davidestanzione
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venerdì 4 marzo 2011
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il crac di molaioli fa centro:uno script perfetto
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I richiami al crac Parmalat sono smaccati ed evidenti, l’ispirazione di fondo c’è ed è innegabile. Eppur, Il gioiellino è molto di più che semplice aderenza alla nostra storia recente, molto più che ricostruzione “d’epoca” passivamente appiattita sulla cronaca d’archivio, ricalcata per pigrizia sulla mera e fredda ricostruzione dei fatti. Ibrido suggestivo tra Wall Street e il nostro cinema civile, l’opera seconda di Molaioli ha ambizioni e portata ben più ampie della storia d’ordinaria follia (amministrativa) che racconta, come dimostrano le taglienti didascalie finali. Ha respiro internazionale, è un attacco implicito al capitalismo senza offendere (ufficialmente) nessuno, un’analisi lucida e ispirata dei sistemi economici e degli uomini piccoli piccoli che maneggiano loschi capitali erranti ed evanescenti.
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I richiami al crac Parmalat sono smaccati ed evidenti, l’ispirazione di fondo c’è ed è innegabile. Eppur, Il gioiellino è molto di più che semplice aderenza alla nostra storia recente, molto più che ricostruzione “d’epoca” passivamente appiattita sulla cronaca d’archivio, ricalcata per pigrizia sulla mera e fredda ricostruzione dei fatti. Ibrido suggestivo tra Wall Street e il nostro cinema civile, l’opera seconda di Molaioli ha ambizioni e portata ben più ampie della storia d’ordinaria follia (amministrativa) che racconta, come dimostrano le taglienti didascalie finali. Ha respiro internazionale, è un attacco implicito al capitalismo senza offendere (ufficialmente) nessuno, un’analisi lucida e ispirata dei sistemi economici e degli uomini piccoli piccoli che maneggiano loschi capitali erranti ed evanescenti. Il film ha ritmo invidiabile, un’estetica asettica ma vibrante, resa dalla fotografia del come sempre ottimo Bigazzi e cullata sulle musiche di Teardo, che ricorre a due temi fondamentali: l’uno, elettro-rock e formicolante, fa da contrappunto drammatico alle scene emotivamente più veementi, l’altro invece, concentrato quasi tutto nella prima parte, è contraddinsto dal recupero di brani pop che confluiscono nella riproposizione filologica e irreprensibile (anche scenograficamente) dei primi anni ‘90. La vera forza del film è pero la scrittura: Molaioli e i co-sceneggiatori riescono nell’obiettivo non facile di armonizzare in unico script elementi storici, politici, (cripto)economici con una naturalezza e una grazia intellettuale fuori dall’ordinario, senza scantonare mai nel pamphlet gonfio di retorica (Wall Street nella patina esterna, cinema civile nostrano nei contenuti, appunto). Pur non essendoci sostanziali sussulti di regia, se non nell’uso umorale delle luci, dei ticchettii vari e delle musiche, il film cattura e inchioda ugualmente lo spettatore immergendolo nelle acque torbide e gelide di una storia che è vera solo di riflesso. Anziché deprimerci oltremodo per le gesta criminali di Calisto Tanzi e Fausto Tonna, i volti veri della cronaca dietro le magistrali maschere fittizie di Girone e Servillo (il loro è un mimetismo anzitutto psicologico), siamo catturati dalla spigliatezza dei dialoghi accuratissimi, ben congegnati quando non puramente gustosi: ci sono frasi ed intuizioni così ispirate e prodigiose che si reprime a stento la voglia di segnarsele (“La Russia è come il paradiso: è difficile entrare ma impossibile uscire”), si sprecano i funerei e gelidi richiami attualizzanti, mai esplicitati ma sempre e comunque lapalissiani (capitali offshore, escort dell’est, premier barzellettieri). Perfino la religiosità diventa un contrappunto ironico e grottesco, adocchiando, qui sì, i tempi e i modi di molto cinema di Oliver Stone (si pensi a W). Gli squarci desolati del finale sono la fotografia più livida e luttuosa dei giorni che stiamo vivendo. Molaioli, con i suoi ritmi sostenuti e senza mai far la voce grossa, ha fatto centro.
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[+] attacco impicito al capitalismo?
(di goldy)
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writer58
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domenica 27 marzo 2011
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virtù private, pubblici vizi...
