alessandra hendrix
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domenica 25 settembre 2011
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un film audace e sorprendente
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Inquietante,conturbante e sconcertante al tempo stesso, "La pelle che abito" si rivela un cocktail di depravazione e genialità incisivo e ben fatto,che sciocca e sorprende tra follia e perversione. Ottima la performarce di Banderas, che dopo "Atame", si ritrova ancora una volta in preda ad un autentico delirio di potere e alla pazzia più totale e incontrollata. Rapimenti,tradimenti,stupri,tragici incidenti,suicidi,inaspettati cambiamenti di sesso,amori morbosi,follia,omicidi e bugie: sembra non mancare proprio nulla alla pellicola di Almodòvar, che pur affrontando così tanti temi non ne fa una cozzaglia noiosa e pacchiana ma un puzzle ben costruito dove ogni tassello contribuisce all'armonia di un film ardito ed elegante.
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Inquietante,conturbante e sconcertante al tempo stesso, "La pelle che abito" si rivela un cocktail di depravazione e genialità incisivo e ben fatto,che sciocca e sorprende tra follia e perversione. Ottima la performarce di Banderas, che dopo "Atame", si ritrova ancora una volta in preda ad un autentico delirio di potere e alla pazzia più totale e incontrollata. Rapimenti,tradimenti,stupri,tragici incidenti,suicidi,inaspettati cambiamenti di sesso,amori morbosi,follia,omicidi e bugie: sembra non mancare proprio nulla alla pellicola di Almodòvar, che pur affrontando così tanti temi non ne fa una cozzaglia noiosa e pacchiana ma un puzzle ben costruito dove ogni tassello contribuisce all'armonia di un film ardito ed elegante. Non fa rimpiangere l'assente Penelope Cruz la squisita Elena Anaya, delicata e composta ma ugualmente affranta nella silenziosa disperazione di una tragica agonia. Splendida prova per l'insostituibile Marisa Paredes, da segnalare l'apparizione dell'immancabile José Luis Gomez. Si difende bene l'emergente Jan Cornet, nel ruolo del giovane Vicente, rapito e torturato per redimersi da uno stupro che non ha mai commesso, trasformato da Banderas nella bellissima Anaya dopo anni di estenuanti operazioni e brutali esperimenti.
Almodòvar stupisce ancora e non delude con un film indubbiamente destinato a far parlare di sè. Audace.
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(di riccardo76)
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(di mcflay)
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[+] almodovar rinnovato ma sempre geniale
(di pino f)
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never_fear
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sabato 24 settembre 2011
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almodòvar cambia solo pelle
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Almodòvar non disconferma affatto il suo stile. La Piel que habito rappresenta un ben riuscito cambiamento di "genere" ma i temi sono rigidamente mantenuti: la trasformazione, l'amore in ogni sua forma, la maternità deviata e distruttiva; la tenacia dei protagonisti incarcerati in ruoli che sanno incarnare-vestire alla perfezione.
Anche questa volta è più di un film, è un omaggio al cinema. Come James Steward trasforma Kim Novak in Vertigo, Robert(Banderas) plasma la sua creatura con amorevole perversione e la osserva attraverso gli stessi schermi di The Truman show (Peter Weir). Schermi che diventano un veicolo di seduzione. Vera (Elena Anaya), armata dello sguardo, ricorda la Jeanne Moreau vendicatrice de La mariée était en noir (Truffaut).
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Almodòvar non disconferma affatto il suo stile. La Piel que habito rappresenta un ben riuscito cambiamento di "genere" ma i temi sono rigidamente mantenuti: la trasformazione, l'amore in ogni sua forma, la maternità deviata e distruttiva; la tenacia dei protagonisti incarcerati in ruoli che sanno incarnare-vestire alla perfezione.
Anche questa volta è più di un film, è un omaggio al cinema. Come James Steward trasforma Kim Novak in Vertigo, Robert(Banderas) plasma la sua creatura con amorevole perversione e la osserva attraverso gli stessi schermi di The Truman show (Peter Weir). Schermi che diventano un veicolo di seduzione. Vera (Elena Anaya), armata dello sguardo, ricorda la Jeanne Moreau vendicatrice de La mariée était en noir (Truffaut). Ma la sua non è una vendetta, è una sana ostinazione, è l'amore per la libertà.
