no_data
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lunedì 7 marzo 2016
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indimenticabile
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Uno dei film che si candida di diritto ad essere uno dei più belli e commoventi fra quelli da me visti nell'ultimo quinquennio e' senz'altro "ROOM", dramma psicologico ispirato ad una storia vera e che sarà in programmazione in questi giorni al cinema.
La storia è quella agghiacciante di una ragazza rapita, rinchiusa in una stanza e violata per 7 anni dal suo carnefice "Old Nick", dal quale ha un bambino, il piccolo Jack, che con la madre divide tutto, emozioni, tempo ed ogni singolo mm della stanza in cui si racchiude e RINCHIUDE tutta la loro vita.
E' piccola la "Room", davvero piccola, ma neanche quattro mura spesse frenano, anzi aggiungerei POSSONO, in alcun modo, fermare la potenza immaginifica della mente di un bambino che con la fantasia gioca, cresce ma soprattutto crea, riproducendo un mondo, quello stesso mondo che Jack non ha mai potuto vedere, in uno spazio di poco meno di 20 MQ.
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Uno dei film che si candida di diritto ad essere uno dei più belli e commoventi fra quelli da me visti nell'ultimo quinquennio e' senz'altro "ROOM", dramma psicologico ispirato ad una storia vera e che sarà in programmazione in questi giorni al cinema.
La storia è quella agghiacciante di una ragazza rapita, rinchiusa in una stanza e violata per 7 anni dal suo carnefice "Old Nick", dal quale ha un bambino, il piccolo Jack, che con la madre divide tutto, emozioni, tempo ed ogni singolo mm della stanza in cui si racchiude e RINCHIUDE tutta la loro vita.
E' piccola la "Room", davvero piccola, ma neanche quattro mura spesse frenano, anzi aggiungerei POSSONO, in alcun modo, fermare la potenza immaginifica della mente di un bambino che con la fantasia gioca, cresce ma soprattutto crea, riproducendo un mondo, quello stesso mondo che Jack non ha mai potuto vedere, in uno spazio di poco meno di 20 MQ.
Room e' un film che non lascia tregua, neanche per un secondo, lo si divora piangendo, o tremando, o restando esterrefatti (se ancora possibile) da quel che l'uomo può giungere a fare, in positivo ed in negativo.
"Room" e' la corsa verso la libertà di un bambino che neanche Sa la libertà cosa sia, ed è il dramma di una madre che quella stessa libertà se l'e' vista negare.
Un'attenta regia, concentrata sul punto di vista del piccolo Jack, ci aiuta a riscoprire assieme a lui e attraverso il suo sguardo innocente, le piccole cose del mondo che ci circonda, e che da quando iniziamo a crescere, diamo inevitabilmente per scontato, ed in questo l'utilizzo frequente della tecnica del Fuori Campo si rivela una scelta davvero vincente.
La Sceneggiatura di Emma Donoghue (tra l'altro scrittrice del libro dal quale il film è tratto) e' commovente, perfetta e conferma ancora una volta (se ce ne fosse ancora bisogno) la matrice del tutto politica e per nulla meritocratica delle assegnazioni dei premi Oscar.
Un film indimenticabile, da vedere assolutamente in lingua originale (il doppiaggio in Italiano non rende assolutamente la performance di Jacob Tremblay, l'attore sorprendente di 9 anni che veste i panni del piccolo Jack), un film che ci lascia una coda emozionale che ci portiamo dietro a lungo ed anche dopo la visione, che ci fa riflettere sugli interrogativi più profondi sulla psiche umana, la sua gestazione, il suo evolversi, e la sua stessa capacità di eventualmente RISCRIVERSI, che ci affascinano e attanagliano da sempre.
Non aggiungo ne annoio ulteriormente. Unico intento di questo mio scritto e' quello di condividere per una volta qualcosa che si ha davvero la voglia di "condividere", nel senso più letterale del termine, ovvero portare alla scoperta degli altri, per il bene stesso di questo fantastico mezzo di cultura che è il cinema e che tante, troppe volte, viene miseramente e colpevolmente scambiato per qualcos'altro dal valore assolutamente nullo (e non solo in Italia).