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Una premessa: i film italiani di questi ultimi anni mi paiono in genere (con l'eccezione di Crialese, Tornatore e pochi altri) mediocri e poco trascinanti, appaiono come un riflesso dell'involuzione culturale, sociale e politica che attraversa il nostro paese. Le caratterizzazioni sono spesso eccessive e stereotipe, le storie narrate di corto respiro, l'orizzonte ideale limitato e minimale. Tuttavia, "Il gioiellino" di Andrea Molaioli mi è sembrato una buona proposta, un film che narra con uno stile asciutto una storia interessante, largamente ispirata al crac della Parmalat. La recitazione di Girone e Servillo appare misurata ed efficace (anche se Servillo ogni tanto dà l'impressione di contenere a forza la sua tendenza a eccedere sul versante interpretativo), la ricostruzione dell'ascesa e del crollo dell'azienda appare avvincente e credibile (anche se l'espediente di bianchettare le voci del bilancio, sostituirle con nuovi importi e fotocopiare la falsificazione appare decisamente grossolano e poco convincente), il contesto socio-politico -la ragnatela di favori, collusioni politiche, corruzioni, velleità di penetrazioni sui mercati esteri,impunità dei potenti, a cavallo tra la prima e la seconda Repubblica- è narrato in modo sostanzialmente fedele.
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Una premessa: i film italiani di questi ultimi anni mi paiono in genere (con l'eccezione di Crialese, Tornatore e pochi altri) mediocri e poco trascinanti, appaiono come un riflesso dell'involuzione culturale, sociale e politica che attraversa il nostro paese. Le caratterizzazioni sono spesso eccessive e stereotipe, le storie narrate di corto respiro, l'orizzonte ideale limitato e minimale. Tuttavia, "Il gioiellino" di Andrea Molaioli mi è sembrato una buona proposta, un film che narra con uno stile asciutto una storia interessante, largamente ispirata al crac della Parmalat. La recitazione di Girone e Servillo appare misurata ed efficace (anche se Servillo ogni tanto dà l'impressione di contenere a forza la sua tendenza a eccedere sul versante interpretativo), la ricostruzione dell'ascesa e del crollo dell'azienda appare avvincente e credibile (anche se l'espediente di bianchettare le voci del bilancio, sostituirle con nuovi importi e fotocopiare la falsificazione appare decisamente grossolano e poco convincente), il contesto socio-politico -la ragnatela di favori, collusioni politiche, corruzioni, velleità di penetrazioni sui mercati esteri,impunità dei potenti, a cavallo tra la prima e la seconda Repubblica- è narrato in modo sostanzialmente fedele. Certamente non un capolavoro, ma un discreto prodotto artigianale.
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[+] sarebbe difficile da immaginarlo, pensate farlo!
(di pochi ma buoni)
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[+] non certo un gioiellino
(di gambardella )
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loryr
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sabato 5 marzo 2011
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bellissimo e importante
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Un film molto appassionante e intenso, che non solo racconta benissimo lo scandalo Parmalat, ma elabora un affresco di alto livello sul Paese. Giustissimo il punto di vista interno all'azienda: è come spiare dal di dentro i meccanismi del potere finanziario. In sintesi, è un film molto raffinato che non cede alla facile condanna ma stimola il senso critico e la riflessione sui legami malati tra economia, politica, poteri forti in un racconto teso, coinvolgente, molto inquietante. E lo fa stando sui personaggi, descritti benissimo e interpretati magistralmente.
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desertrain17
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sabato 5 marzo 2011
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la psicologia nascosta e perversa del potere
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Un film che inquadra con preciso punto focale il problema realtivo al lato psicologico delle dinamiche societarie e finanziarie degli ultimi 20 anni.
Vincente la scelta della sceneggiatura di non puntare su argomenti inflazionati (seppur degni di rilievo) come problematiche degli investitori o delle maestranze ma di soffermarsi sui fautori della crisi per permetterci di comprendere fino in fondo, dall'interno degli uffici dai quali essa sorge, gli aspetti più controversi del lato psicologico della loro vita lavorativa, sentimentale, privata.
Ottima la performance degli attori (Servillo su tutti) grazie ai quali tutto ciò è stato possibile.
Fantastiche come sempre le musiche di Teho Teardo: incalzanti rabbiose e dolci allo stesso tempo, sembrano complici e vittime del gioco distorto del potere.
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Un film che inquadra con preciso punto focale il problema realtivo al lato psicologico delle dinamiche societarie e finanziarie degli ultimi 20 anni.
Vincente la scelta della sceneggiatura di non puntare su argomenti inflazionati (seppur degni di rilievo) come problematiche degli investitori o delle maestranze ma di soffermarsi sui fautori della crisi per permetterci di comprendere fino in fondo, dall'interno degli uffici dai quali essa sorge, gli aspetti più controversi del lato psicologico della loro vita lavorativa, sentimentale, privata.
