maurizio d
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giovedì 3 settembre 2015
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il limite maggiore del film
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Se non fosse per il finale zuccheroso e per una lunghissima e assurda sparatoria
il film poteva davvero aver meritato la palme d'or.
Che senso ha un lieto fine quando il resto del film ci mostra solo
violenza degrado e morte ?
Detto questo il film merita di essere visto almeno per tutta la sua prima parte
in cui dominano un attenta analisi della realtà una splendida fotografia ed un
acuto studio dell'animo umano.I temi abbordati sono due: l'accoglienza dei rifugiati
politici in Europa , con le varie difficoltà che incontrano per inserirsi
e quello della vita nelle periferie delle grandi città, dove regna lo spaccio di droga , la violenza , la lotta fra i clan.( vedi Gomorra)
Il film pero ha la capacità di raccontare con toni spesso lirici, gli stenti ,le difficoltà,
le incomprensioni , i rapportri interpersonali.
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Se non fosse per il finale zuccheroso e per una lunghissima e assurda sparatoria
il film poteva davvero aver meritato la palme d'or.
Che senso ha un lieto fine quando il resto del film ci mostra solo
violenza degrado e morte ?
Detto questo il film merita di essere visto almeno per tutta la sua prima parte
in cui dominano un attenta analisi della realtà una splendida fotografia ed un
acuto studio dell'animo umano.I temi abbordati sono due: l'accoglienza dei rifugiati
politici in Europa , con le varie difficoltà che incontrano per inserirsi
e quello della vita nelle periferie delle grandi città, dove regna lo spaccio di droga , la violenza , la lotta fra i clan.( vedi Gomorra)
Il film pero ha la capacità di raccontare con toni spesso lirici, gli stenti ,le difficoltà,
le incomprensioni , i rapportri interpersonali. Spesso allude e non dice.
E' un film intimista almeno nella sua prima parte.
Poi di colpo cambia tutto , si direbbe che ci sia la mano di un altro regista , diventa un film hollywoodiano , con scene di violenza gratuite e sparatorie
spettacolari e poco credibili. Ora c'è da chiedersi perché il regista sia stato cosi lirico
e suggestivo nelle scene intime e cosi esplicito e stridente nelle scene finali?
E' proprio questa differenza di tono il limite maggiore del film
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fabiofeli
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lunedì 26 ottobre 2015
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anche tu cominci a credere a questa storia?
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Dheepan di Jacques Audiard / Un guerriero Tamil (Jesuthasan Antonythasan) deve prendere il nuovo nome, Dheepan, per emigrare in Francia dallo Sri Lanka, abbandonando l'inferno della sua isola che ha distrutto la sua famiglia e il suo esercito. Con una donna, Yalini (Kalieaswari Srinivasan), e un'orfana di 9 anni, Illayal (Claudine Vinasithamby), scovata in un mercato ed affidatale dalla zia per salvarla da un futuro di fame, Dheepan forma una famiglia fittizia arrivando in un sobborgo della banlieu parigina.L'uomo, nonostante l'alto livello di istruzione, capisce che deve fare una scelta obbligata: con l'aiuto decisivo dell'interprete cingalese, che conosce i suoi trascorsi, accetta un lavoro dequalificato di portiere-sorvegliante ed un alloggio miserevole che permettono la sopravvivenza immediata, senza fare domande sugli strani traffici del fabbricato di fronte al suo.