Che bel film, finalmente!
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iuriv
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lunedì 14 marzo 2016
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stanza.
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Room punta a disidratare il proprio pubblico attraverso una storia struggente che il regista divide in due parti: dentro stanza e fuori stanza.
Nella prima parte i nomi degli oggetti non sono anticipati da un articolo, quasi a voler creare un legame tra essi e il piccolo Jack, mentre la madre si sforza in ogni modo di far vivere al figlio una vita vicina alla normalità. Nella seconda, la realtà del mondo esterno sgretola la forza di lei, mentre il bambino, pur consapevole del trauma subito, è troppo impegnato a crescere e a imparare a fidarsi per potersene far schiacciare.
Abrahamson sfrutta una regia leggera cercando di rendere invisibile la macchina da presa.
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Room punta a disidratare il proprio pubblico attraverso una storia struggente che il regista divide in due parti: dentro stanza e fuori stanza.
Nella prima parte i nomi degli oggetti non sono anticipati da un articolo, quasi a voler creare un legame tra essi e il piccolo Jack, mentre la madre si sforza in ogni modo di far vivere al figlio una vita vicina alla normalità. Nella seconda, la realtà del mondo esterno sgretola la forza di lei, mentre il bambino, pur consapevole del trauma subito, è troppo impegnato a crescere e a imparare a fidarsi per potersene far schiacciare.
Abrahamson sfrutta una regia leggera cercando di rendere invisibile la macchina da presa. Ma quando il suo spirito contemplativo dilata troppo i tempi (anche oltre in qualche caso), cambia il registro dello stile, anche aiutandosi con l'enfasi della colonna sonora, permettendo all'emotività repressa di sfogarsi. E le cascate di lacrime diventano scroscianti.
Gira la fuga come fosse un thriller e non rinuncia alle emozioni facili provocate da un cagnolino. Gestendo in questo modo i sentimenti che provoca, da l'impressione di tenere saldamente in pugno il suo lavoro, coadiuvato da una coppia di protagonisti indubbiamente indovinati. A tutto questo aggiunge, saltuariamente, una narrazione in terza persona affidata a Jack, che con la sua capacità di sintesi mette in primo piano i punti salienti attorno ai quali ruota la vicenda. Si potrebbe obbiettare che questa consapevolezza è persino troppo lucida per un bambino di cinque anni, ma la realtà è che la cosa non ha nessun peso negativo riguardo alla fruizione.
Dopo aver assistito a un finale didascalico ma perfettamente funzionale alla trama, mi sono alzato un po' barcollante. Certo, in parte era dovuto allo scivolamento provocato dalle pozzanghere di lacrime presenti in sala, ma soprattutto il motivo di questa strana sensazione risiede nella forza con cui il film mi ha lavorato dentro. Forza che opere più pompose di questa nemmeno avvicinano.
Bel lavoro, bravi tutti.
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bob11_17
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martedì 29 marzo 2016
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emozioni riflessive
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“Non perdere mai la speranza,
essa ti da la forza a non mollare mai”.
Uno dei tanti messaggi lanciati da questa emozionante pellicola firmata Lenny Abrahamson, affiancato da Brie Larson, che con una strabiliante interpretazione da protagonista riesce ad aggiudicarsi la statuetta agli oscar 2016.
Room è un film che racconta una delle tante tragiche storie che oggi giorno sono sempre più frequenti, ovvero, la scomparsa di persone dovute ai rapimenti. Le persone possono fare cose terribili, ma nello stesso tempo altre possono tirare fuori il meglio di loro salvando la propria vita e quella degli altri nonostante la situazione drammatica in cui si trovano. Ed è proprio il caso di questa donna, che nonostante la giovane età, riesce per il proprio figlio di cinque anni Jack a trasformare un incubo in una sorta di normalità apparente.
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“Non perdere mai la speranza,
essa ti da la forza a non mollare mai”.
