La pelle che abito |
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Un film di Pedro Almodóvar.
Con Antonio Banderas, Elena Anaya, Marisa Paredes, Jan Cornet, Roberto Álamo.
continua»
Titolo originale La piel que habito.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 120 min.
- Spagna 2011.
- Warner Bros Italia
uscita venerdì 23 settembre 2011.
- VM 14 -
MYMONETRO
La pelle che abito
valutazione media:
3,12
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La poetica di Almodovardi graziellamazzoniFeedback: 106 | altri commenti e recensioni di graziellamazzoni |
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lunedì 10 ottobre 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il primo spettacolo è finito. Il film di Pedro Almodòvar, proiettato in una piccola sala, attrae meno di quello di Salemme (nella sala grande). Incrocio sulle scale un uomo sulla sessantina, capelli bianchi e occhialini di metallo, che mi guarda dicendo: "scuote". E’ cosi. Il film di Almodòvar "La pelle che abito" è un film che scuote. Perché la trama non è lineare, lontana dai classici criteri spazio-temporali, scorre intensamente tra il grottesco e il drammatico, in un susseguirsi di scene di ambiguità e di angoscia. Antonio Banderas recita con una maschera fissa, un automa, lui stesso già clone di un altro, la parte di uno chirurgo che dopo aver perso la moglie, rimasta carbonizzata in un incidente, s’impegna a costruire una pelle in laboratorio più resistente di quella umana. Il primo tempo scorre così, velato, misterioso, sfuggente. E nell’intervallo ognuno cerca di riordinare le idee, di trovare un filo che colleghi le varie scene. E mentre il pensiero decanta illudendoti di portarti a una verità, inizia il secondo tempo e i pezzi folli e disordinati raggiungono il loro posto naturale e il disegno appare, lentamente, sempre meno sfocato. Allora riconosci quello che ricordavi della “poetica" di Almòdovar: madri con segreti inconfessabili, corpi con identità diverse da quello che appaiono, uomini che sembrano donne, donne che sembrano uomini, ambienti raffinati e ricercati con repentini cambiamenti di stile (l’uomo tigre), legami affettivi al limite della patologia. E poi gli sguardi in primo piano, cosi profondi ma anche inespressivi, lo scivolare della telecamera su particolari apparentemente inutili (i tasti di un sassofono), i continui richiami all’arte figurativa. I titoli di coda scorrono su un fondo con un elica di dna che gira su stessa, e su gente, ancora al buio, che riflette, che si sente scossa, turbata, scombussolata da una realtà cosi surreale e in fondo cosi umana. www.graziellamazzoni2.blogspot.com
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