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Dheepan di Jacques Audiard / Un guerriero Tamil (Jesuthasan Antonythasan) deve prendere il nuovo nome, Dheepan, per emigrare in Francia dallo Sri Lanka, abbandonando l'inferno della sua isola che ha distrutto la sua famiglia e il suo esercito. Con una donna, Yalini (Kalieaswari Srinivasan), e un'orfana di 9 anni, Illayal (Claudine Vinasithamby), scovata in un mercato ed affidatale dalla zia per salvarla da un futuro di fame, Dheepan forma una famiglia fittizia arrivando in un sobborgo della banlieu parigina.L'uomo, nonostante l'alto livello di istruzione, capisce che deve fare una scelta obbligata: con l'aiuto decisivo dell'interprete cingalese, che conosce i suoi trascorsi, accetta un lavoro dequalificato di portiere-sorvegliante ed un alloggio miserevole che permettono la sopravvivenza immediata, senza fare domande sugli strani traffici del fabbricato di fronte al suo. La bambina soffre per la freddezza dei suoi falsi genitori, persi nella autocommiserazione e in un lutto non elaborato, e patisce il rifiuto ad accettarla dei compagni di scuola. L'elefante sacro e la moglie e i figli scomparsi popolano i sogni di Dheepan e poco conta creare un tabernacolo nel tugurio, una sorta di tabernacolo con la foto dei suoi come nume tutelare. Yalini sogna solo di sganciarsi dai due per raggiungere la sorella che vive a Londra: solo la "pingue" cifra di 500 euro mensili, 87.000 rupie mai viste tutte assieme in vita sua, la convince ad accettare un lavoro di assistente familiare di un anziano presso Brahim (Vincent Rottiers), un giovane sballato della casa di fronte. Ma il destino è in agguato: la guerra scatenata da una banda contro la gang di Brahim coinvolge Dheepan, dopo un drammatico incontro con il vecchio capo Tamil che lo bolla come traditore della causa, e Yalini, costringendoli a difendere la "famiglia" e la loro dignità. Mai svegliare la tigre che dorme ... Sullo schermo sfilano tutte le sofferenze di chi fugge da miseria, fame, guerra e morte per cercare a più di mille miglia lontano da casa il diritto alla vita: il dolore di rinunciare ai valori fondamentali della vita - luogo natale, lingua, cibo, clima, usi, cultura e passato -, in una parola la propria identità. Insensato è il sospetto di "privilegi" loro concessi, vantaggi straccioni che l'ultimo dei diseredati rifiuterebbe. Il messaggio di integrazione, crescita e speranza è affidato alla bambina che trova le parole giuste per porre le fondamenta familiari. La recitazione e il dialogo sono scarni ed efficaci e permettono di penetrare nei pensieri e nel cuore dei personaggi in questo film, palma d'oro a Cannes, da non mancare.
Valutazione ***1/2
FabioFeli
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brandokate
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domenica 25 ottobre 2015
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da una guerra all'altra
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Un film intenso, drammatico ma aperto alla speranza: accanto al rumore assordante della guerra in Sri Lanka e poi tra le bande della banlieue parigina, ci sono i sussurri, gli sguardi delicati, quasi rubati e le carezze accennate, il timido conoscersi tra un ex guerriero, una giovane donna e una bambina che devono fingere di essere una famiglia per fuggire dalla guerra civile. Una famiglia che da “finta” diventerà vera: un’intimità conquistata giorno per giorno, sofferta. Ma quella guerra la ritrovano a Parigi, a Le Pré: un concentrato di povertà, droga, violenza e sopraffazione. "Le Pré cosa significa?” - chiede Yalini a Dheepan.
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Un film intenso, drammatico ma aperto alla speranza: accanto al rumore assordante della guerra in Sri Lanka e poi tra le bande della banlieue parigina, ci sono i sussurri, gli sguardi delicati, quasi rubati e le carezze accennate, il timido conoscersi tra un ex guerriero, una giovane donna e una bambina che devono fingere di essere una famiglia per fuggire dalla guerra civile. Una famiglia che da “finta” diventerà vera: un’intimità conquistata giorno per giorno, sofferta. Ma quella guerra la ritrovano a Parigi, a Le Pré: un concentrato di povertà, droga, violenza e sopraffazione. "Le Pré cosa significa?” - chiede Yalini a Dheepan. E lui “il prato!... vedrai ci sarà tanto verde dove andiamo ad abitare!”. “Vince” un posto da custode di uno squallido caseggiato che si rivelerà un passaporto per un altro inferno. Da una guerra all’altra. Non cambia molto. Solo le bande. Ogni tanto una scena ricorrente: l’enorme testa di un elefante che si muove silenziosamente nella foresta. E’ il Ganesha, un sogno di pace, il simbolo della pazienza, della saggezza.
Peccato il finale: un po’ affrettato e leggermente mieloso.