Uno dei tanti messaggi lanciati da questa emozionante pellicola firmata Lenny Abrahamson, affiancato da Brie Larson, che con una strabiliante interpretazione da protagonista riesce ad aggiudicarsi la statuetta agli oscar 2016.
Room è un film che racconta una delle tante tragiche storie che oggi giorno sono sempre più frequenti, ovvero, la scomparsa di persone dovute ai rapimenti. Le persone possono fare cose terribili, ma nello stesso tempo altre possono tirare fuori il meglio di loro salvando la propria vita e quella degli altri nonostante la situazione drammatica in cui si trovano. Ed è proprio il caso di questa donna, che nonostante la giovane età, riesce per il proprio figlio di cinque anni Jack a trasformare un incubo in una sorta di normalità apparente. Rinchiusi da sette anni in un magazzino di piccole dimensioni e senza finestre, la giovane Ma’ fa di tutto affinchè Jack sia felice e al sicuro come ogni bambino, creando all’interno di questo ambiente un universo solo per lui, che gli possa garantire una vita normale anche in un luogo così raccapricciante.
La storia che ci viene raccontata racchiude un insieme di emozioni che raggiungono ogni parte del cuore degli spettatori. Grazie all’ottima sceneggiatura si può provare le sensazione di trovarsi fisicamente all’interno di quelle mura e trascorrere quei sette interminabili anni insieme a quella madre, che per non cadere nella disperazione, crea un altro mondo fatto di cose e persone immaginarie. Con il passare del tempo però, i continui interrogativi di Jack sulla situazione portano la madre ad escogitare una fuga, che permetterà a entrambi di svegliarsi da questo incubo e ottenere finalmente la libertà. Una libertà che però porterà entrambi di fronte ad un altro tipo di realtà ancora più spaventosa della precedente: il mondo reale.
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lbavassano
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sabato 5 marzo 2016
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l'assurdo rende comprensibile l'incomprensibile
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Ci sono due splendide scene nel bel film di Lenny Abrahamson. Quando la madre deve spiegare al bambino che esiste un mondo al di fuori della stanza in cui è nato e cresciuto, e che giustamente non viene definita "la stanza", ma "stanza", senza articolo, a definirne il valore di luogo assoluto; che esiste un mondo che non è quello della televisione, ma un mondo "reale", ed il bambino si rifiuta di crederlo, perché per lui è questo l'incredibile, che esista un mondo al di fuori di quella porta sempre chiusa, è questo l'assurdo, non una vita di reclusione che per lui è l'unica vita reale.
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Ci sono due splendide scene nel bel film di Lenny Abrahamson. Quando la madre deve spiegare al bambino che esiste un mondo al di fuori della stanza in cui è nato e cresciuto, e che giustamente non viene definita "la stanza", ma "stanza", senza articolo, a definirne il valore di luogo assoluto; che esiste un mondo che non è quello della televisione, ma un mondo "reale", ed il bambino si rifiuta di crederlo, perché per lui è questo l'incredibile, che esista un mondo al di fuori di quella porta sempre chiusa, è questo l'assurdo, non una vita di reclusione che per lui è l'unica vita reale. L'altra è quando il bambino, ormai libero, vuole tornare a salutare "stanza", perché gli è impossibile staccarsi definitivamente da quella che è stata la sua vita, l'unica vita reale, senza ripercorrere un'ultima volta i rituali che tale vita hanno cadenzato, che tale vita hanno reso vivibile e in qualche modo, un modo solo apparentemente assurdo, cara.
E' soprattutto grazie a queste scene che il regista riesce a vincere la scommessa più difficile, quella di far comprendere allo spettatore una vicenda ai limiti dell'immaginabile, pur se tragicamente nota attraverso le vicende di cronaca, di farla comprendere dall'interno, dal punto di vista dei protagonisti, ciò che, nella finzione cinematografica, a rimarcare giustamente la distanza, non riesce al padre della protagonista e, soprattutto, all'intervistatrice televisiva, portatori di inconsapevoli di punti di vista dettati da luoghi comuni incapaci di autentica comprensione.