Marmoreo il volto di Banderas che comunque non perde di espressività. Magistrale anche questa volta la Paredes-madre nel ruolo che sembra aver iniziato nell'ultima scena di teatro in Todo sobre mi madre. Pienamente all'altezza dei loro ruoli Anaya e Cornet.
Un'opera completa, un triller che non ha bisogno di ombre e sangue per mantenere lo spettatore in perenne tensione. Un cinema autentico che vive di una realtà propria e che "anticipa la scienza" (P. Almodòvar).
Meritatamente premiata la fotografia. Molto bella la colonna sonora.
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blackredblues
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sabato 10 marzo 2012
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fece una palla di pelle di pollo...
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Almodovar non è tra i miei registi del cuore, questo va detto. Al di là dei contenuti che veicola tramite i suoi film, non amo la sua composizione dell'immagine, non amo le sue inquadrature che trovo datate e da telefilm . Non amo le musiche che commentano le sue immagini. Premesso ciò sono stato incuriosito nel vedere il film in questione da un commento di una mia collega che mi disse una cosa tipo: "E' il film più perverso che abbia visto fin ora!" A parte il fatto che un asserto simile dice molte di più cose su chi l'ha proferito rispetto all'oggetto del commento, ho deciso di "toccare con occhio".
La storia è quella di un abuso (o tentato abuso) della figlia di un noto chirurgo plastico che già di suo pare essere affetta da gravi problemi psichici.
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Almodovar non è tra i miei registi del cuore, questo va detto. Al di là dei contenuti che veicola tramite i suoi film, non amo la sua composizione dell'immagine, non amo le sue inquadrature che trovo datate e da telefilm . Non amo le musiche che commentano le sue immagini. Premesso ciò sono stato incuriosito nel vedere il film in questione da un commento di una mia collega che mi disse una cosa tipo: "E' il film più perverso che abbia visto fin ora!" A parte il fatto che un asserto simile dice molte di più cose su chi l'ha proferito rispetto all'oggetto del commento, ho deciso di "toccare con occhio".
La storia è quella di un abuso (o tentato abuso) della figlia di un noto chirurgo plastico che già di suo pare essere affetta da gravi problemi psichici. Tale evento sembra darle il colpo di grazia e così si suicida. Il padre distrutto dal dolore per la perdita della figlia (e della moglie avvenuta qualche anno prima in seguito a un incidente automobilistico) decide di vendicare la figlia infierendo sul suo aggressore con una tecnica molto particolare...
Non ho trovato il film particolarmente disturbante o fastidioso (effetto che ebbe sulla mia collega che citavo poco prima) ma in compenso l'ho trovato cavilloso, raffazzonato nelle implicazioni psicologiche e nei comportamenti, molto grossolano insomma. Sì ha la costante impressione di essere in balia delle idee strampalate del regista (ben vengano le idee strampalate non equivochiamo!) ma senza un elevare ciò ad un piano artistico/poetico emozionalmente condivisibile. I temi trattatti sono triti e ritriti e, a parte l'ideona di vedere il cambio di sesso come strumento punitivo, non ci ho visto molto altro.
Il dipanarsi dei legami affettivi e parentali è molto da Beautiful (nel senso peggiore del termine) con governanti che si rivelano essere madri, fratelli divisi alla nascita che tradiscono con mogli annoiate, c'è molto di tutto ciò.
Il film aiuta ad interrogarsi sull'etica della trasformazione tramite la chirurgia plastica? Non credo, per interrogarsi bisognerebbe smettere di parlarne in modo così banale. Aiuta nel riflettere sulle conseguenze della psicopatologia e della violenza sessuale? Non credo, è troppo superficiale la trattazione dei temi in questione. Il film aiuta nel suo impianto estremamente innovativo e ambivalente ad approntare una riflessione senza facili giudizi? Non credo, come dicevo poco sopra è macchinoso e cavilloso anche nel cercare di mantenersi super partes. Visto che nell'ultima riga ho usato un'espressione latina vorrei concludere mantenendo la medesima scelta linguistica: cui prodest?!
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[+] almodòvar ad uso della plebe?
(di bronteion)
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viola96
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sabato 24 settembre 2011
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quanto è divo almodòvar a cambiar pelle.