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zoom e controzoom
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lunedì 26 ottobre 2015
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il finale ? fuori dalle righe, peccato
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Quello che conosciamo della vita degli emigrati, è sempre inferiore a quella che è la loro realtà. Questo potrebbe essere il messaggio, che pur per se stesso banale, è talmente ricco di impliciti sconosciuti, da riempirci sempre poi la mente degli orrori possibili quando come in questo caso, ci vengono presentati in una forma che rimane pur sempre distante dal nostro vissuto. Quest'opera inizialmente con maestria, riassume alcuni luoghi comuni, creando dei fluidi sottintesi per le situazioni già straraccontate : il viaggio sul barcone, la brutalità degli scafisti, l'impatto con la realtà del mondo "civilizzato". Per circa metà film, la cosa funziona e i passaggi, i collegamenti sono comprensibili, poi il regista tocca alcuni argomenti di grande spessore che però, vuoi per scelta tematica che si fissa su precisi argomenti, vuoi per non appesantire ed allungare troppo il film, abbrevia eccessivamente, facendo mancare degli elementi importanti di approfondimento, di drammatizzazione, dando una leggerezza al film mentre in realtà ciò non gli appartiene.
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Quello che conosciamo della vita degli emigrati, è sempre inferiore a quella che è la loro realtà. Questo potrebbe essere il messaggio, che pur per se stesso banale, è talmente ricco di impliciti sconosciuti, da riempirci sempre poi la mente degli orrori possibili quando come in questo caso, ci vengono presentati in una forma che rimane pur sempre distante dal nostro vissuto. Quest'opera inizialmente con maestria, riassume alcuni luoghi comuni, creando dei fluidi sottintesi per le situazioni già straraccontate : il viaggio sul barcone, la brutalità degli scafisti, l'impatto con la realtà del mondo "civilizzato". Per circa metà film, la cosa funziona e i passaggi, i collegamenti sono comprensibili, poi il regista tocca alcuni argomenti di grande spessore che però, vuoi per scelta tematica che si fissa su precisi argomenti, vuoi per non appesantire ed allungare troppo il film, abbrevia eccessivamente, facendo mancare degli elementi importanti di approfondimento, di drammatizzazione, dando una leggerezza al film mentre in realtà ciò non gli appartiene. La figura più completa intorno alla quale si svolge il film, è quella di Tamil, ma solo in quanto più completa all'interno del suo percorso, ma non fino alla fine. Le fragilità del film, sta nel toccare ed abbandonare troppo presto alcune problematiche: la figlia-non figlia che si trova nel mondo scolastico che non è di figure angeliche, ma di coetanei egoisti ed immaturi, ometti in formato ridotto, e poi le problematiche, sia di accadimenti che di contrasto con la propria civiltà, della moglie-non moglie alla quale si apre una visione sulla nuova vita, la visione di un mondo violento e squallido nel quale non si sa come lei riesca a muoversi in quel modo eccessivamente sciolto soprattutto con i protagonisti dell'altro sesso. Nonostante ciò, questo resta un bel film, che non si perde in inquadrature superflue, ma alterna ambientazioni ad primi piani altamente drammatizzati. Peccato quel finale che non serviva all'economia del racconto e non trova giustificazioni perchè è totalmente fuori dalle righe, è proprio un altro film.
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flyanto
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lunedì 26 ottobre 2015
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la dura lotta per ricostruirsi la propria esistenz
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Che Jacques Audiard sia un regista fuoriclasse lo ha sempre dimostrato in tutti i films che ha girato e che si distinguono dalla massa per il rigore della regia, l'originalità dei soggetti e la scelta azzeccata di ottimi attori. Con "Dheepan - Una Nuova vita" (dove però non compaiono attori noti, almeno al pubblico occidentale) Audiard conferma il proprio talento, vincendo a ragione la Palma d'Oro all'ultimo Festival del Cinema a Cannes.
In seguito alle continue e violente guerre civili in Sri Lanka, tre individui, un uomo, una giovane donna ed una bambina di 9 anni, avendo perso tutti i propri familiari più stretti, decidono di fingersi una famiglia vera e propria al fine di riuscire ad emigrare in Occidente.
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Che Jacques Audiard sia un regista fuoriclasse lo ha sempre dimostrato in tutti i films che ha girato e che si distinguono dalla massa per il rigore della regia, l'originalità dei soggetti e la scelta azzeccata di ottimi attori. Con "Dheepan - Una Nuova vita" (dove però non compaiono attori noti, almeno al pubblico occidentale) Audiard conferma il proprio talento, vincendo a ragione la Palma d'Oro all'ultimo Festival del Cinema a Cannes.