E' grazie a queste due scene, apparentemente assurde, che la vicenda conquista la propria profonda realtà, oltre che grazie all'ottima protagonista (anche se la mancata assegnazione dell'Oscar a Charlotte Rampling ancora duole).
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robert eroica
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domenica 6 marzo 2016
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dentro la stanza
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Che strana stanza è mai questa ? Dove una giovane madre e il figlioletto di cinque anni condividono ogni momento senza mai uscire all’esterno ? Lo scopriamo presto quando la presenza dell’orco (un orco assai stupido comunque) si manifesta nel consesso carnale con la donna. E capiamo come quel microcosmo di violenza e segregazione possa essere distrutto con la volontà di vivere finalmente altrove, dove gli animali e le persone sono creature animate e non sagome unidimensionali della Tv. Quindi scatta un piano, anche questo di una stranezza e di una pericolosità estrema. Ma riesce e la libertà viene loro restituita.
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Che strana stanza è mai questa ? Dove una giovane madre e il figlioletto di cinque anni condividono ogni momento senza mai uscire all’esterno ? Lo scopriamo presto quando la presenza dell’orco (un orco assai stupido comunque) si manifesta nel consesso carnale con la donna. E capiamo come quel microcosmo di violenza e segregazione possa essere distrutto con la volontà di vivere finalmente altrove, dove gli animali e le persone sono creature animate e non sagome unidimensionali della Tv. Quindi scatta un piano, anche questo di una stranezza e di una pericolosità estrema. Ma riesce e la libertà viene loro restituita. Ed è qui che il processo di riabilitazione occupa per intero le pareti della seconda parte di “Room”, quella meno adrenalinica, ma la più complessa, anche se non del tutto riuscita. La cosa più interessante è lo spazio mentale che permette a madre e figlio di ricongiungersi in un’età di mezzo, in cui la ragazza regredisce alla fragilità dei suoi diciassette anni (l’età in cui fu rapita) mentre il bambino matura una identità e un coraggio ben più grande dei suoi cinque anni. Quelle meno interessanti: il mondo familiare ai limiti dello stereotipo (ad un certo punto spunta anche il mediocrissimo Mecy, nella parte del padre), il diario interiore del bambino che descrive gli eventi come una favola, la retorica del sonoro (con una musica che stabilisce i monenti in cui è obbligatorio commuoversi) che cerca la facile enfasi. “Room” era candidato a 4 premi Oscar. Lo ha conquistato Brie Larson, brava, certo, ma non paragonabile con la magnifica Jennifer Lawrence di “Joy”
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(di francesco2)
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(di gianleo67)
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lillapunto
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martedì 8 marzo 2016
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i mostri
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Nei film davvero riusciti non si percepisce una mano diversa fra chi ha ideato il racconto, chi ne ha curato la sceneggiatura e chi la regia.
Nel caso del magistrale Ozu non si percepisce la mano diversa semplicemente perchè non c'è. Il regista, che aveva anche potere sulla produzione, ci ha regalato film di raro equilibrio pensando storie semplici in ambientazioni essenziali e dirigendo sempre gli stessi attori.
Nel film Room, su una vicenda che certamente semplice non è, ho trovato la stessa unità e mi sono chiesta come sia stata ottenuta. Leggendo qua e là ho trovato che Emma Donoghue ha scritto la storia e creato subito dopo la sceneggiatura, che Lerry Abrahamson si è proposto spiegandole la propria impostazione con una lunga lettera e che la scrittrice-sceneggiatrice lo ha scelto come regista fra tanti.
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Nei film davvero riusciti non si percepisce una mano diversa fra chi ha ideato il racconto, chi ne ha curato la sceneggiatura e chi la regia.
Nel caso del magistrale Ozu non si percepisce la mano diversa semplicemente perchè non c'è. Il regista, che aveva anche potere sulla produzione, ci ha regalato film di raro equilibrio pensando storie semplici in ambientazioni essenziali e dirigendo sempre gli stessi attori.