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Sia maledetta la critica mondiale,troppo attaccata al passato di un autore per apprezzare anche la sua modernità.Come successo a Woody Allen,massacrato pesantemente per il discreto "Incontrerai l'uomo dei sogni",così succede al grande Almodòvar.Dopo il sottovalutatissimo "Gli abbracci spezzati",che difendemmo in pochissimi,Pedro sforna questo "La pelle che abito",interessante melodramma a tinte thriller,che cerca di riscrivere esattamente la forma del cinema del suo autore.Presentato in concorso a Cannes,"La pelle che abito" non è il miglior film del presente del pluripremiato regista spagnolo,ma è probabilmente quello che delinea il suo massimo tocco auto-referenziale.
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Sia maledetta la critica mondiale,troppo attaccata al passato di un autore per apprezzare anche la sua modernità.Come successo a Woody Allen,massacrato pesantemente per il discreto "Incontrerai l'uomo dei sogni",così succede al grande Almodòvar.Dopo il sottovalutatissimo "Gli abbracci spezzati",che difendemmo in pochissimi,Pedro sforna questo "La pelle che abito",interessante melodramma a tinte thriller,che cerca di riscrivere esattamente la forma del cinema del suo autore.Presentato in concorso a Cannes,"La pelle che abito" non è il miglior film del presente del pluripremiato regista spagnolo,ma è probabilmente quello che delinea il suo massimo tocco auto-referenziale.Probabilmente sono io ad essere troppo nostalgico,ma mi viene difficile non ricrearmi e rispecchiarmi nel nuovo cinema almodòvariano,che non guarda più alla saggistica dell'azione,ma riscrive la forma in sè del suo cinema."La pelle che abito" è un film destinato a dividere eternamente:Da una parti i fan del vecchio Almodòvar,delusi da questo suo cambio di rotta improvviso;Dall'altro altri fan di Almodòvar,che vedono il loro autore cambiare pelle automaticamente e diventare meno cinico del solito e più pulito nello stile.In "La pelle che abito" c'è un Banderas chirurgo imperdibile,Robert Ledgard,che è rimasto vedovo a causa della carbonizzazione della moglie.Da allora è alla completa ricerca di una nuova pelle meccanica,che sostituisca quella reale e diventi una nuova pelle,molto più resistente,e che sarebbe stata capace di salvare la moglie.L'eco dei vari film anni 40-50("Occhi senza volto"),al cinema almodòvariano degli anni d'oro e soprattutto all'ottimo "Tutto su mia madre".Probabilmente Almodòvar non si trova a suo agio nel cercare di realizzare figure chirurgicamente perfette,quando si tratta di uomini.Pur essendo omosessuale,riesce a ricreare l'immagine di donne forti e attive,sempre sull'orlo di una crisi di nervi,alla ricerca sfrenata della sessualità e alla voglia eterna di vivere in eterno."La pelle che abito" è terribilmente kitch e scioccante,che riesce a comprendersi e auto-commiserarsi,nell'eterno mito dell'irraggiungibile forma perfetta,alla sfrenata ricerca della percezione extrasensoriale,verso la celebrazione del corpo,del sesso,della vita.L'atmosfera del film si divide tra Lang,Hitchkock e continui richiami al cinema di Raoul Ruiz,recentemente scomparso,con una lineare equazione(se qualcuno mi aiutasse a risolverla....eheh),di puro interesse filosofico che riesce nella sua cultura ed intelligenza a sfidare la critica e le convenzioni di genere.La figura del chirurgo,un pò pazzo,in stile professor Frankenstein,incarnata particolarmente bene da un mutante Antonio Banderas,riesce perfettamente a riclamare il clima di apparente noia profonda.Poi la storia si dilunga un pò troppo e l'intrigo si assottiglia,ma ormai il meglio Almodòvar l'ha fatto.Stavolta,anche stavolta,il grande regista spagnolo si conferma uno dei migliori talenti del cinema europeo contemporaneo,che riesce a catturare lo schermo,perfino quando cambia pelle,come in questo caso.E prevedo,come per "Gli abbracci spezzati" discussioni e macelli,tra critica e sinceri appassionati.Perchè c'è chi Almodòvar lo ama,chi lo odia,chi ne viene deluso.E poi c'è chi si adegua al film,guardandolo non come un altro passo nella carriera del regista,ma come un film a sè.Ed è per questo che Almodòvar resterà uno dei più grandi,forse il più grande a cambiare costantemente pelle.