Ottima la performance degli attori (Servillo su tutti) grazie ai quali tutto ciò è stato possibile.
Fantastiche come sempre le musiche di Teho Teardo: incalzanti rabbiose e dolci allo stesso tempo, sembrano complici e vittime del gioco distorto del potere.
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reservoir dogs
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mercoledì 9 marzo 2011
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il latte versato
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La Leda, un azienda agro-alimentare e il suo fondatore Amanzio Rastelli (Girone) assieme al fidato responsabile finanziario Ernesto Botta (Servillo), iniziano una discesa della società dovuta ai debiti sempre più alti.
La quotazione in Borsa, la ramificazione della società in nuovi mercati e nuovi paesi, l'accettazione di compromessi come la fusione di una società di viaggi non serviranno a niente alla Leda che a poco a poco scenderà tutti i gradini dell'imbroglio; dal falso in bilancio (contabilità creativa) all'accolare i rischi ad i piccoli ignari risparmiatori.
La voragine che il Gioiellino ha aperto è ormai enorme e stà per inghiottire tutto e tutti.
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La Leda, un azienda agro-alimentare e il suo fondatore Amanzio Rastelli (Girone) assieme al fidato responsabile finanziario Ernesto Botta (Servillo), iniziano una discesa della società dovuta ai debiti sempre più alti.
La quotazione in Borsa, la ramificazione della società in nuovi mercati e nuovi paesi, l'accettazione di compromessi come la fusione di una società di viaggi non serviranno a niente alla Leda che a poco a poco scenderà tutti i gradini dell'imbroglio; dal falso in bilancio (contabilità creativa) all'accolare i rischi ad i piccoli ignari risparmiatori.
La voragine che il Gioiellino ha aperto è ormai enorme e stà per inghiottire tutto e tutti.
Ispirato ai fatti della Parmalat, quella di Molaioli non è la volontà di sbattere i colpevoli in prima pagina e accusarli del reato bensì scavare nella mente dei personaggi: i due uomini, figli di un "antica" generazione che ha perseguito dei valori unici rivelatosi poi fallimentari e la giovane Laura Aliprandi (Felberbaum), fresca di laurea, pronta ad azioni prive di qualsiasi scrupolo; tutti quanti supportati da un Sistema capitalistico sempre più corrotto e a favore del malaffare.
Come nel precedente lungometraggio "La ragazza del lago" il fatto principale (l'assassinio della ragazza), anche qui il fatto stesso (il crac finanziario) passa in secondo piano per far posto all'ambigua psicologia della provincia italiana che prima si identifica nel Self-Made Man e poi lo condanna dopo che il latte è stato versato.
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filippo catani
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giovedì 2 giugno 2011
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quando la realtà supera la finzione
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Il Gioiellino altro non è se non la ricostruzione dello scandalo Parmalat attraverso altri mezzi nel senso che anche se l'azienda non si chiama così e il presidente non risponde al nome di Tanzi è limpido e assolutamente voluto il riferimento. La pellicola scava nei meccanismi del potere e di un certo capitalismo purtroppo nostrano ma non solo. Il film mostra anche lo strettissimo legame tra imprenditoria e politica che, non appena il vento gira, non perde un attimo ad abbandonarti al tuo destino. Tutte queste speculazioni finanziarie ovviamente vengono fatte non solo sulla pelle dei lavoratori ma soprattutto su quelle degli investitori che vengono ingannati da bilanci assolutamente fasulli.
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Il Gioiellino altro non è se non la ricostruzione dello scandalo Parmalat attraverso altri mezzi nel senso che anche se l'azienda non si chiama così e il presidente non risponde al nome di Tanzi è limpido e assolutamente voluto il riferimento. La pellicola scava nei meccanismi del potere e di un certo capitalismo purtroppo nostrano ma non solo. Il film mostra anche lo strettissimo legame tra imprenditoria e politica che, non appena il vento gira, non perde un attimo ad abbandonarti al tuo destino. Tutte queste speculazioni finanziarie ovviamente vengono fatte non solo sulla pelle dei lavoratori ma soprattutto su quelle degli investitori che vengono ingannati da bilanci assolutamente fasulli. Remo Girone e Toni Servillo contribuiscono a dare ancora più spessore ad una pellicola che lascia ben poco all'immaginazione. Ma il problema fondamentale si riduce al fatto che purtroppo una volta usciti dalla sala si ha la consapevolezza di non aver assistito ad una tremenda opera di fantasia ma di aver visto rappresentato un qualcosa che è successo veramente e che ancora succede.