Nel film Room, su una vicenda che certamente semplice non è, ho trovato la stessa unità e mi sono chiesta come sia stata ottenuta. Leggendo qua e là ho trovato che Emma Donoghue ha scritto la storia e creato subito dopo la sceneggiatura, che Lerry Abrahamson si è proposto spiegandole la propria impostazione con una lunga lettera e che la scrittrice-sceneggiatrice lo ha scelto come regista fra tanti.
Abrahamson, che ha fatto anche studi filosofici, è riuscito con la cinepresa a mostrare il mondo della coppia madre- figlio in tre situazioni ben distinte: la routin improntata sull'amore la dedizione e la fantasia, anche se attuata in una stanza e persino a contatto con il mostro (in questa prima parte il film è claustofobico); la rottura della routin con la preparazione e attuazione della fuga (con momenti da triller e con sfumature poetiche) ; la coppia madre- figlio che si muove nel mondo reale nel quale si aggirano nuovi mostri, (il nonno che non guarda il nipote, la giornalista che cinicamente mette in dubbio l'operato della madre, i media con la ossessiva presenza) .
La scrittrice ha detto " Una delle idee che si celano dietro Room, e' che i bambini hanno la tendenza naturale a crescere. Finché sono ricoperti d'amore e d'affetto, anche se in circostanze oscure o incomprensibili, si adattano, trovano un modo per star bene e crescere''.
E questo è ben chiaro nella prima parte del film, ma scrittrice e regista vanno avanti mostrando il mondo di tutti i giorni in una luce diversa puntanto cioè l'obiettivo su un mondo dove i mostri sono numerosi e, cosa molto più pericolosa, non sono presentati come tali.
Un film che fa riflettere ed è di aiuto.
Liliana
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bericopredieri
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domenica 13 marzo 2016
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oscar strameritato per una grande interpretazione
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Altri film sono stati fatti su questo argomento, uno degli ultimi : il mostro di Cleveland, ma quello che fa la differenza in questo film è Jack. Quel Jack che per quasi due ore ci ha disorientato sentendo sempre rivolgersi a lui al maschile mentre a tutti noi sembrava una dolce ragazzina. Magari un po' meno lungo il film e un po' più concisa la seconda parte avrebbe giovato; in effetti quella che attanaglia di più lo spettatore è la parte della segregazione e quelle lunghe sequenze a casa dei nonni stancano un po'. Detto questo il film merita ampiamente ogni elogio ricevuto, fa versare qualche lacrimuccia anche ai cuori più duri e le due protagoniste sono assolutamente straordinarie.
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enzo70
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martedì 22 marzo 2016
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un futuro oltre la follia
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La stanza dove vivono Jack e la madre è una prigione, ma per il bambino è l’unico mondo possibile; room è un film coraggioso che trasferisce sul grande schermo le storie incredibili che la cronaca ci consegna di uomini, donne e bambini prigionieri della follia umana. Ma al di là di una stanza ci sta un mondo reale e quando Jack riesce a fuggire buttandosi dal furgone con il quale il padre padrone lo doveva portare in ospedale per il bambino si apre una diaspora emotiva tra la memoria, chiusa in una stanza, ed un futuro, in cui l’unica certezza è la madre. Un’altra freccia per il cinema irlandese di qualità che riesce con budget ridottissimi a produrre film che non hanno confini; e dopo lo splendido garage Lenny Abrahamson raggiunge un meritatissimo Oscar per un film che se avete la fortuna di vedere non dimenticherete presto.
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La stanza dove vivono Jack e la madre è una prigione, ma per il bambino è l’unico mondo possibile; room è un film coraggioso che trasferisce sul grande schermo le storie incredibili che la cronaca ci consegna di uomini, donne e bambini prigionieri della follia umana. Ma al di là di una stanza ci sta un mondo reale e quando Jack riesce a fuggire buttandosi dal furgone con il quale il padre padrone lo doveva portare in ospedale per il bambino si apre una diaspora emotiva tra la memoria, chiusa in una stanza, ed un futuro, in cui l’unica certezza è la madre. Un’altra freccia per il cinema irlandese di qualità che riesce con budget ridottissimi a produrre film che non hanno confini; e dopo lo splendido garage Lenny Abrahamson raggiunge un meritatissimo Oscar per un film che se avete la fortuna di vedere non dimenticherete presto.