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linus2k
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venerdì 27 gennaio 2012
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...quel capolavoro non raggiunto...
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Un noir grottesco che rivive del mito mai tramontato di Frankestein. Ecco cos'è "La piel que habito", ultimo film di Pedro Almodovar. Storia di una vendetta, di un chirurgo folle che punisce colui che, stuprando sua figlia, ne ha causato la follia ed il suicidio... e si vendica trasformandolo in donna... ma non tutto va come aveva calcolato.
La storia si muove su diversi piani temporali e cambi repentini di diversi punti di vista. Tutto si muove con precisione in un meccanismo perfetto dal punto di vista narrativo e recitativo.
Una splendida Elena Ananya cattura ed affascina, Antonio Banderas stupisce in una tesa e misuratissima interpretazione del chirurgo.
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Un noir grottesco che rivive del mito mai tramontato di Frankestein. Ecco cos'è "La piel que habito", ultimo film di Pedro Almodovar. Storia di una vendetta, di un chirurgo folle che punisce colui che, stuprando sua figlia, ne ha causato la follia ed il suicidio... e si vendica trasformandolo in donna... ma non tutto va come aveva calcolato.
La storia si muove su diversi piani temporali e cambi repentini di diversi punti di vista. Tutto si muove con precisione in un meccanismo perfetto dal punto di vista narrativo e recitativo.
Una splendida Elena Ananya cattura ed affascina, Antonio Banderas stupisce in una tesa e misuratissima interpretazione del chirurgo. Impreziosisce il tutto uno splendido cameo della meravigliosa (come sempre d'altronde) Marisa Paredes, intensa e convincente.
Cosa dire se non che il film è praticamente perfetto ed Almodovar si conferma per l'ennesima volta uno dei massimi registi attualmente al mondo, capace di narrare, affascinare, stupire e realizzare un prodotto che arriva quasi alla maniacale e manieristica ricerca della perfezione narrativa ed espressiva.
Il tema, grottesco e probabilmente in mani inesperte avrebbe rischiato di essere poco convincente, riesce ad essere misurato ed equilibrato, ed il regista riesce anche ad inserire un elemento più di colore e, in un certo senso, "vecchia maniera" come il personaggio di Zeca, violento, sessuomane, travestito da tigre, senza scadere.
A pagare in tutto questo è forse la capacità di emozionare, di rendere partecipe lo spettatore, oltre che alla trama ed alla storia, anche al dramma dei personaggi, alla componente più puramente emotiva, che, a mio avviso, ha fatto la differenza in film come "Volver" e "Todo sobra mi madre"; quella stessa freddezza presente nel precedente film "Los Abrazos Rotos", che ti lascia alla fine del film un certo senso di distacco.
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graziellamazzoni
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lunedì 10 ottobre 2011
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la poetica di almodovar
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Il primo spettacolo è finito. Il film di Pedro Almodòvar, proiettato in una piccola sala, attrae meno di quello di Salemme (nella sala grande). Incrocio sulle scale un uomo sulla sessantina, capelli bianchi e occhialini di metallo, che mi guarda dicendo: "scuote". E’ cosi. Il film di Almodòvar "La pelle che abito" è un film che scuote. Perché la trama non è lineare, lontana dai classici criteri spazio-temporali, scorre intensamente tra il grottesco e il drammatico, in un susseguirsi di scene di ambiguità e di angoscia. Antonio Banderas recita con una maschera fissa, un automa, lui stesso già clone di un altro, la parte di uno chirurgo che dopo aver perso la moglie, rimasta carbonizzata in un incidente, s’impegna a costruire una pelle in laboratorio più resistente di quella umana.
