage frettoloso per chiudere una storia che neanche il regista sapeva dove sarebbe andata a parare. Non una montagna che partorisce un topolino, ma una collinetta di generi ammucchiati che partorsice un pipistrello che ti si attacca in testa, ma poi è pronto a volarsene via senza lasciarti troppo.

Comunque va consigliato, almeno per sentirsi interdetti e confrontarsi con qualcosa di particolare.



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