In seguito alle continue e violente guerre civili in Sri Lanka, tre individui, un uomo, una giovane donna ed una bambina di 9 anni, avendo perso tutti i propri familiari più stretti, decidono di fingersi una famiglia vera e propria al fine di riuscire ad emigrare in Occidente. La meta ambita sarebbe l'Inghilterra dove, peraltro, la donna possiede una cugina, ma essi vengono invece mandati in Francia. Una volta arrivati sul suolo francese essi vengono impiegati come custodi di un complesso di edifici alla periferia di Parigi dove cercheranno di integrarsi piano piano alla comunità, peraltro tutta costituita principalmente di arabi ed orientali. Ma il luogo in pratica è un vero e proprio centro di spaccio di droga, ben organizzato e dove scoppiano continue rappresaglie con armi da fuoco da parte delle varie bande rivali. Dopo una serie innumerevole di avvenimenti e pericoli, nonchè incomprensioni, vissuti dai due protagonisti, essi riusciranno ad emigrare finalmente in Inghilterra e ricostruirsi una vita più tranquilla, allietata anche dalla nascita di un loro comune bimbo.
La trama, per quanto interessante ed avvincente, nonchè, purtroppo, quanto mai vera e cruda concernente le condizioni e le difficoltà in cui gli emigranti si trovano, non costituisce in sè il valore vero e proprio del film. Molte pellicole, infatti, hanno precedentemente raccontato le situazioni difficili in cui gli stranieri si trovano una volta raggiunte le tanto agognate mete dei paesi occidentali, ma tutto l'iter esistenziale e lo sviluppo dei sentimenti che viene da Audiard descritto, costituisce il pregio e quello che rende tale pellicola superiore e degna di importanti riconoscimenti. Il disagio e l' iniziale incomprensione provati dai tre protagonisti a contatto con una nuova realtà e differenti e molteplici culture, la natura e la crescita progressiva dei sentimenti che li investono (molto toccante è la situazione della bambina rimasta orfana e completamente sola al mondo), viene descritta dal regista in maniera dettagliata, in un crescendo realistico e soprattutto con una delicatezza talmente toccante, da indurre lo spettatore più sensibile ad una sicura commozione. Pertanto, più che una storia banale e già ampiamente trattata di emigranti, ripeto, è il lato umano e più intimistico a rendere sublime questo poetico film, lanciando anche un messaggio di speranza a confidare sempre nel proprio futuro, sebbene il più delle volte avverso od incerto, se si lotta con tutte le proprie forze.
Una menzione speciale va indirizzata ai protagonisti, attori o meno provenienti realmente dallo Sri Lanka, che riescono ad impersonare le proprie paure, i propri desideri e, a volte, la propria rassegnazione in maniera quanto mai efficace e, a volte, solo "parlando" con gli occhi.
Da non perdere assolutamente, ma non per tutti.
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enrico danelli
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sabato 21 novembre 2015
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un film individualista sul valore della famiglia
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La storia personale dei tre individui (un uomo, una donna e una bambina) non è per nulla scontata: tre estranei si trovano sulla stessa "barca" di disperati e per necessità uniscono i loro sforzi. La barca non è solo quella fisica, reale, tristemente nota alle cronache di ogni giorno: le sgangherate carrette del mare con cui migliaia di profughi raggiungono le coste europee. La barca che costringe i tre a unire i loro sforzi è il mondo di violenza e sopraffazione con cui ci si deve confrontare anche in Europa se si vive in un quartiere degradato. La pragmatica convenienza di apparire una vera famiglia lascia man mano spazio ai sentimenti di amore e comprensione che si instaurano fra i tre.