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Il primo spettacolo è finito. Il film di Pedro Almodòvar, proiettato in una piccola sala, attrae meno di quello di Salemme (nella sala grande). Incrocio sulle scale un uomo sulla sessantina, capelli bianchi e occhialini di metallo, che mi guarda dicendo: "scuote". E’ cosi. Il film di Almodòvar "La pelle che abito" è un film che scuote. Perché la trama non è lineare, lontana dai classici criteri spazio-temporali, scorre intensamente tra il grottesco e il drammatico, in un susseguirsi di scene di ambiguità e di angoscia. Antonio Banderas recita con una maschera fissa, un automa, lui stesso già clone di un altro, la parte di uno chirurgo che dopo aver perso la moglie, rimasta carbonizzata in un incidente, s’impegna a costruire una pelle in laboratorio più resistente di quella umana. Il primo tempo scorre così, velato, misterioso, sfuggente. E nell’intervallo ognuno cerca di riordinare le idee, di trovare un filo che colleghi le varie scene. E mentre il pensiero decanta illudendoti di portarti a una verità, inizia il secondo tempo e i pezzi folli e disordinati raggiungono il loro posto naturale e il disegno appare, lentamente, sempre meno sfocato. Allora riconosci quello che ricordavi della “poetica" di Almòdovar: madri con segreti inconfessabili, corpi con identità diverse da quello che appaiono, uomini che sembrano donne, donne che sembrano uomini, ambienti raffinati e ricercati con repentini cambiamenti di stile (l’uomo tigre), legami affettivi al limite della patologia. E poi gli sguardi in primo piano, cosi profondi ma anche inespressivi, lo scivolare della telecamera su particolari apparentemente inutili (i tasti di un sassofono), i continui richiami all’arte figurativa. I titoli di coda scorrono su un fondo con un elica di dna che gira su stessa, e su gente, ancora al buio, che riflette, che si sente scossa, turbata, scombussolata da una realtà cosi surreale e in fondo cosi umana.
www.graziellamazzoni2.blogspot.com
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never_fear
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sabato 24 settembre 2011
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almodòvar cambia solo pelle
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Almodòvar non disconferma affatto il suo stile. La Piel que habito rappresenta un ben riuscito cambiamento di "genere" ma i temi sono rigidamente mantenuti: la trasformazione, l'amore in ogni sua forma, la maternità deviata e distruttiva; la tenacia dei protagonisti incarcerati in ruoli che sanno incarnare-vestire alla perfezione.
Anche questa volta è più di un film, è un omaggio al cinema. Come James Steward trasforma Kim Novak in Vertigo, Robert (Banderas) plasma la sua creatura con amorevole perversione e la osserva attraverso gli stessi schermi di The Truman show (Peter Weir). Schermi che diventano un veicolo di seduzione.
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Almodòvar non disconferma affatto il suo stile. La Piel que habito rappresenta un ben riuscito cambiamento di "genere" ma i temi sono rigidamente mantenuti: la trasformazione, l'amore in ogni sua forma, la maternità deviata e distruttiva; la tenacia dei protagonisti incarcerati in ruoli che sanno incarnare-vestire alla perfezione.
Anche questa volta è più di un film, è un omaggio al cinema. Come James Steward trasforma Kim Novak in Vertigo, Robert (Banderas) plasma la sua creatura con amorevole perversione e la osserva attraverso gli stessi schermi di The Truman show (Peter Weir). Schermi che diventano un veicolo di seduzione. Vera (Elena Anaya), armata dello sguardo, ricorda la Jeanne Moreau vendicatrice de La mariée était en noir (Truffaut). Ma la sua non è una vendetta, è una sana ostinazione, è l'amore per la libertà.
Marmoreo il volto di Banderas che comunque non perde di espressività. Magistrale anche questa volta la Paredes-madre nel ruolo che sembra aver iniziato nell'ultima scena di teatro in Todo sobre mi madre. Pienamente all'altezza dei loro ruoli Anaya e Cornet.
Un'opera completa, un triller che non ha bisogno di ombre e sangue per mantenere lo spettatore in perenne tensione. Un cinema autentico che vive di una realtà propria e che "anticipa la scienza" (P. Almodòvar).