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valterchiappa
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mercoledì 8 novembre 2017
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il mondo in una stanza
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Cosa rende grande una sceneggiatura? Il contenere, all’interno del cammino retto o contorto di una storia, più mondi, sfere concentriche o intersecanti, magari ignote allo stesso scrittore, ma che il destinatario, lettore o spettatore, riconosce e sente sue. È quanto accade in “Room”, dove una vicenda già permeante nella sua drammaticità, apre le porte a sensazioni o riflessioni complesse e forse indecifrabili.
Una madre, Ma (Brie Larson), un figlio, Jack (Jacob Tremblay), una Stanza. Uno spazio minimo, che diventa un mondo intero per Jack, gli oggetti i suoi abitanti: Lavandino, Armadio, Specchio.
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Cosa rende grande una sceneggiatura? Il contenere, all’interno del cammino retto o contorto di una storia, più mondi, sfere concentriche o intersecanti, magari ignote allo stesso scrittore, ma che il destinatario, lettore o spettatore, riconosce e sente sue. È quanto accade in “Room”, dove una vicenda già permeante nella sua drammaticità, apre le porte a sensazioni o riflessioni complesse e forse indecifrabili.
Una madre, Ma (Brie Larson), un figlio, Jack (Jacob Tremblay), una Stanza. Uno spazio minimo, che diventa un mondo intero per Jack, gli oggetti i suoi abitanti: Lavandino, Armadio, Specchio. Tutto il resto esiste solo nella TV. E il cielo è un quadratino azzurro dipinto sul lucernaio.
Una popolazione minima, ma sufficiente: una Madre e suo Figlio. E il Male. Che incombe a distruggere o completare, nei panni di Old Nick (Sean Bridgers), l’aguzzino che da 7 anni tiene rinchiusa Ma (che un tempo si chiamava Joy), abusandone quotidianamente. Il Male inevitabile, da cui la Madre può solo proteggere il Figlio facendolo nascondere in un armadio e attirando su di sé, sul suo corpo, le attenzioni del mostro. Il Male inesorabile, che chiude dietro di sé la porta con una combinazione segreta e relega Madre e Figlio al loro cosmo microscopico, di cui Egli solo detta le regole.
Quando Jack compie 5 anni è il momento di rivelargli la verità. Gli alberi, i cani e altri uomini esistono davvero e sono fuori da quella stanza: è ora di raggiungerli, è ora per Jack di diventare uomo. Con un artificio i due riescono a farsi salvare. Comincia una nuova vita, con i suoi nuovi orrori. La libertà finalmente conquistata viene pagata con il prezzo di una difficile accoglienza, dell’invasione dei media, di un generale straniamento rispetto a tutta quella nuova luce e le sue inevitabili ombre. Joy non ce la fa. Cade in depressione, troppo il contraccolpo. Sarà Jack, diventato prematuramente adulto, a salvarla nuovamente.
Uscita dalla penna della scrittrice irlandese Emma Donoghue, che ha adattato per il cinema il suo omonimo romanzo di successo, uscito in Italia con il titolo di “Stanza, letto, armadio, specchio”, la sceneggiatura si ispira ovviamente a drammatici fatti della cronaca più nera (si ripensa ai casi di Elisabeth Fritzl e di Natascha Kampusch); ma da quel cupo substrato vola per diventare il contenitore di infinite e profonde riflessioni.
Una storia perfetta per Lenny Abrahamson, il regista irlandese, che ama addentrarsi nei meandri della psiche con trame inquietanti e complesse; lo aveva fatto nel suo precedente film, “Frank”, viaggio nel disturbo mentale di un cantante che soleva esibirsi nascosto da una grande testa di cartapesta.
Una storia potentissima, con momenti di narrazione meravigliosi: la foglia che cade sul lucernaio e che segnala l’esistenza di un mondo esterno che non può essere elusa; il primo stupefacente apparire della realtà, cielo, alberi, luce, al piccolo Jack che fugge nascosto in un tappeto; la scena in cui lo stesso Jack taglia i capelli, nei quali credeva risiedesse la sua forza, rito di passaggio verso l’età della consapevolezza.