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La storia personale dei tre individui (un uomo, una donna e una bambina) non è per nulla scontata: tre estranei si trovano sulla stessa "barca" di disperati e per necessità uniscono i loro sforzi. La barca non è solo quella fisica, reale, tristemente nota alle cronache di ogni giorno: le sgangherate carrette del mare con cui migliaia di profughi raggiungono le coste europee. La barca che costringe i tre a unire i loro sforzi è il mondo di violenza e sopraffazione con cui ci si deve confrontare anche in Europa se si vive in un quartiere degradato. La pragmatica convenienza di apparire una vera famiglia lascia man mano spazio ai sentimenti di amore e comprensione che si instaurano fra i tre. Soprattutto Dheepan, il finto padre, acquisisce man mano coscienza della sua responsabilità verso le due donne che il destino gli ha affidato e il lieto fine del fim è un giusto premio alla sua pietas. Con ciò emerge prepotente il valore e la naturalità della famiglia (tessuto di reciproche responsabilità oltre che di affetti) che in altri film, pur specifici sul tema, non viene nemmeno svolto. Sarebbe per questo aspetto un ottimo film.
Se però il film vuole essere uno componimento sul tema "immigrazione in Europa" mi sembra fallisca miseramente: l'integrazione e le agevolazioni statali al povero Deephan vengono offerte (un lavoro di tutto rispetto, una casa arredata). Nessuno gli volta la faccia per la sua pelle scura. I disagi gli derivano a causa del quartiere in cui viene messo ad abitare e lavorare più per colpa di alcuni delinquenti di casa nostra (il boss del quartiere è fracese d.o.c.) che per altro. In altre parole la vicenda poteva benssimo essere sganciata da qualsiasi tematica sull'iimmigrazione e/o integrazione. In questo il film tradisce ampiamente le aspettative.
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nerone bianchi
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lunedì 2 novembre 2015
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semplice e complesso
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Dopo tre inquadrature siamo già nella vicenda e ci restiamo fino alla fine, senza difficoltà, con attenzione e piacere. Il dramma dell'emigrazione viene questa volta raccontato da dentro, come se la macchina da presa fosse negli occhi dei tre protagonisti, di quell'improbabile famiglia inventata per fuggire da un paese in guerra, dalla morte, dalla paura e dalla povertà. La vicenda della finta famiglia viene mostrata in tutta la sua irreale difficoltà, fin nei risvolti più quotidiani, senza mai mollare quel filo di attenzione e di empatia che subito si era creato. Siamo al fianco dei tre disgraziati, vogliamo che dopo tanto peregrinare e sofferenza abbiamo uno spazio di serenità, lo stesso che la vita alla periferia della capitale francese non riesce a concedere loro.
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Dopo tre inquadrature siamo già nella vicenda e ci restiamo fino alla fine, senza difficoltà, con attenzione e piacere. Il dramma dell'emigrazione viene questa volta raccontato da dentro, come se la macchina da presa fosse negli occhi dei tre protagonisti, di quell'improbabile famiglia inventata per fuggire da un paese in guerra, dalla morte, dalla paura e dalla povertà. La vicenda della finta famiglia viene mostrata in tutta la sua irreale difficoltà, fin nei risvolti più quotidiani, senza mai mollare quel filo di attenzione e di empatia che subito si era creato. Siamo al fianco dei tre disgraziati, vogliamo che dopo tanto peregrinare e sofferenza abbiamo uno spazio di serenità, lo stesso che la vita alla periferia della capitale francese non riesce a concedere loro. Ci piace che alla fine quell'accozzaglia di tre persone, mutuatesi per necessità, si trasformi, come nella più bella delle favole, in una famiglia vera e che la nascita di un loro figlio colori di speranza tutta l'umanità che soffre e che combatte per affermare il proprio diritto a vivere su questo pianeta. Un film semplice e complesso, raccontato con grande maestria e senso dell'attenzione.
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francesco2
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mercoledì 4 novembre 2015
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corpi (e)stran(e)i
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Com'era prevedibile, gli ammiratori dell'elogiatissimo "Profeta", ma forse non solo loro, hanno trovato questo un Audiard minore. Su alcune considerazioni, anche chi scrive si trova d'accordo: il finale discutibile, un'incisività non sempre presente. Ma resta, tra le altre, una chiave di lettura che potrebbe aiutarci a capire meglio
"Dhepaan". Vederlo come un film sui migranti e sui loro CORPI ESTRANEI.
Riflettiamoci un attimo. Già in "Sulle mie labbra" il corpo della Devos era menomato, e lui parlava di una diversa senza scivolare nel pietismo e/o nel politicamente corretto.
Ancora più radicale, possibilmente, diventava il discorso in "Un sapore di", dove -se non ricordo male- bisognava rieducare un corpo ed, al contempo, vivere una storia d'amore.