Meritatamente premiata la fotografia. Splendida la colonna sonora
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andyzerosettesette
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domenica 2 ottobre 2011
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dilemmi bioetici per un almodovar "freddo"
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L'ossessione contemporanea per la perfezione estetica, il superamento del confine "sacro" fra naturale e artificiale, il rapporto controverso con un corpo che non si accetta ma in cui si è imprigionati, la difficoltà di affrontare un lutto, la malattia mentale, la vendetta: questi alcuni dei temi, impagnativi, che Almodovar combina in modo originale in un melodramma dall'intreccio ben dipanato, dai toni e dall'atmosfera volutamente "fredda" (e dunque poco "almodovariana"), e dal genere più noir che tendente all'horror (come invece è stato singolarmente etichettato La pelle che abito da molti mass media italiani).
In estrema sintesi, senza rivelare nulla di specifico perchè i numerosi colpi di scena possono rendere poco piacevole conoscere prima della visione i particolari della trama, e perchè già hanno rivelato tutto i critici di professione, è la storia di un chirurgo estetico di successo (un Antonio Banderas molto bravo anche in un ruolo "algido") che, distrutto da drammi che hanno colpito le persone a lui più care, sublima il dolore trasformandolo in energia creativa al servizio della scienza, e si dedica in segreto a un suo progetto personale che mescola vendetta e delirio di onnipotenza, non sempre riuscendo a controllarne gli esiti pericolosi.
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L'ossessione contemporanea per la perfezione estetica, il superamento del confine "sacro" fra naturale e artificiale, il rapporto controverso con un corpo che non si accetta ma in cui si è imprigionati, la difficoltà di affrontare un lutto, la malattia mentale, la vendetta: questi alcuni dei temi, impagnativi, che Almodovar combina in modo originale in un melodramma dall'intreccio ben dipanato, dai toni e dall'atmosfera volutamente "fredda" (e dunque poco "almodovariana"), e dal genere più noir che tendente all'horror (come invece è stato singolarmente etichettato La pelle che abito da molti mass media italiani).
In estrema sintesi, senza rivelare nulla di specifico perchè i numerosi colpi di scena possono rendere poco piacevole conoscere prima della visione i particolari della trama, e perchè già hanno rivelato tutto i critici di professione, è la storia di un chirurgo estetico di successo (un Antonio Banderas molto bravo anche in un ruolo "algido") che, distrutto da drammi che hanno colpito le persone a lui più care, sublima il dolore trasformandolo in energia creativa al servizio della scienza, e si dedica in segreto a un suo progetto personale che mescola vendetta e delirio di onnipotenza, non sempre riuscendo a controllarne gli esiti pericolosi.
Il taglio della storia sembra avere poco a che fare con i più recenti film del regista spagnolo, ma a ben vedere non è difficile riconoscere alcune suoi argomenti ricorrenti : un grave incidente, spesso stradale, come "motore" dell'azione e causa di un cambiamento traumatico, c'è negli Abbracci Spezzati, in Tutto su mia madre e in misura anche maggiore in Parla con lei, l'elaborazione del lutto è alla base di Tutto su mia madre e soprattutto i legami familiari complessi che si portano dietro un carico di amore e di dolore compaiono in Volver, in Tutto su mia madre e in qualche misura negli Abbracci Spezzati. Qui si aggiunge da parte del regista la probabile ambizione di toccare anche temi meno "intimisti", spostandosi su dilemmi in qualche modo etici di carattere generale: il dubbio, alla base di molti film e romanzi degli ultimi decenni, su dove possa spingersi l'ambizione umana di creare la vita, scavalcare i limiti fisici attraverso la scienza, modellare i corpi, dimenticando magari gli effetti sulle menti e sulle anime.
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annamaria vergara
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mercoledì 5 ottobre 2011
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grottesco sì, ma eccellente
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L'esteriorità è solamente un abito. Spesso si sceglie un bell'abito per sopperire ad una mancanza interiore, ma non è il caso trattato in questa stupefacente pellicola di Almodovar. Il ragazzo è stato - contro sua volontà, sottoposto ad un cambiamento radicale della sua esteriorità che col passare degli anni lo ha portato ad accettarla, a conviverci, ma solo esteriormente e questo è palesemente dimostrato dal fatto che continuasse a disegnare sul muro il corpo di una donna la cui testa era stata imprigionata in una casa; una metafora, questa, che lascia spazio a diverse interpretazioni, e che a mio avviso si potrebbe tradurre in: un cervello e un'anima di uomo costretti in un corpo di una donna, e per quanto quel corpo perfetto abbia represso la mascolinità del protagonista, non è certamente stato lo stesso per ciò che davvero Vicente era: nient'altro che un uomo che ha affondato le radici nel suo essere per sopravvivere in un contesto (interiore ed esteriore) che non gli apparteneva e il finale è stato magistrale, per quanto un pizzico scontato, ma complicare ulteriormente l'intreccio della trama avrebbe - secondo me, reso il film eccessivo sotto ogni aspetto.
