Il gioiellino |
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Un film di Andrea Molaioli.
Con Toni Servillo, Remo Girone, Sarah Felberbaum, Lino Guanciale.
continua»
Drammatico,
durata 110 min.
- Italia, Francia 2011.
- Bim Distribuzione
uscita venerdì 4 marzo 2011.
MYMONETRO
Il gioiellino
valutazione media:
2,88
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Il Crac Finanza creativa. E criminale
di Paolo D'Agostini La Repubblica
Anche se nel film di Andrea Molaioli (per ragioni piuttosto ovvie, non ultima la libertà narrativa degli ideatori: con il regista, Ludovica Rampoldi e Gabriele Romagnoli) i nomi sono inventati e inventato è un marchio di latte e di prodotti alimentari inclusi loghi e campagne pubblicitarie, risulta evidente il riferimento a Parmalat, al suo patron Calisto Tanzi, a tanti altri personaggi reali - del suo entourage aziendale e familiare, della finanza, della politica - di una storia a tutti nota a partire dal 2003-2004, quando fu scoperto il baratro. La storia che va dai rampanti anni Ottanta (ma l' azienda esisteva da molto tempo prima) al rovinoso crac della società di Collecchio in provincia di Parma. Forse il più spettacolare caso di bancarotta fraudolenta di una società privata. Con una voragine quantificata in quattordici miliardi di euro, e conseguenze disastrose per piccoli azionisti e risparmiatori. Fanno parte della storia vera, assorbita da film, le relazioni politiche e gli scambi di favori, finanziamenti o regali contro protezione. Anche se il film si concentra su un protettore democristiano e accenna a un contatto con Berlusconi, mentre il ventaglio delle relazioni tra Tanzi e la politica è stato più spregiudicatamente ampio. Della storia vera fanno altresì parte gli intrecci con banche e istituzioni finanziarie, in Italia e fuori, negli Usa e in alcuni paradisi fiscali, nel processo che a partire dalla decisione di quotare la società in Borsa degenera progressivamente nell' alterare lo stato reale di salute dell' azienda, fino alla radicale contraffazione dei bilanci. Della storia vera fanno infine parte altri elementi presenti nel film: l' acquisizione di società in perdita (l' ingresso nel business turistico) rispondente alla logica ricattatoria dello scambio di favori e alla necessità di potenziare l' apparenza attraverso l' indebitamento per nascondere la sostanza ("l' economia reale"), così come i media compiacenti e l' avventura del calcio. Non è senza valore e conseguenze quanto gli autori dichiarano per primi, cioè il non aver perseguito l' obiettivo del film di denunciae di inchiesta. Aggiungiamo: il non essersi ispirati al modello del Francesco Rosi di Salvatore Giuliano e di Mani sulla città. Hanno preferito fare quanto quel modello invece respingeva. «Raccontare personaggi», dicono loro, approfondire le psicologie. Hanno così privilegiato una visione delle cose che esalta un contrasto. Quello tra un gruppo di persone di radici e formazione provinciale, di non grande istruzione («al massimo ragionieri»), segnate da un maniacale attaccamento al lavoro secondo il modello di dedizione e sacrificio derivante dal modesto passato e dalle umili origini di un' azienda che non è sempre stata un colosso, da una parte, e dall' altra le temerarie sfide sullo scenario globale. Gli autori parlano di quasi pittoreschi giocatori da bar di paese, un po' appassionati e un po' cialtroni spericolati, che si sono lanciati a bluffare su un tavolo molto più impegnativo di quanto permesso dalle loro risorse. Insomma gente che ha combinato guai enormi, e trascinato nei guai tanti incolpevoli, solo perché non all' altezza, solo perché hanno fatto il passo più lungo. In fondo, solo perché non hanno studiato abbastanza. È vero, appunto, che il film non solo si poggia su una solida documentazione ma anche che dissemina qui e là indizi che servono a riportarci a uno scenario riconoscibile. Il momento della quotazione in Borsa pianificato come il primo passo verso un' economia fittizia. La strategia delle "tre punte" suggerita dal senatore dc (Renato Carpentieri): a chi voglia far strada oggi occorrono tre cose, un giornale, una squadra di calcio e una banca. La battuta buttata lì a un certo punto del cammino sempre più oscuro: «va bene che il falso in bilancio nonè più reato...». E quell' altra che dice, grosso modo: se il buco è di 10 è un affare personale, se è di 100 è un problema della banca, seè di 1000è dello Stato.E poi via via: i cinici riferimenti all' est appena decomunistizzato come terra di conquista, anzi di missione; il terremoto delle stagioni politiche tra ' 92 e ' 94; e il giustamente reiterato quesito al quale si è tanto tardato a dare una risposta: perché mai una società che vanta bilanci tanto prosperi continua a chiedere credito e prestiti? Perché i bilanci, a un certo punto, vengono truccati con l' ausilio arcaico di un bianchetto e i dichiarati 3,9 miliardi di euro depositati presso la Bank of America su un conto intestato a una società con sede alle isole Cayman, semplicemente sono un' invenzione. «Finanza creativa». Cioè criminale. Ecco, però a prendere i personaggi principali del film uno ad uno di nessuno in fondo si può dire che sia veramente "cattivo". Non il patron Rastelli (Remo Girone) che continua fino all' ultimo a difendere la sua idea, i suoi "valori" e la sua "visione", trascinato nel gorgo suo malgrado. Non il suo ruvido direttore finanziario Toni Servillo (inchiodato al cliché impassibile del solitario che va per la sua strada e non guarda in faccia nessuno), il vero stratega di tutto in nome del quasi nobile "non può finire così", che esigerebbe la restituzione del denaro da chi se l' è infilato nelle tasche personali. Non evidentemente il giovane dirigente che si toglie la vita per la vergogna. Un film significativo e da vedere, ma con qualche riserva.
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