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Com'era prevedibile, gli ammiratori dell'elogiatissimo "Profeta", ma forse non solo loro, hanno trovato questo un Audiard minore. Su alcune considerazioni, anche chi scrive si trova d'accordo: il finale discutibile, un'incisività non sempre presente. Ma resta, tra le altre, una chiave di lettura che potrebbe aiutarci a capire meglio
"Dhepaan". Vederlo come un film sui migranti e sui loro CORPI ESTRANEI.
Riflettiamoci un attimo. Già in "Sulle mie labbra" il corpo della Devos era menomato, e lui parlava di una diversa senza scivolare nel pietismo e/o nel politicamente corretto.
Ancora più radicale, possibilmente, diventava il discorso in "Un sapore di", dove -se non ricordo male- bisognava rieducare un corpo ed, al contempo, vivere una storia d'amore.
In fondo i corpi dei protagonisti di "Dheepan" sono anch'essi estraniati, perché hanno dovuto allontanarsi dalla terra d'origine ed, al contempo, dalla propria identità, per ricominciare una nuova vita. Allora non hanno subito una menomazione fisica, ma psicologica si.
Se vogliamo soffermarci sul lavoro che Audiard ha compiuto sui corpi, possiamo considerare le scene dove la protagonista sostiene di vedere quasi un film, vedendo chi si muova fuori dalle tende, o anche come il loro "essere fisico" venga contemplato dopo la scena dell'aggressione;.E'inspiegabile, in quel caso, come chi l'abbia commessa si fosse estraniato psicologicamente dal suo corpo, probabilmente perché -Molto banale- crede di avere subito una violenza psicologica nel senso di sradicamento.
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robert eroica
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sabato 7 novembre 2015
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dheepan - una nuova vita
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“Deephan” palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes affronta il tema del flusso immigratorio da una prospettiva laterale e colpisce nel segno contaminando il dramma sociale con il thriller urbano e il tema sempre efficace della giustizia privata. Audiard, un regista che sa il fatto suo e ha già firmato opere importanti come “Sulle mie labbra” e “Il profeta”, questa volta ambienta la storia della conquista di un territorio nelle banlieu francesi, dove una famiglia “di fatto”, fuggita sotto falso nome dalla guerra in Sri Lanka, si trova a vivere in un quartiere spettrale e pericolosissimo, controllato da cima a piedi dai trafficanti di droga. Deephan, la tigre che nella vita precedente combatteva senza pietà, è ora un guardiano pacifico a cui si tiene attaccata una giovane donna e una bambina di nove anni a cui giocoforza deve anche fare da padre.
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“Deephan” palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes affronta il tema del flusso immigratorio da una prospettiva laterale e colpisce nel segno contaminando il dramma sociale con il thriller urbano e il tema sempre efficace della giustizia privata. Audiard, un regista che sa il fatto suo e ha già firmato opere importanti come “Sulle mie labbra” e “Il profeta”, questa volta ambienta la storia della conquista di un territorio nelle banlieu francesi, dove una famiglia “di fatto”, fuggita sotto falso nome dalla guerra in Sri Lanka, si trova a vivere in un quartiere spettrale e pericolosissimo, controllato da cima a piedi dai trafficanti di droga. Deephan, la tigre che nella vita precedente combatteva senza pietà, è ora un guardiano pacifico a cui si tiene attaccata una giovane donna e una bambina di nove anni a cui giocoforza deve anche fare da padre. Ma quando un teppista del posto si intromette nella sua vita dettando nuove regole e nuove imposizioni, tornerà ad essere il guerriero sanguinario e vendicativo, che nei sogni torna a desiderare la bellezza dell’elefante. Non sarà un film innovativo “Deephan” ma potente ed efficace lo è di sicuro: le sequenze hanno il taglio immediato della vita in diretta, in cui a prevalere sono i primi piani e c’è spazio solo per l’azione. A parlare, come in Rossellini, sono i fatti, anzi i gesti. E la psicologia e il giudizio sono fermi sulla soglia, ma non la oltrepassano mai. Il crescendo finale è incalzante come la musica di Ravel e scompaginando le aspettative di chi guarda, cita la sequenza conclusiva di “Taxi Driver” e va oltre. Poi forse l’Inghilterra è una fuga di carta, o forse l’elefante che ha trovato una strana pace. VOTO: 8
Robert Eroica
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miguel angel tarditti
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domenica 25 ottobre 2015
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cambiar de vida es un acto de coraje.