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L'esteriorità è solamente un abito. Spesso si sceglie un bell'abito per sopperire ad una mancanza interiore, ma non è il caso trattato in questa stupefacente pellicola di Almodovar. Il ragazzo è stato - contro sua volontà, sottoposto ad un cambiamento radicale della sua esteriorità che col passare degli anni lo ha portato ad accettarla, a conviverci, ma solo esteriormente e questo è palesemente dimostrato dal fatto che continuasse a disegnare sul muro il corpo di una donna la cui testa era stata imprigionata in una casa; una metafora, questa, che lascia spazio a diverse interpretazioni, e che a mio avviso si potrebbe tradurre in: un cervello e un'anima di uomo costretti in un corpo di una donna, e per quanto quel corpo perfetto abbia represso la mascolinità del protagonista, non è certamente stato lo stesso per ciò che davvero Vicente era: nient'altro che un uomo che ha affondato le radici nel suo essere per sopravvivere in un contesto (interiore ed esteriore) che non gli apparteneva e il finale è stato magistrale, per quanto un pizzico scontato, ma complicare ulteriormente l'intreccio della trama avrebbe - secondo me, reso il film eccessivo sotto ogni aspetto. L'ambiguità fra esteriorià ed interiorità propostaci da Almodovar è secondo me da rivedere sotto un aspetto psicoanalitico. In ogni caso, un film eccellente da vedere e rivedere almeno una seconda volta.
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[+] ottima lettura, ma contiene spoiler
(di riccardo76)
[ - ] ottima lettura, ma contiene spoiler
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riccardo76
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lunedì 10 ottobre 2011
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una storia classica dal sapore vagamente horror
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Attraverso rimandi al gotico classico, con il mito del mad doctor e della sua creatura (Frankenstein), e al recente torture porn, accennato nelle immagini della cattura e della prigionia della vittima, Almodovar costruisce una cornice dal sapore vagamente horror e thriller per raccontare una sua storia classica. In definitiva una nuova veste, o, in questo caso, è più appropriato parlare di “una nuova pelle”, per un’altra delle sue grandi storie.
La pelle diventa sinonimo di prigione ed emblema di una non accettazione del proprio corpo e della propria sessualità, tematica assai cara al grande regista, che sviluppa in questo film con risvolti sorprendenti.
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Attraverso rimandi al gotico classico, con il mito del mad doctor e della sua creatura (Frankenstein), e al recente torture porn, accennato nelle immagini della cattura e della prigionia della vittima, Almodovar costruisce una cornice dal sapore vagamente horror e thriller per raccontare una sua storia classica. In definitiva una nuova veste, o, in questo caso, è più appropriato parlare di “una nuova pelle”, per un’altra delle sue grandi storie.
La pelle diventa sinonimo di prigione ed emblema di una non accettazione del proprio corpo e della propria sessualità, tematica assai cara al grande regista, che sviluppa in questo film con risvolti sorprendenti.
Tuttavia, permangono anche altre tematiche tipicamente almodovariane, come il rapporto particolare con la madre con un passato nascosto ai figli - fra l’altro impersonata dalla stessa attrice di Tutto Su Mia Madre, la bravissima Marisa Paredes – o l’amore folle e impossibile tra carnefice e vittima, che ricorda in un certo qual modo quello tra l’infermiere e la paziente in Parla con Lei.
Come il medico Banderas cuce ogni brandello della pelle fino a ricreare un eccellente rivestimento, il regista spagnolo incastra con chirurgica precisione ogni tassello della trama, fino a completare un elegante quanto sorprendente puzzle. Allora, alla fine tutto diverrà chiaro agli occhi dello spettatore, che vedrà nella sconvolgente rivelazione dell’identità della vittima un ennesimo colpo di genio di questo grandissimo artista che è Almodovar.
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