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gianmarco.diroma
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mercoledì 9 marzo 2011
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una grande fotografia
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Il grande del merito de Il gioiellino è da attribuire (oltre alla direzione di attori tutti perfettamente nella parte) alla fotografia di Luca Bigazzi: una fotografia capace di dare corpo ed anima ad interni che apparentemente sembrerebbero certo ricchi, ma soprattutto solidi, per i valori che vorrebbero rappresentare, ma che invece sono luogo di nefandezze di cui solo i più abili speculatori finanziari (come il personaggio di Ernesto Botta, interpretato neanche a dirlo da un grande e sempre più istrionico Toni Servillo, che ancora una volta rasenta la maniera) sono capaci. Ecco allora come la figura del Patron Rastelli (Remo Girone) assuma man mano che la storia procede verso il basso di una morale in cui anche inventarsi i soldi è lecito pur di sopravvivere nell'arena del capitalismo che conta, assuma delle connotazioni fisiche quasi mostruose, che i suoi atteggiamenti di premura verso la comunità in cui vive (bellissima la carrellata dall'alto per le strade di una ricca provincia dell'Emilia mentre lui, con la moglie, stringe le mani dei passanti) non fanno che accentuare per una sorta di legge del contrappasso: tanto più il Rastelli, colui che ha saputo trasformare un piccolo salumificio in una grande azienda quotata in borsa a livello internazionale, cerca di rimanere un punto di riferimento per la provincia in cui vive, tanto più cresce il senso di spaesamento dell'azienda a cui è a capo, incapace di sostenere la continua mancanza di liquidità.
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Il grande del merito de Il gioiellino è da attribuire (oltre alla direzione di attori tutti perfettamente nella parte) alla fotografia di Luca Bigazzi: una fotografia capace di dare corpo ed anima ad interni che apparentemente sembrerebbero certo ricchi, ma soprattutto solidi, per i valori che vorrebbero rappresentare, ma che invece sono luogo di nefandezze di cui solo i più abili speculatori finanziari (come il personaggio di Ernesto Botta, interpretato neanche a dirlo da un grande e sempre più istrionico Toni Servillo, che ancora una volta rasenta la maniera) sono capaci. Ecco allora come la figura del Patron Rastelli (Remo Girone) assuma man mano che la storia procede verso il basso di una morale in cui anche inventarsi i soldi è lecito pur di sopravvivere nell'arena del capitalismo che conta, assuma delle connotazioni fisiche quasi mostruose, che i suoi atteggiamenti di premura verso la comunità in cui vive (bellissima la carrellata dall'alto per le strade di una ricca provincia dell'Emilia mentre lui, con la moglie, stringe le mani dei passanti) non fanno che accentuare per una sorta di legge del contrappasso: tanto più il Rastelli, colui che ha saputo trasformare un piccolo salumificio in una grande azienda quotata in borsa a livello internazionale, cerca di rimanere un punto di riferimento per la provincia in cui vive, tanto più cresce il senso di spaesamento dell'azienda a cui è a capo, incapace di sostenere la continua mancanza di liquidità. Questo perché il latte (un alimento simbolo del Secondo Dopoguerra) non garantisce quel giro di contatti e di relazioni che unite al possesso di un giornale, di una squadra e di una banca, stanno alla base del capitalismo d'inizio secolo. Da questa disparità di mezzi, prende avvio il genio malefico del Botta, che con la sua cecità, si dimostra incapace di guardare in faccia la realtà, di capire come Leda sia un'azienda destinata a soccombere se non intenzionata a snaturare la sua stessa anima in nome di un capitalismo spersonalizzato in cui gli alimenti smettono di essere tali per diventare semplici brand alla mercé del mercato azionario.
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renato volpone
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venerdì 25 marzo 2011
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vizi e virtù nel mondo delle imprese
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Il film racconta l'evoluzione finanziaria, fino al disastro finale, di una società alimentare nell'Italia degli ultimi anni. Naturalmente si riscontra il percorso vissuto dalla Società Parmalat. Il racconto si sviluppa descrivendo le azioni e i comportamenti dei personaggi principali coinvolti nella vicenda, dal proprietario a tutto il management aziendale, in particolare si concentra sulla vita del ragionier Botta che ne è il responsabile finanziario. Le vicende politiche, economiche e sociali che contornano l'evolversi della vicenda sono descritte con particolare maestria e gli attori sono bravissimi nel rendere allo spettatore l'emozione voluta.