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Buscamos la felicidad. Buscamos legítimamente no sufrir.
“Dheepan, una nueva vida”, de Jacques Audiard.
Film francés, 2015.
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Buscamos la felicidad. Buscamos legítimamente no sufrir.
“Dheepan, una nueva vida”, de Jacques Audiard.
Film francés, 2015.
Naturalmente, genéticamente buscamos la felicidad.
La felicidad es el bien, el estar bien con nosotros mismos.
“El bien es esa cosa que todos deseamos” decia Sant’Agostino.
“La felicidad es un bien que todos buscamos, es un fin en sí misma”, decía Aristóteles.
Conseguirla depende de nuestra voluntad ya que es nuestro poder.
Querer, poder, luchar por.
Cada uno con su capacidad para afrontar la lucha en pos de ese estado que parece ser negado gratuitamente al hombre.
La felicidad es como un objetivo tan ideal, tan abstracto, que por eso se nos hace imposible. Ponemos el objetivo demasiado alto y no podemos detectarla, quizás, en el desayuno que nos promete el nuevo día.
El tema es que el concepto de felicidad tiene diversas explicaciones y es singular para cada individuo.
Para algunos es alcanzar el amor. Para algunos es alcanzar la riqueza.
Para algunos es resolver un miedo. Para algunos es alcanzar la fama.
Para algunos es alcanzar el honor. Para algunos es escapar del horror.
Dheepan quiere escapar del horror de la guerra de su pais, Sri Lanka en Asia meridional.
Y para escapar deberá tener “legalmente” una mujer, y tener además una hija. En la emergencia del confín remediarán una solución familiar.
Y seràn tres en complicidad vital. Serán tres fugitivos del horror de esa guerra, para entrar, sorprendente e inesperadamente, en otro tipo de guerra en una Europa convulsionada, en la híper modernidad de la Francia.
Una guerra de supervivencia en una cultura que los desculturaliza, que los agrede, que les provoca los mismos miedos y terrores que la guerra de la que escapan.
No hablar el idioma del lugar, por ejemplo es terrible.
No entender lo que te gritan o lo que sucede en torno, es demoledor.
Ser perseguidos por la policía por vender chucherías chinas por ejemplo, correr, esconderse como ladrones, no debe ser mucho más relajante que el ruido de las metrallas, imagino.
Caer en submundos de precariedad ambiental o de riesgo de mala vita, no se aproxima a la felicidad, por cierto.
Vemos a diario en este tiempo, morir en alta mar, miles de fugitivos que escapan a precarios sub-mundos de supervivencia, donde las tiranías, el hambre, la falta de trabajo, las guerras, hacen imposible vivir, sentirse bien.
De toda esa lucha por lograr un cambio de vida que se parezca a la felicidad habla este film.
Intenso, crudo, visceral, dramàtico, por momentos angustiante, pero verdadero, y de una realizaciòn inteligente y eficàz.
Excelentes los actores que son indianos y no del Actor Studio Usa.
Una denuncia al desencuentro y degrado que reina en nuestras sociedades modernas. Sociedades que en todo sentido parecen querer boicotear el derecho inalienabile del hombre: ser feliz!
Menos mal que como regalo adicional, “Dheepan, una nueva vida”,
nos platea una curiosidad positiva que tiene que ver con otro sentimiento fundamental del ser humano: el Amor.
El film de Audiard, propone o sugiere, que el amor no siempre nace de relaciones románticas de telenovelas de plástico, puede surgir de la comprensión, de la experiencia difícil vivida junto al otro, que como en este caso, es experiencia realizada entre balas y miserias, entre maltrato y corrupción, entre metrallas, fogonazos y bombas.
Bello film francés, que como se dice en italiano “non è una passeggiata”, pero que es necesario para comprender un poco más, a esos emigrados de color que hoy venden carteras, anteojos, baratijas chinas, en nuestras ciudades, y que desde el borde de la vereda, con excelente educación, nos miran pidiéndonos ser ayudados en su lucha por lograr el negado bienestar. (O felicidad).
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