Il cuore grande delle ragazze |
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Un film di Pupi Avati.
Con Cesare Cremonini, Micaela Ramazzotti, Gianni Cavina, Andrea Roncato.
continua»
Drammatico,
durata 85 min.
- Italia 2011.
- Medusa
uscita venerdì 11 novembre 2011.
MYMONETRO
Il cuore grande delle ragazze
valutazione media:
2,46
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Amarcord Avati
di Roberto Escobar L'Espresso
Carlino Vigetti (Cesare Cremonini) ha l'alito che sa di biancospino. Ce l'ha da quando è nato, e persino da prima, dal momento che all'ombra di un biancospino è stato concepito. Lo assicura, più di settant'anni dopo, la voce fuori campo (Alessandro Haber) del fratello minore Edo. E a Edo si può credere. Non a caso, all'epoca in cui si svolgono i fatti - negli anni 30 del secolo scorso, da qualche parte nella campagna bolognese - è la terza volta che il ragazzino (Marcello Caroli) frequenta la terza elementare. Non è poco, in fatto di cultura, e babbo Vigetti (Andrea Roncato) può andarne orgoglioso. Ma ancora più orgoglioso va delle molte signore e signorine collezionate con virile entusiasmo e maschia applicazione nel corso d'una vita intera, passata per il resto a vangar la terra come mezzadro di Sisto Osti (Gianni Cavina).
Quanto a Sisto - così riferisce la voce di Edo, ormai vecchio - basti dire che se ne sta tutto il giorno con una mano infilata nei pantaloni, e che ha due figlie nubili, bruttine e ormai al di là della trentina. È tale, il problema di queste figlie, che se Carlino ne sposasse una, a sua scelta, lui sarebbe disposto a regalargli una Moto Guzzi nuova. E così accadrebbe, se da Roma non arrivasse la bionda Francesca (Micaela Ramazzotti), figlia della seconda moglie di Sisto, e se il profumo di biancospino non fosse galeotto.
L'impressione è che Pupi Avati si diverta, mentre procede la storia di "Il cuore grande delle ragazze" (Italia, 2011, 85'). Come ama fare la cultura quotidiana della sua terra, nel piacere del racconto i fatti minimi della vita, ma anche i massimi, si fanno leggenda, e ogni loro eventuale e probabile amarezza si alleggerisce fino a mutarsi in nostalgia. E così del passato - della povertà degli uni e della stupida spocchia degli altri, del maschilismo tronfio dei mariti e della sopportazione complice delle mogli, ma anche delle prepotenze del regime e delle connivenze della gente - di tutto questo, dunque, sopravvivono solo maschere che si confondono tra maschere.
Certo, Avati non è Federico Fellini, e la commedia qua e là farsesca del suo borgo contadino (ed emiliano) resta ben lontana dal sorriso commosso di quello piccoloborghese (e romagnolo) di "Amarcord". Tuttavia, su Carlino, su Francesca e sugli altri il suo racconto sa stendere un velo tenace e leggero come la memoria, generoso e ingenuo come un bicchiere di sangiovese fatto in casa, e felicemente improbabile come un alito profumato di biancospino.
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