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Il film racconta l'evoluzione finanziaria, fino al disastro finale, di una società alimentare nell'Italia degli ultimi anni. Naturalmente si riscontra il percorso vissuto dalla Società Parmalat. Il racconto si sviluppa descrivendo le azioni e i comportamenti dei personaggi principali coinvolti nella vicenda, dal proprietario a tutto il management aziendale, in particolare si concentra sulla vita del ragionier Botta che ne è il responsabile finanziario. Le vicende politiche, economiche e sociali che contornano l'evolversi della vicenda sono descritte con particolare maestria e gli attori sono bravissimi nel rendere allo spettatore l'emozione voluta. Qualche piccola pecca nasce dallo stridore della vita pubblica del proprietario della società rispetto ad una più dimessa vita privata. Il film comunque coinvolge lo spettatore, scorre veloce e appassiona senza mai annoiare e senza cadute nel banale.
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kronos
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martedì 27 settembre 2011
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triste metafora di questi tempi
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C'è più di un punto di contatto tra l'opera seconda di Molaioli e "Il divo" di Paolo Sorrentino: anzitutto la stessa società di produzione, lo stesso grande direttore della fotografia, la presenza magnetica di Toni Servillo ... ma, sopra ogni cosa, in entrambe le pellicole viene universalizzata un pezzo di storia italiana.
Se nel film premiato a Cannes 2008, il declino di Giulio Andreotti diveniva metafora universale sul potere e i suoi abusi, in questo "gioiellino" (in tutti i sensi) il crack Parmalat, opportunamente rielaborato, costituisce un sintomatico esempio di quella finanza creativa che sta mettendo in ginocchio il mondo intero.
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C'è più di un punto di contatto tra l'opera seconda di Molaioli e "Il divo" di Paolo Sorrentino: anzitutto la stessa società di produzione, lo stesso grande direttore della fotografia, la presenza magnetica di Toni Servillo ... ma, sopra ogni cosa, in entrambe le pellicole viene universalizzata un pezzo di storia italiana.
Se nel film premiato a Cannes 2008, il declino di Giulio Andreotti diveniva metafora universale sul potere e i suoi abusi, in questo "gioiellino" (in tutti i sensi) il crack Parmalat, opportunamente rielaborato, costituisce un sintomatico esempio di quella finanza creativa che sta mettendo in ginocchio il mondo intero.
Ed è un vero peccato che lo sforzo di Molaioli & C. non sia stato adeguatamente ripagato da pubblico e critica: il film funziona più di tutti i documentari sull'argomento che si sono susseguiti in questi anni.
Non un solo dettaglio sembra sia stato lasciato al caso o all'improvvisazione: sceneggiatura, regia, cast, impianto visivo e scenografico, montaggio e colonna sonora ... tutto appare minuziosamente studiato e concorre al raggiungimento dell'obiettivo: un gran bel film, civilmente "impegnato" ma per nulla televisivo o didascalico.
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luca scial�
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martedì 10 gennaio 2012
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ascesa e declino della parmalat
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Storia dell'ascesa e del declinio di una grande realtà industriale italiana: la Parmalat. Un'azienda produttrice di generi alimentari, che evidentemente non faceva guadagnare quanto volevano i proprietari. Al punto da arrivare prima alla quotazione in borsa (un rischioso Must finanziario degli ultimi 20 anni) e poi alla falsificazione dei bilanci per ottenere prestiti. Il risultato finale è stato l'arresto del proprietario, Callisto Tanzi, e dei suoi collaboratori. Anche se il primo campanello d'allarme è stato il suicidio del responsabile marketing, il quale aveva intuito che le manette stavano arrivando.
Il film del giovane regista Andrea Molaioli, di scuola morettiana e al suo secondo film dopo la commedia intensa La ragazza del lago, si attiene bene ai fatti senza particolari esagerazioni stile americano.
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Storia dell'ascesa e del declinio di una grande realtà industriale italiana: la Parmalat. Un'azienda produttrice di generi alimentari, che evidentemente non faceva guadagnare quanto volevano i proprietari. Al punto da arrivare prima alla quotazione in borsa (un rischioso Must finanziario degli ultimi 20 anni) e poi alla falsificazione dei bilanci per ottenere prestiti. Il risultato finale è stato l'arresto del proprietario, Callisto Tanzi, e dei suoi collaboratori. Anche se il primo campanello d'allarme è stato il suicidio del responsabile marketing, il quale aveva intuito che le manette stavano arrivando.
Il film del giovane regista Andrea Molaioli, di scuola morettiana e al suo secondo film dopo la commedia intensa La ragazza del lago, si attiene bene ai fatti senza particolari esagerazioni stile americano. Sebbene non manchi un'eccessivo ridimensionamento stile Fiction. Ottima, manco a dirlo, l'interpretazione di Remo Girone nei panni di Tanzi e di Toni Servillo in quella del suo fido ragioniere.
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