Una storia in cui ognuno può trovare quel che vuole. Semplicemente un thriller claustrofobico, una riflessione sulla relatività del reale o sulla necessità del Male, un percorso di formazione. Noi ci siamo concentrati sulla descrizione del rapporto fra Madre e Figlio, legame inscindibile in cui ruoli evolvono con il tempo e con l’ambiente, in cui la funzione salvifica cambia di soggetto; eppure non ci è stato possibile sviscerare tutte le mutevoli sfaccettature sottintese nella trama. Perché in “Room” tutto è suggerito, forse nemmeno concepito dalla mente dell’autrice, ma è lì presente, germogli di pensieri pronti a fiorire, a ramificarsi indefinitamente nella mente dello spettatore.
“Room” esce quindi penalizzato dalla notte degli Oscar. Seppur gratificato da una delle statuette più prestigiose, quella per la Miglior Attrice Protagonista, giustamente consegnata nelle mani di Brie Larson per la sua interpretazione di straordinaria intensità, avrebbe ampiamente meritato l’Oscar per la Miglior Sceneggiatura non originale, invece assegnato al pur brillante plot di “La grande scommessa”.
È da sottolineare inoltre la stupefacente interpretazione del prodigio Jacob Tremblay, 9 anni, comparabile, se non superiore, per la drammaticità e per la partecipazione emotiva che è capace di suscitare, a quella della protagonista. Jacob ha, per la sua prova, conquistato svariati premi, fra cui il Critics’ Choice Movie Awards 2016; forse era presto per vederlo salire sul palcoscenico dell’Academy, ma è un talento assoluto e, se non si perderà per le infide vie dello show business, farà riecheggiare ancora il suo nome.
Per tutto questo “Room” è un film da vedere, assolutamente. Totalmente rapiti, avvinghiati, storditi durante la proiezione, usciti dalla sala cominceremo a ridiscutere i nostri confini. E a cercare di capire quant’è grande la nostra Stanza.
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ritacirrincione
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venerdì 7 settembre 2018
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quando l'amore materno crea un mondo
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Room è un minuscolo spazio, senza finestre, con un lucernario e pochi squallidi mobili in cui vivono il piccolo Jack e Ma, la madre; Room è una prigione in cui la ragazza, rapita da un maniaco, vive con il figlio nato da quello stupro continuato; Room è soprattutto un Mondo creato dall’amore di Ma per sopperire alle carenze di quell’angusta e orrenda realtà, che lei amplia e colora rendendola un posto magico dove ogni oggetto si anima e diventa un fantastico compagno di vita per Jack. Come un demiurgo, Ma crea realtà, allestisce situazioni, inventa giochi, racconta storie cercando di segnare i confini tra verità e fantasia ed esercitando al massimo, in quelle condizioni estreme, la funzione materna di rêverie che trasforma e rende sopportabile per un bambino una condizione altrimenti insostenibile.
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Room è un minuscolo spazio, senza finestre, con un lucernario e pochi squallidi mobili in cui vivono il piccolo Jack e Ma, la madre; Room è una prigione in cui la ragazza, rapita da un maniaco, vive con il figlio nato da quello stupro continuato; Room è soprattutto un Mondo creato dall’amore di Ma per sopperire alle carenze di quell’angusta e orrenda realtà, che lei amplia e colora rendendola un posto magico dove ogni oggetto si anima e diventa un fantastico compagno di vita per Jack. Come un demiurgo, Ma crea realtà, allestisce situazioni, inventa giochi, racconta storie cercando di segnare i confini tra verità e fantasia ed esercitando al massimo, in quelle condizioni estreme, la funzione materna di rêverie che trasforma e rende sopportabile per un bambino una condizione altrimenti insostenibile. La fuga e l’abbandono di quel mondo sarà una nuova nascita per Jack e un inizio pieno di incognite anche per la ragazza.
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